LA TRAVIATA a Catania – Recensione

di Natalia Di Bartolo – Al Teatro Massimo Bellini, Daniela Schillaci protagonista, José Cura sul podio, regia di Henning Brockhaus, una Traviata efficace.


Potrebbe sembrare scontato iniziare una recensione ripetendo per l’ennesima volta che per il ruolo di Violetta occorrerebbero tre soprani diversi, uno per atto, poiché è come se il personaggio stesso lo richiedesse, ma in questo caso non lo è. Lo si ripete ugualmente per il lettore distratto: la Violetta salottiera del primo atto si presterebbe alla vocalità di soprano leggero; nel secondo a quella di soprano lirico, adatto ad una donna innamorata e costretta a staccarsi dal suo grande amore dalle convenzioni borghesi; nel terzo a quella di soprano drammatico per la tragicità degli eventi e la morte straziante della protagonista.

In realtà, a Catania, giorno 1 dicembre 2023, La Traviata andata in scena non ha risposto nella figura della protagonista ai tanto decantati “modelli” di tradizione, seguendo una scelta intelligente, messa in atto dalla Direzione Artistica del Teatro Catanese…E si tornerà più avanti sull’argomento.

Intanto, da sottolineare sul podio la presenza del grande José Cura, in veste di Maestro Concertatore e Direttore d’Orchestra.

Il Maestro Cura ha, come tutti i direttori d’orchestra che hanno anche cantato, una marcia in più dal punto di vista dell’immedesimazione con i problemi che l’orchestra, spesso spinta a volumi troppo elevati da rampanti Maestri forse di tradizione più sinfonica che operistica, può potenzialmente provocare agli interpreti sul palcoscenico. Dunque, la sua è stata una direzione pacata, moderata, invero un po’ avara di attacchi, ma assolutamente scevra da ogni zum-pa-pà di desolante tradizione verdiana. Il Maestro ha anche lievemente rallentato i tempi in alcune parti, per evitare proprio questo annoso problema rispetto ad altre parti più liriche e cantabili, nel contesto dell’intera opera. Gli si possono attribuire, dunque, scelte di gusto che non hanno mai travalicato il livello di guardia richiesto dalla partitura.

A risolvere l’annosa diatriba di cui sopra, che coinvolge il personaggio della protagonista, una Daniela Schillaci, Violetta, che è stata capace di stupire il pubblico degli intenditori.

Tale diatriba, come prima accennato, ha da sempre coinvolto la vocalità di Violetta e dire, come scriveva il compianto musicologo Gustavo Marchesi che “Verdi riutilizza il modello del soprano lirico drammatico d’agilità non risolve certo il problema dei “modelli” vocali del soprano: chi sia capace di rispondere pienamente ai requisiti di tale ipotetico “modello”?

Il problema sudetto è spesso stato risolto, invece, per tradizione, da soprani lirico/leggeri, che spingendosi al drammatico al terzo atto, in un certo senso si creavano via libera per il primo atto, lì dove si richiederebbe quel soprano “leggero, civettuolo e salottiero”, che sia capace di lanciare acuti anche non scritti, ormai di tradizione.

In effetti, però, chi scrive non ha mai amato le nette distizioni nella vocalità del soprano, ritenendo che, al di là di qualsiasi codificazione, ogni artista abbia la propria voce, la propria indole, il proprio carattere e possa piegarsi e modellarsi come sia capace di fare secondo i propri studi, la propria esperienza e sensibilità e soprattutto assecondando l’individualità della propria voce, rispetto a quelle di tutte le altre cantanti.

E dunque proprio qui sta il punto nodale di questa Traviata catanese, che ha corso il rischio di spiazzare quella parte del pubblico dei melomani assuefatti ai modelli delle proprie infinite collezioni di dischi in vinile, quelli cioè fautori di una Violetta che affronta il primo atto (il più amato e celebrato) come un usignolo e poi prosegue, magari scurendo la voce, come se il secondo ed il terzo fossero di minore importanza e difficoltà.

Quindi, è d’uopo sottolineare che Daniela Schillaci, la cui vocalità volge oggi e si attesta su ruoli di robustezza anche drammatica, avendo già in carniere debutti come quello di Abigaille, Odabella, Lady Macbeth e della principessa Turandot (con la quale inaugurerà la ventura stagione 2024 del Massimo Teatro catanese) si avvicina più di molte altre interpreti al “modello” citato dal Marchesi e possiede ancora lo squillo che l’ha resa celebre fin dall’inizio della carriera, anche come Violetta. Ecco, dunque, venir fuori l’unicità dell’artista, che non può essere “codificata”, unicità che è stata colta nell’affidare il ruolo alla cantante siciliana.

Chi scrive ebbe a vederla e recensirla a Palermo, in questo medesimo ruolo, diversi anni fa; e, dopo aver assistito alla recita catanese di cui si tratta, conclude che la Violetta di oggi della Schillaci è superiore a quella di allora.

Un gran bagaglio di studio e di passione, uniti all’esperienza, hanno generato una protagonista che è stata capace di superare il primo atto con caparbia capacità tecnica, con infinita competenza, attenzione e studio, insieme a quella “lama” che trapassa qualsiasi ostacolo e sottolinea un capacità di proiezione fuori dal comune, consentendole ancora oggi di lanciare acuti squillanti; ed a quella finezza di emissione che le consente filati da ricamo. Secondo e terzo atto, in piene sue corde e vocalità, sono stati cesellati anch’essi e portati al debito rilievo vocale, anche con esperienti capacità d’arte scenica, fornendo un risultato credibile ed elegante.

Al suo fianco un Alfredo al debutto, Giorgio Misseri, che ha ancora da farsi le ossa in questo ruolo; un po’ spaesato, ma in crescita durante la recita.

Giorgio Germont aveva la voce, la capacità e l’esperienza di Franco Vassallo, applauditissimo dal pubblico catanese; un po’ carente d’appoggio la Flora di Elena Belfiore; registicamente stranamente civettuola l’Annina di Sonia Fortunato.

Corretti tutti gli altri interpreti, esperiente e ben collaudato nella parte il Coro del Teatro catanese, diretto dal M° Luigi Petrozziello.

La celebre “Traviata degli specchi”, creata dallo scenografo Josef Svoboda nel 1992 per la produzione dell’Opera allo Sferisterio di Macerata, con la regia di Henning Brockhaus, ha dato un fascino volutamente un po’ voyeristico, ma d’effetto allo snodarsi delle vicende dell’opera, che è la più rappresentata della storia del Melodramma.

Il Brockhaus ha dato modo agli interpreti di esprimersi con coerenza e buon gusto, mentre, nello stesso tempo, la grande parete  specchiata di fondo, con le luci dello stesso Brockhaus, creava illusioni ottiche di indubbio fascino, soprattutto quando erano in scena al secondo atto i danzatori della festa in casa di Flora, guidati dalle coreografie di Valentina Escobar.

Per concludere, quindi, una Traviata efficace, con un sold out già annunciato per tutte le recite e un pubblico plaudente che vede ormai, oggi, al turno A, gente di età, gusto ed estrazioni diverse; atmosfera condita dalle eleganti crinoline di un gruppo di dame figuranti che accoglievano all’ingresso gli spettatori.

Natalia Di Bartolo ©

Foto Giacomo Orlando ©