LA LUPA e IL BERRETTO A SONAGLI di Tutino prima mondiale a Catania- Recensione

di Natalia Di Bartolo – In prima mondiale al Teatro Massimo Bellini di Catania, “Il berretto a sonagli” in dittico con “La Lupa”, di Marco Tutino.


Dalla novella di Giovanni Verga  nella raccolta “Vita dei campi” (1890-’97) al palcoscenico del teatro d’opera: la vicenda della Lupa verghiana da trasportare in musica, controversa e dibattuta senza esito dallo stesso Verga librettista con Puccini nel 1894, che diede vita al libretto sfortunato di Federico de Roberto musicato dal Tasca, rappresentato una sola volta e dimenticato, fu giudicata una forma monotona e per nulla adatta alla musicabilità perfino da Pietro Mascagni.

Il fascino crudo e sanguigno della novella verghiana, però, continuò ad aleggiare, finché non giunsero tempo e autori per farne finalmente un’Opera.

Il tempo era il finire degli anni ’80 del secolo scorso. Molta acqua era passata sotto i ponti del Teatro d’Opera, molta musica di generi nuovi (lasciando da parte le evoluzioni della Classica), popolari e diversi era stata creata: dal jazz al pop, alle canzoni di musica leggera, al rock. Evidentemente i tempi erano maturi, ma ovviamente occorrevano due artisti, un musicista ed un librettista, capaci di sintesi e di innovazione con il coraggio di riprendere ciò che gli stessi Puccini e Mascagni avevano rigettato. Dunque si respirò aria nuova, con un nuovo libretto di Giuseppe Di Leva e la musica del milanese Marco Tutino, classe 1954.

Un’altra temperie culturale, un nuovo modo di sentire, la libertà di trasporre le vicende dei campi verghiani in una metropoli italiana anni ’60. Il libretto è conciso, tranchant, di poche parole, perché i fatti doveva farli per prima la musica. Eppure è molto curato, il libretto, a volte in versi, senari o decasillabi, che si celano dentro un’ispirazione musicale di assoluta crudezza e forza.

Il temperamento della lupa parla con “la temperatura” (terminologia dell’autore) della musica, la vicenda è semplificata, ma non banalizzata. In quegli anni già moderni, la Lupa non deve più giustificare nulla di fronte al mondo, anzi grida la propria condizione di vittima divenuta carnefice.

Un cazzotto nello stomaco” quest’Opera, per usare la stessa definizione del musicista autore. Una musica incandescente, grande uso delle percussioni, nessuna concessione alla tradizione, neppure a quella verista: “La Lupa” di Tutino è veramente un pezzo unico.

Andata in scena per la prima volta a Livorno, con la grande Viorica Cortez come protagonista, nel 1990, l’opera fu poi ripresa a Palermo, ma rimase “sospesa” per così dire nel mondo del melodramma, proprio per la sua unicità e particolarità sonora, ricca di contaminazioni, dalla canzone “Non è peccato” di Peppino di Capri ad una citazione di Nanni Lasca “Viva il vino spumeggiante (…)” da Cavalleria Rusticana. Vi si intravedono tracce ben celate o palesi anche di approfondito studio delle sonorità jazz e soprattutto rock, di quello “duro”, di fine anni ’80.

Sanguigna, senza veli retorici né, si ribadisce, giustificazioni da porgere né ottenere, “La Lupa”, opera in un atto e due quadri, adesso ha un’opera compagna ed è stata abbinata in dittico con questa: scritta sempre da Marco Tutino dopo oltre trent’anni da “La Lupa”, “Il berretto a sonagli”, in un atto con interludio, liberamente tratta dalla commedia di Luigi Pirandello, è stata recentemente commissionata al musicista milanese dal Teatro Massimo Bellini di Catania, in particolare nella persona del Direttore Artistico del Teatro etneo, Fabrizio Maria Carminati, che conosceva il Tutino fin dagli esordi e che è sempre molto aperto a nuovi esperimenti nel Teatro d’Opera.

L’Opera “Il berretto sonagli”, andata in scena in dittico con “La Lupa”, appunto, in prima mondiale, al teatro catanese giorno 1 marzo 2024, ha dimostrato sia che l’Opera è ancora un genere vivo e vegeto, sia che lo stile, l’ispirazione, le capacità del Tutino si siano evolute e trasformate e non solo per adattarsi al tema ben diverso da quello della prima sua creatura in ordine di esecuzione.

Volutamente, però, le due opere in dittico erano accomunate dal leitmotiv della violenza contro le donne.

Come la Lupa era ella stessa una vittima di violenza e sfogava la propria rabbia dando via libera all’istinto, Beatrice Fiorica, la protagonista de “Il berretto a sonagli” del Tutino era vittima della costrizione e della violenza della recente mafia che si affacciava intorno agli anni ’30 del secolo scorso nelle zone siciliane e non solo.

Tutto questo, ovviamente, non è in Pirandello, ma è un “liberamente tratto”, non solo cronologico, ma di modifica della trama. Librettista è il giovane e talentuoso Fabio Ceresa, capace di mettere le mani nella scrittura del Pirandello, mantenendo nel libretto i dati fondamentali delle “tre corde”: la “civile”, la “seria” e la “pazza”, ma trasformando anche, con ammirevole capacità di sintesi complessiva, il personaggio di Ciampa in un emergente boss mafioso. Impresa decisamente di grande coraggio anche questa, con capacità di ottimo uso nel libretto di stilemi poetici, come la rima.

Ma, per tornare alla musica, il Tutino ne “Il berretto a sonagli” ha veramente superato se stesso. Si sentiva come dentro quella musica ci fosse tanta esperienza di ascolto e di composizione, c’era perfino tanto Puccini, eppure non si sentiva che in una brevissima citazione musicale da Tosca, al dire del delegato Spanò all’ appuntato Lo Gatto: “(…) Vediamo di risolvere quest’altra camurria. Compris? Come facemmo con il dottor Curria”.

C’era dentro tutto il Tutino di oggi in quella musica assolutamente originale, dotata di un interludio assai pregevole, in cui le alte “temperature” musicali della Lupa ogni tanto riemergevano, ma con conscia sapienza compositiva e misurata espressione. Non più la pregnanza quasi violenta delle percussioni nell’intera partitura, ma un più ampio respiro orchestrale, nonostante la loro presenza quasi costante, anche con lo xilofono, i sonagli e il suono di un campanello elettrico dalla porta d’ingresso, che spezzava il pathos dell’azione al momento opportuno.

Sul podio, con grande immedesimazione, il Maestro Fabrizio Maria Carminati ha diretto entrambe le opere con piglio esperiente e soddisfatto, dopo aver provato anche con l’autore (cosa preziosa e rarissima, oggi) e alla guida di un orchestra assolutamente ferrata e preparata. Ottimo risultato sonoro, ovviamente, da parte dei professori del Bellini, mentre sulla scena si muovevano gli interpreti, guidati dall’eleganza registica di Davide Livermore, di cui si dirà più avanti.

Nella parte della Lupa il mezzosoprano georgiano Nino Surguladze, di adeguata avvenenza e di ottima resa vocale e scenica.

Al suo fianco, Nanni Lasca era il tenore spagnolo Sergio Escobar, insieme ad alcuni componenti anche del cast de “Il berretto a sonagli”, come il soprano Irina Lungu nella parte di Mara. Corretti tutti gli altri interpreti.

Per recensire “La Lupa” basta ricordare la definizione dello stesso autore e riferire di essere stati sottoposti ad un ascolto ad alto tasso di emozioni; ma, dopo l’intervallo, gli spettatori erano galvanizzati dall’attesa della prima mondiale da Pirandello.

Ci si aspettava qualcosa di simile a “La Lupa”, musicalmente; invece il Tutino ha avuto la capacità di trasportare lo spettatore non solo in un’altra ambientazione ed in un’altra epoca, ma anche in un condensato di emozioni decisamente meno violente, ma sempre coinvolgenti: di certo non mai “comiche”, come, per scelta di Angelo Musco, si è soliti intendere gli eventi de “Il berretto a sonagli”. Il Tutino è riuscito a restituire l’originale drammaticità al soggetto pirandelliano, che era al concepimento tutt’altro che comico, ed a porgerlo agli astanti trascinandoli a sé con musica raffinatissima, con brevi melodie eleganti e di poche note che si reiteravano, fuggevoli sensazioni intimistiche, in un insieme esaltato sia dalla direzione d’orchestra del Maestro Carminati, che dagli interpreti.

Beatrice Fiorica, il suddetto ottimo soprano di scuola russa Irina Lungu, era l’interprete principale, non più il Ciampa: in fondo, colei che decide nell’opera di essere pazza per salvarsi, vittima di violenza non meno della Lupa, di una violenza sottile e perfida, legata alle convenzioni borghesi e alla nascente mafia, ben rappresentata dal Ciampa autorevole ed abilmente mefistofelico di Alberto Gazale.

Ottimi anche gli altri interpreti, tra cui il tenore Escobar nei panni di Fifì La Bella.

Una fascinazione complessiva, dunque, per gli spettatori, esaltata dalla regia appropriata e raffinata di Davide Livermore, che, avvalendosi delle scene di Eleonora Peronetti, forti delle pregnanti e suggestive scenografie digitali di D-Wok e dei costumi di Marianna Fracasso, ha fatto di questo berretto a sonagli in prima mondiale a Catania, un vero gioiello.

Ne “La Lupa”, il rosso passione/sangue delle scenografie virtuali la faceva da padrone, sia nel primo quadro nell’autorimessa, che nel secondo, ambientato in una grigia e nevosa città metropolitana; con un finale a sorpresa in cui a morire è  il colpevole Nanni Lasca, non la Lupa, dalle scarpe rosse, moltiplicate simbolicamente alla fine dell’opera dall’intervento registico.

Invece ne “Il berretto a sonagli, Livermore “manovrava” i personaggi con mano capace e, negli assieme, li disponeva come se fossero stati interpreti rossiniani, perché tali sembravano essere, soprattutto a partire dal libretto. L’atmosfera scenica e digitale, dell’interludio in particolare, suscitava emozioni sentite nel pubblico.

Grande affluenza di spettatori, altrettanto grande il gradimento, soprattutto per “Il berretto a sonagli”, applausi convinti e sentiti per tutti, compreso, ovviamente, il Tutino; con sottinteso, reiterato plauso al Sovrintendente M° Giovanni Cultrera di Montesano ed al Direttore Artistico M° Fabrizio Maria Carminati del Teatro Massimo Bellini di Catania, che sono venuti a capo vittoriosi di questa decisamente coraggiosa impresa musicale moderna e di alto valore artistico, che segna un momento di innovazione e di rinnovamento del melodramma italiano.

Natalia Di Bartolo ©

Foto di Giacomo Orlando ©