IL TROVATORE a Piacenza – Recensione

di William Fratti –Luci e ombre , partendo dal presupposto che “Non bisogna pensare ad avere successo, ma bisogna pensare di fare bene” –


La nuova produzione de Il trovatore del Teatro Municipale di Piacenza lascia il segno in un pubblico entusiasta e in fibrillazione. È bello vedere una sala viva a tal punto e il fervore è più che giustificato e ben riposto su di uno spettacolo che, nell’insieme, ha dato delle emozioni, che è lo scopo primario di questa arte. Ciò nonostante non è privo di ombre. 

L’allestimento di Stefano Monti, coadiuvato alle scene da Allegra Bernacchioni e alle luci da Fiammetta Baldiserri, è ben realizzato e avrebbe potuto dare qualcosa in più se i pilastri si fossero mossi maggiormente e si fossero evitate quelle strutture su rotelle che più che al melodramma fanno pensare a un ferramenta. Pure trascurabili i bidoni di metallo. E sinceramente imbarazzanti le corde rosse, ormai tratto distintivo delle regie di Monti. Regia qui ben centrata in alcune pagine d’assieme, ma ridotta alle sole posizioni in molte parti solistiche. 

 Matteo Beltrami è il bravo direttore di sempre – molto efficace è la liaison col palcoscenico – ed è ben seguito dall’Orchestra Filarmonica Italiana, ma va segnalato che il suono è spesso forte e la resa è parca di cromatismi. Ottimo il lavoro dei corni. 

Luci e ombre anche nel canto, partendo dal presupposto che, come diceva una grandissima prematuramente scomparsa, non bisogna pensare ad avere successo, ma bisogna pensare di fare bene. Un altro importante assunto sta nella preparazione al canto verdiano, da sempre vittima della grande popolarità delle opere del Cigno. Fino al secolo scorso ci si è abituati a una tradizione che ha rappresentato i modelli e i gusti del tempo. Fin qui, nulla da eccepire. Nel nuovo secolo un pubblico sempre meno numeroso e meno popolare, ma più affinato e pretenzioso, ha portato anche gli esecutori a voler sempre di più rispettare la filologia e la differenza tra gli stili. Oggi, grazie a scuole italiane ed estere che hanno ben funzionato – e speriamo continuino a produrre i loro risultati negli anni a venire – soprattutto per l’azione di musicisti eccelsi, abbiamo e godiamo di un lungo stuolo di ottimi cantanti barocchi e rossiniani. Ma Verdi? E Puccini? Proprio a causa del grande favore dei loro capolavori non si è mai pensato di fare scuola, ma si è sempre lasciato tutto nelle mani della moda del momento. 

 In questa produzione la sola a rispettare completamente lo spartito è l’Azucena di Anna Maria Chiuri, che ci regala una vera e propria lezione di canto verdiano. Ogni parola è intonata e fraseggiata con cura, seguendo tutte le indicazioni fornite da Verdi e maturate in tanti anni di carriera, fregandosene – se così possiamo dire – dei colleghi e dell’orchestra che talvolta sembrano sovrastarla, poiché la sua professionalità non la fa piegare a una esecuzione sensazionalistica, bensì la induce maggiormente a prodursi in delicati pianissimi o accenti drammatici, talvolta disperati, altre patetici, dove e quando occorre; ovvero dove e quando è indicato nella partitura. 

 Angelo Villari, Manrico, è indubbiamente un cantante molto generoso, tenore dotato di smalto e ottimo squillo. In alcuni momenti la sua voce tocca corde emozionali e la richiesta di bis della pira è tutta meritata. Come pure Ernesto Petti, Conte di Luna, è baritono in possesso di un bel timbro cantabile e anch’egli riceve gli opportuni applausi a scena aperta. Ma per ambedue dove sono i colori? Gli accenti? L’espressività? Entrambi cantano quasi tutta la parte in forte o medio forte e hanno ben poco rispetto delle dinamiche previste. Ma durante le prove musicali il direttore dov’era? 

 Discorso a parte per la Leonora di Chiara Isotton, che indiscutibilmente cerca di fraseggiare, ma il risultato è piuttosto alterno. Bella voce che si sposa perfettamente al cantabile del quarto atto, è invece meno salda nella prima aria e nelle parti di carattere. Sembra quasi una giovane cantante che ancora sta cercando la giusta interpretazione per il ruolo, ma non dovrebbe essere questo il caso. 

 Buona la prova di Giovanni Battista Parodi, che porta in palcoscenico un Ferrando ben definito. 

 Molto bene l’Ines di Ilaria Alida Quilico. 

 Adeguato il resto del cast con Andrea Galli (Ruiz), Domenico Apollonio (un vecchio zingaro) e Lorenzo Sivelli (un messo). 

 Sempre bene il bravo Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati, anche se ci si sarebbe aspettato qualche colore in più. 

 Grandissimo successo per tutti, con molte chiamate alla ribalta. 

 William Fratti 

Foto © Gianni Cravedi

 

IL TROVATORE 

Dramma lirico in quattro parti 

Libretto di Salvadore Cammarano 

dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez 

Musica di Giuseppe Verdi 

 

Il Conte di Luna Ernesto Petti 

Leonora Chiara Isotton 

Azucena Anna Maria Chiuri 

Manrico Angelo Villari 

Ferrando Giovanni Battista Parodi 

Ines Ilaria Alida Quilico 

Ruiz Andrea Galli 

Un vecchio zingaro Domenico Apollonio 

Un messo Lorenzo Sivelli 

 

Orchestra Filarmonica Italiana 

Coro del Teatro Municipale di Piacenza 

Direttore Matteo Beltrami 

Maestro del coro Corrado Casati 

Regia e costumi Stefano Monti 

Scene Stefano Monti e Allegra Bernacchioni 

Luci Fiammetta Baldiserri 

Ombre Teatro Gioco Vita