FEDORA di Giordano al Teatro alla Scala – Recensione

di Natalia Di Bartolo – Roberto Alagna trionfa alla Scala, con Sonya Yoncheva nel ruolo di Fedora. Regia di Mario Martone.


Certo è che il mix Victorien Sardou drammaturgo e Sarah Bernhardt attrice doveva essere “esplosivo”: come accadde a Puccini per Tosca, anche Umberto Giordano, dopo aver visto il dramma dell’autore francese “Fedora” al teatro Bellini di Napoli nel 1889 “est tombé amoureux” per l’eroina protagonista. Un drammone fosco e intricato, in cui traligna qua e là il Grand Guignol, a cui Sardou non disdegnava di strizzare l’occhio.

L’artista francese negò inizialmente la proposta di compiere la versione operistica di Fedora al giovane compositore italiano, snobbandolo e facendogliene concessione solo dopo il successo di Andrea Chénier; ma metterla in musica secondo i “moderni” canoni non fu agevole, probabilmente. Infatti ne venne fuori un’opera discontinua, frammentata e difficile, che solo a tratti si apre alle sublimi melodie del Giordano.

Probabilmente sono le suddette caratteristiche che hanno reso negli anni la Fedora, con il libretto – articolato in tre atti – di Arturo Colautti, un titolo poco rappresentato: l’essere, come sopra accennato, un’opera difficile, anche “strana”, con ogni atto ambientato in una nazione diversa. Quindi, in questo senso, si spiegano le sue sorti non sempre gloriose, dopo il successo della prima, diretta dallo stesso Giordano, in cui la protagonista Gemma Bellincioni ed Enrico Caruso come Loris Ipanov determinarono innegabilmente l’andamento del debutto. Fedora, infatti, approdò al Teatro alla Scala solo nel 1932, trentaquattro anni dopo la prima assoluta al Teatro Lirico, sempre a Milano, il 17 novembre 1898.


Il 15 ottobre 2022, dopo varie riprese negli anni, Fedora è tornata sul palcoscenico della Scala a 50 anni dal debutto, direttore il Maestro Marco Armiliato. L’esperiente musicista ha dato slancio lirico alle parti indubbiamente più belle della difficile tessitura musicale e soprattutto all’intermezzo; la qual cosa ha consentito respiro a quelle parti, che, invece, si presentano più difficili all’ascolto e, ovviamente, all’esecuzione. Il Maestro Armiliato si è confermato un’ottima bacchetta, autorevole e di gran gusto.


Nel ruolo di Fedora, il soprano Sonya Yoncheva, che ha prestato la sua splendida voce ad un personaggio che richiede gravi decisamente più facili da conseguire, rispetto alle grandi potenzialità della zona media ed acuta che la bella Sonya possiede ed alle quali ci ha abituati. Si è districata però abilmente nei momenti meno congeniali alla sua vocalità, superando agevolmente ogni ostacolo nella zona grave, che è ben presente, soprattutto in alcune frasi.


Loris Ipanov era il tenore Roberto Alagna, al debutto nel ruolo, in una serata di grazia e di ritorno alla Scala dopo molti anni di assenza. La sua voce corposa, ampia, impeccabile ha dato vita ad un canto spianato, libero da ogni impedimento nella proiezione, capace di superare ogni difficoltà della partitura nella zona acuta. Alagna ha cantato anche con l’emozione propria e quella del personaggio fuse inscindibilmente, come solo lui è capace di ottenere. Per cui il suo canto si librava su vibrazioni inedite, che si riversavano sul pubblico in tutto il loro splendore ed emozionavano profondamente. Il suo non facile ruolo è stato eseguito anche con una perfezione nella linearità del canto ed una padronanza tecnica del legato che hanno lasciato incantati gli spettatori scaligeri e suscitato applausi a scena aperta al celeberrimo “Amor ti vieta”.


George Petean, baritono, era De Siriex. L’artista ha cantato con una morbidezza nel legato ed una corposità nel timbro di tutto rilievo. Le capacità interpretative e tecniche di Petean, già alte e guidate da gran Scuola, sono in continuo crescendo ed è un piacere rilevarlo, sottolineandone la facilità di emissione, la robustezza e nello stesso tempo la levigatezza e la duttilità: doti che lo confermano fra le più belle voci baritonali di oggi sui palcoscenici internazionali.

Serena Gamberoni, soprano, era la graziosa Contessa Olga Sukarev, anch’ella alle prese con una partitura improba e frammentaria e con la regia che l’ha voluta volteggiante in bicicletta; corretti gli altri svariati interpreti, Coro compreso, diretto dal M° Alberto Malazzi, nel breve intervento dietro le quinte.

La regia era affidata a Mario Martone, il quale ha inteso snaturare l’ambientazione un po’ fosca fin de siècle con un cervellotico rifarsi alla pittura surrealista di René Magritte.
L’ambientazione non era sgradevole, con le scene spoglie (troppo) di Margherita Palli, i costumi contemporanei (troppo) di Ursula Patzak e le luci ben curate di Pasquale Mari, ma, comprese le coreografie “magrittiane” di Daniela Schiavone, si sarebbe preferito vedere l’opera nella sua propria ambientazione: il libretto parla di Zar, di nichilisti: è storia e la storia, bella o brutta che sia, comporta delle caratteristiche ben precise nella messa in scena.

René Magritte: “L’assassino minacciato”, 1928

In questa Fedora, invece, con la scusa del quadro “L’assassino minacciato”, accostato metaforicamente alla figura di Loris Ipanov, Martone ha messo in piedi un pot-pourri di situazioni ed apparizioni di personaggi, ricostruendo in parte, per fare un altro esempio, anche il celebre quadro magrittiano “Gli amanti” con la testa velata e scarnificando le ambientazioni, a discapito dell’atmosfera originale dell’Opera.

Non si capisce perché, oggi, i registi cerchino ispirazione dandosi al brancolare (spesso nel buio) nei libri di storia dell’Arte, come se l’Opera avesse bisogno di essere “nobilitata” o supportata dalle Arti visive. Ovvio: il regista dovrebbe avere un proprio bagaglio (e anche ben robusto) di conoscenza della Storia dell’Arte e nozioni pure tecniche di Arti Visive, ma trasfigurarli poi nelle creazioni registiche, senza puntare i riflettori su questo o su quell’altro artista, creando sovrapposizioni o accostamenti deformati e deformanti, così come è successo in questa produzione.

Svecchiare” un’opera, con la scusa del “taglio cinematografico” e del nozionismo da insegnante di storia dell’Arte del liceo, togliendole il fascino che l’autore stesso ha ben descritto e voluto nel libretto, è sempre e comunque un’operazione arbitraria e senza senso. Il pubblico, infatti, non ha gradito e si è fatto sentire. Al contrario, ha travolto gli interpreti con un diluvio di applausi.
La palma del più applaudito della serata a Roberto Alagna, che, uscendo dal teatro, ha trovato l’ingresso degli artisti, fino in fondo a via Filodrammatici, ingombro di fans alla ricerca dell’autografo suo e degli altri interpreti e che, com’è solito fare accontentando tutti, avrà finito di firmare alle due di notte.

Natalia Di Bartolo ©

Foto Brescia e Amisano

Dalla pagina Facebook di Roberto Alagna:

✪ REVIEW | FEDORA 🇮🇹

Teatro alla Scala 15/10/2022 | ❝ Roberto Alagna triumphs at La Scala … Full-bodied, ample, impeccable voice, … smooth singing, free of any hindrance of projection … mastery of the legato … his own emotions and that of his character inseparably fused … his singing soared on unprecedented vibes, which poured out on the spellbound audience in all their splendour and moved them deeply ❞ by Natalia Di Bartolo – Arte for operaeopera.com

READ MORE (EXCERPTS, translated from Italian): « Roberto Alagna triumphs at La Scala alongside Sonya Yoncheva in the role of Fedora | Loris Ipanov was the tenor Roberto Alagna, making his debut in the role, in an evening of grace and a return to La Scala after many years of absence. His full-bodied, ample, impeccable voice gave life to a smooth singing, free of any hindrance in the projection, capable of overcoming any difficulty of the score in the high range. Alagna also sang with his own emotion and that of the character inseparably fused, as only he is capable of achieving. As a result, his singing soared on unprecedented vibes, which poured out on the audience in all their splendour and moved them deeply. His not easy role was also performed with a perfection in the line of singing and a technical mastery of the legato that left the audience of La Scala spellbound and generated a rousing applause after the famous ‘Amor ti vieta’. »