EDUARDO E CRISTINA al ROF di Pesaro – Recensione 2Rewiews2

di Natalia Di Bartolo – Sul podio Jader Bignamini, regia di Stefano Poda, in prima assoluta moderna l’edizione critica dell’Opera di Rossini inaugura la stagione del ROF.


di William Fratti – Ultima opera mancante dal lungo e impegnativo catalogo delle edizioni critiche della Fondazione Rossini, finalmente anche Eduardo e Cristina approda sul palcoscenico del ROF.


Natalia Di Bartolo

Da alti pulpiti d’oltralpe, oggi si legge che l’Opera e la Classica siano ormai diventate troppo “elitarie”, che le teste che affollano le platee e i palchi siano per la maggioranza canute e che vani si stiano dimostrando gli sforzi di teatri e registi (soprattutto di questi ultimi…), di “attualizzare” l’opera per attirare il pubblico odierno. Pertanto chi scrive, avendo inoltre ricevuto dirette assicurazioni che ormai neanche alcuni degli interpreti stessi si curino, per sfinimento e disincanto, di leggere le critiche che li riguardano, ritiene innanzitutto superfluo, a favore dell’ormai frenetico ed annoiato lettore, premettere un trattato di musicologia alla recensione di un’opera come “Eduardo e Cristina” di Rossini, in scena al debutto in tempi moderni nell’edizione critica, curata da Alice Altavilla e Andrea Malnati per la Fondazione Rossini, alla Vitifrigo Arena di Pesaro, giorno 11 agosto 2023.

Utile e produttivo solo rilevare in questa sede come sia comunque ammirevole e positiva oggi la ripresa di tale opera, con il libretto, denominato «dramma», scritto da Andrea Leone Tottola e Gherardo Bevilacqua Aldobrandini, rappresentata con successo la prima volta al Teatro San Benedetto di Venezia il 24 aprile 1819, circolata sino al 1840 e poi sparita dalle scene, ricomparendo in Germania, al Festival Rossini di Wildbad, nel 1997 e nel 2017. E’ ricomparsa oggi, nella rossiniana Pesaro, con tutti i crismi della filologia, che sia benedetta! Se ne sostiene a spada tratta la fondamentale importanza.

Chi poi voglia saperne di più del “centone” rossiniano, cioè di un testo costituito totalmente o prevalentemente da brani tratti da altre composizioni, in questo caso dello stesso autore (Adelaide di Borgogna, Ermione, Ricciardo e Zoraide e Mosè in Egitto) avrà certamente la gioia di consultare tutti i volumi ovunque a sua disposizione.

Dunque, qualche lettore volontario meno frettoloso degli altri che cliccherà sul collegamento ipertestuale della presente recensione, avrà semplicemente modo di leggere come la serata teatrale dedicata a “Eduardo e Cristina”, a Pesaro, sia stata un evento interessante sotto molti aspetti.

Si citi innanzitutto, come sempre per prima, la concertazione e la direzione d’orchestra e perciò il M° Jader Bignamini, alla guida dell’Orchestra Sinfonica della RAI. Si sottolinei anche che la sua esecuzione dell’edizione critica gli ha dato modo, in accordo perfetto col regista Stefano Poda, di lavorare sui tempi, sui colori, sugli strumenti e sulle voci.

Il Maestro Bignamini ha volteggiato con sicurezza tra tali tempi e tali dinamiche variegate di un Rossini che si è divertito, come sempre, a riciclare e riciclarsi, col gusto di chi, dopo averlo cucinato, assapori un buon piatto e sia conscio che il condimento che sta assaporando, già utilizzato per farcire i fagiani il giorno prima, potrà servire di nuovo l’indomani, magari per ripieno ai cappelletti.

Ottimo piatto ben amalgamato, dunque, questo “Eduardo e Cristina”, pieno di echi e pure, ad orecchio attento, di anticipazioni, tragico quanto basta, ma a lieto fine. Bellissima musicalmente nell’insieme, l’opera merita di essere ripresa nuovamente.

Su Daniela Barcellona, en travesti Eduardo, e sulla sua voce si potrebbero scrivere trattati: basta solo sottolineare un timbro, un’emissione, una padronanza nelle agilità da fuoriclasse: una voce per la quale il tempo non sembra trascorrere, unita ad una come sempre magnifica presenza scenica.

Di rilievo la voce della protagonista Cristina, un’Anastasia Bartoli decisamente cresciuta rispetto ai tempi della piccola parte di Olga Sukarev sostenuta nella Fedora al Teatro Massimo Bellini di Catania nel 2019. Ma già da allora l’orecchio di chi scrive l’aveva notata e “annotata” fra le promesse interessanti. Infatti la Bartoli ha maturato una voce sopranile dal timbro elegante, dalla tecnica che dà già segni di compiutezza, in un debutto dal successo pienamente meritato per una parte decisamente non facile.

Improba anche la parte di re Carlo, sostenuta da Enea Scala con decisione e autorevolezza scenica, che davano forza e credibilità ad una proiezione non particolarmente efficace e a qualche difficoltà nella zona acuta.

Una gradevole voce di basso caratterizzava il personaggio Giacomo di Grigory Shkarupa, mentre l’ Atlei di Matteo Roma avrebbe necessitato anch’egli di maggiore proiezione.

Il Coro Ventidio Basso mostrava qualche difficoltà e quindi sarebbe occorsa maggiore padronanza della parte corale.

Quanto alla regia, Stefano Poda ha dato una lettura in pieno suo stile, senza luogo e senza tempo (l’opera è ambientata in Svezia), abilmente utilizzando la presenza dei mimi che rappresentavano gli stati d”animo dei protagonisti e li accerchiavano e interagivano con loro e sembravano moltiplicarsi, così come possono fare solo i pensieri assillanti e i fatti minacciosi.

Curando come sempre anche le scene, i costumi (bellissimi quelli dei protagonisti, con stampe da antichi dipinti) e le luci, il Poda, nel suo amato bianco e nero elegantissimo, condito solo da qualche nota di colore, ha colmato la scena di “presenze”, utilizzando il centro girevole del palcoscenico e inserendovi, fra l’altro, in alcuni momenti, come fulcro, un insieme di cubi sovrapposti, una sorta di “gabbia” delle anime, in cui i protagonisti si trovavano intrappolati, Cristina soprattutto ed il figlioletto Gustavo, mimo giovanissimo di cui va sottolineata una capacità scenica non comune.

Questo personaggio, muto ma fondamentale, alla fine, rifugiatosi tra le braccia dei genitori e “catturato” da quelle del nonno Carlo, nella lettura del Poda si sdoppiava. Quello che Carlo aveva afferrato gli sfuggiva e cadeva come morto, perduto, probabilmente, per sempre all’affetto di chi lo aveva prima tanto odiato e dotando il finale di un’atmosfera che moderava il lieto fine, rendendolo più adeguato al clima tragico dell’intera opera.

Grande successo di pubblico per tutti, decisamente meritato.

Natalia Di Bartolo ©


William Fratti

Ultima opera mancante dal lungo e impegnativo catalogo delle edizioni critiche della Fondazione Rossini, finalmente anche Eduardo e Cristina approda sul palcoscenico del ROF.

Dopo la scomparsa dalle scene ottocentesche è stata rappresentata soltanto in due occasioni al Festival di Bad Wildbad; ora l’esecuzione a Pesaro segna la chiusura di un cerchio per l’intera manifestazione, ma al tempo stesso l’inizio di nuove avventure che si presenteranno con la continua ricerca e scoperta di celati materiali rossiniani.

Lo spettacolo fortemente onirico di Stefano Poda, perfettamente costruito sotto ogni punto di vista, affronta il dramma in maniera decisamente romantica, quasi a dimostrare il grande contributo di Rossini alla nuova corrente musicale del tempo. Il lavoro svolto dal regista – che firma anche scene, costumi, luci e coreografie – dona un senso di unità che trova la sua massima espressione nell’amore come autore di movimento del tutto. Bravissimi i danzatori che riempiono il palcoscenico con una incredibile professionalità e prontezza d’animo.

Daniela Barcellona veste a Pesaro il suo ennesimo “primo” ruolo in edizione critica, nonché il suo ennesimo ruolo en-travesti, portando in scena un Eduardo statuario sotto ogni punto di vista, soprattutto nello stile, dimostrando ancora una volta di essere l’assoluto punto di partenza per l’interpretazione di un “nuovo” personaggio rossiniano.

Anastasia Bartoli è una Cristina di carattere, praticamente perfetta nell’aria di secondo atto e nel recitativo che la precede. Nel resto dell’opera, pur essendo molto ben cantato, non porta un adeguato gusto rossiniano, ragion per cui appare un po’ slegata dal resto. La sua vocalità drammatica aiuta indubbiamente a percepire la differenza tra quest’opera e le altre da cui provengono i temi musicali, ma sarebbe preferibile una maggiore omogeneità di stile. In poche parole: se avesse cantato tutta l’opera come “Ah no, non fu riposo!” sarebbe stata impeccabile.

Enea Scala è un Carlo di tutto punto: ottima resa del personaggio, eccellente interpretazione vocale, eloquente nel fraseggio, chiaro nell’intenzione, saldo nei centri, ben radicato nei gravi, svettante in acuto, si riconferma tenore rossiniano di riferimento.

Bravi Grigory Shkarupa e Matteo Roma nelle parti di Giacomo e Atlei.

Molto bene anche per la direzione di Jader Bignamini alla guida dell’eccellente Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, che punta sull’effetto pur sapendo mantenere gusto ed eleganza.

Bravo il Coro del Teatro Ventidio Basso guidato da Giovanni Farina.

Indiscutibilmente insostituibile la collaborazione del preparatissimo Giulio Zappa.

William Fratti


Foto Amati Bacciardi, Stefano Poda