Dagli Archivi: “EURIPIDE: ERACLE ALLO SPECCHIO”, Siracusa, 2007 – Recensione

Dagli Archivi: “EURIPIDE: ERACLE ALLO SPECCHIO”, Siracusa, 2007 – Recensione di Natalia Di Bartolo. A proposito di ERACLE di Euripide in scena quest’anno 2022 al teatro greco di Siracusa, I.N.D.A, trovo nei miei archivi una mia recensione della tragedia, sempre a Siracusa, ma del 2007.


A proposito di ERACLE di Euripide: trovo nei miei archivi una mia recensione della tragedia, al teatro greco di Siracusa, del 2007, rileggendo la quale, purtroppo, mi viene da dire: “altri tempi”. Ma la ripubblico volentieri, perché non è tanto una recensione dello spettacolo, quanto uno studio di confronto tra la figura di Eracle in questa tragedia e quella dello stesso personaggio in “Trachinie” di Sofocle, in scena lo stesso anno; e perché non è più on line, dove dovrebbe ancora essere…

*Euripide: “Eracle” allo specchio*

[Anfitrione Ugo Pagliai – Eracle Sebastiano Lo Monaco. Rappresentazione al Teatro Greco di Siracusa, XLIII Ciclo di Spettacoli Classici, 2007, Fondazione Inda nel Teatro Greco di Siracusa]

“Due diversi destini per Eracle?” Domanda lecita e stupita di chi abbia assistito, nella medesima stagione di quest’anno, per il XLIII Ciclo di spettacoli Classici al Teatro Greco di Siracusa, a “Trachinie” di Sofocle, prima che ad “Eracle” di Euripide; così com’è valido l’opposto. In effetti, trattando del mito dell’eroe Eracle, la visione, “collegata” in un’unica Stagione, delle due tragedie porta inevitabilmente a vedere “due Eracle”, apparentemente diversi. All’insegna della “dicotomia”, quest’anno al Teatro Greco, allora: due facce della stessa vicenda in due diverse tragedie, una specie di guardarsi di Eracle “allo specchio”.

In “Trachinie”, Eracle non incontra mai la moglie, protagonista della prima parte della tragedia e che in essa si uccide; l’eroe, abbrutito e dolente, appare solo nella seconda. Allo stesso modo, in “Eracle”, il protagonista risale apparentemente savio dall’Ade e tale resta per una parte della tragedia; poi, all’improvviso, impazzisce ed è come se diventasse un altro essere, stravolto, crudele, assassino. Due tragedie mal riuscite, con una “frattura” interna che ne pregiudica l’unitarietà? No, due capolavori, poco frequentati proprio per tale apparente difetto, nati da due autori diversi, ma che, geniali entrambi, non avrebbero certo prodotto senza motivo un tale “effetto-difetto” interno alla propria Opera.

Vale la pena ricordare come “Trachinie” sia una tragedia “tarda” di Sofocle (nato nel 496 a.C. circa), che, in certa parte, fu coevo di Euripide (nato nel 485 a.C. circa), il terzo tragediografo in ordine di tempo e di stile dei tre Grandi, che comprendono anche Eschilo, il più antico, nato nel 525 a.C.. Dunque la messa in scena di un Eracle “umanizzato”, anziché mitizzato nello stereotipo dell’eroismo, è assolutamente plausibile e “moderno” in entrambi gli autori, secondo un modello “tardo” che poteva essersi formato “scivolando” verso il IV secolo, riguardo al mito di Eracle, nonostante temi e valenze stilistiche diversi dei due autori.

Seconda, significativa dicotomia: nell’Opera di Sofocle, “Trachinie”, Eracle, figlio di Zeus e di Alcmena, è sposato con Deianira; dei figli avuti con lei compare solo Illo; in quella di Euripide, “Eracle”, è sempre figlio di Zeus ed Alcmena, ma considera come padre Anfitrione, (che “ha diviso il proprio letto” con Zeus e non può darsene pace), è sposato con Megara ed ha tre figli giovinetti.; ma non ci sono due Eracle: il protagonista è sempre lo stesso. Ci si chiede, allora, anche come mai in “Trachinie” l’eroe, appena tornato dall’Ade, non impazzisca, ma, vittima straziata dell’inganno del chitone avvelenato dal sangue di Nesso donatogli amorevolmente dalla moglie, si faccia condurre sul monte ed ardere su un rogo; mentre in “Eracle”, colto da follia, uccida moglie e figli e, rinsavito, si rifugi poi ad Atene sotto la protezione di Teseo, che egli stesso aveva salvato proprio dagli Inferi. Ed ecco il punto di contatto fra le due figure apparentemente diverse: il ritorno dall’Ade.

In entrambe le tragedie, Eracle non torna, come sempre dopo ciascuna delle proprie “fatiche”, vincente e trionfante, ma risale da quel luogo di morte e disperazione come “contaminato” dalla morte stessa e dalla follia che ad essa è legata, poiché la visione della morte non è mai, per nessuno, neppure per un eroe, capace d’infondere altro che angoscioso terrore e, a volte, conseguente pazzia.

In “Trachinie” risale dall’Ade un Eracle divenuto inspiegabilmente rozzo, brutale, egoista, dimentico dei doveri coniugali ed invaghito di una fanciulla, Jole, che addirittura vorrebbe imporre in casa alla moglie e che finisce per far sposare al figlio; in “Eracle”, il protagonista risale dall’Ade in uno stato ancora peggiore, come “ammalato”, con in sé il seme della follia; che s’impadronisce di lui e lo porta alla furia omicida nei confronti di moglie e figli.

Il perché di questa follia è da attribuirsi alla dea Hera, che si dimostra stanca delle troppe vittorie dell’eroe con la cui madre, Alcmena, il consorte Zeus l’aveva tradita, e che non ha tollerato l’uccisione del tiranno Lico all’arrivo di Eracle a Tebe. Ma è solo una spiegazione parziale: l’effetto “Ade” aveva in realtà distrutto Eracle ed il suo equilibrio.

Trovato il punto di contatto che unifica le due “facce” dello stesso protagonista, quindi solo apparentemente riflesse in uno specchio, non si può, allora, che apprezzare la magnifica abilità euripidea di “porgere” allo spettatore una storia truce e sanguinaria con l’ottica dell’arte immortale della Poesia Tragica greca.

Fondamentale, come sempre, è la traduzione del testo greco, che quest’anno è del Prof. Giulio Guidorizzi. Egli ha saputo coniugare la necessità di un linguaggio comprensibile per tutti alla trasposizione in prosa della poesia euripidea, pur abilmente inserendo versi metricamente corretti all’interno della prosa italiana, per far risaltare quel ritmo di ascolto che i versi hanno in sé, poiché il fraseggio è sempre elegantemente soggetto al ritmo della metrica.

Mediatrice e mai giudicante, se non il comportamento di Zeus nei suoi confronti, la figura del padre Anfitrione, in “Eracle” è il perno, la colonna portante della vicenda, colui che mai trascende, neanche di fronte alla follia del figlio e l’unico che da questa si salva. Egli, dopo una vita passata a deprecare il Padre degli Dei, ancora non si dà pace per l’involontario tradimento della moglie, ma ha amato ed ama Eracle da vero padre.

La figura di Megara, umanissima e tragica, è da segnalare per compostezza e “pietas” femminile, insieme ai tre fanciulli, che fanno una fine davvero crudele e tragica E che dire di Eracle? Egli si dimostra “furente”, brutale dietro le quinte, ma credibile ed umanissimo come e più della moglie, di fronte al pubblico.

Particolarmente importanti nell’economia della vicenda sono Iride e soprattutto Follia (Lissa), figlia della Notte, un mostro (così come nell’originale della tragedia), ma, nella rappresentazione del 2007, sotto la regia di Luca De Fusco, una leggiadra fanciulla, vestita d’argento e danzante, capace di irretire un Eracle ormai destabilizzato e debole. Ella usa dei toni verbali e vocali che vagamente richiamano alla memoria la crudeltà della Lady Macbeth Shakespeariana, curiosamente mista alla descrizione, da parte di Mercuzio a Romeo, di Mab, la fatata regina dei sogni: “Grande” richiama ”Grande”, sia pure alla rovescia….Mai l’Arte del Teatro è figlia esclusiva di se stessa. Al contrario, la solitamente bella Iride ha avuto delle sembianze mostruose, ben confacentisi alla definizione del personaggio secondo gli intendimenti registici.

Eppure, tra deprecazioni ed apparizioni, gli dei sono assenti in “Eracle”: la suddetta tarda età della tragedia rispetto alla produzione teatrale tragica ed a tutto il resto del “Pensiero” greco “Classico”, instilla nello spettatore, attraverso i fatti, le azioni, le parole dei personaggi, la certezza che non esista Olimpo, che non esistano dei. L’assoluto scetticismo euripideo, figlio, quindi, dei propri tempi, è controbilanciato, però, dall’amore terreno verso i figli ed i figli dei propri figli, nell’immortalità non più sacra, ma assolutamente terrena, della procreazione.

Importante come sempre nell’economia della vicenda, è anche il Coro, in questa tragedia più danzante che declamante; tuttavia la sua azione può apparire, in questo contesto intimistico, marginale, rispetto ad altre tragedie.

“Eracle” di Euripide si dimostra, quindi, Opera d’intensa emozione, anche se nel tempo è stata variamente giudicata dagli studiosi, che ne hanno, a volte, sottolineato la propensione al lamentevole, soprattutto nella prima parte, ed una malcelata tensione all’eccesso tragico, che può sconfinare, se travisato, addirittura nel grottesco.

Ma, se l’arte del “declamare” la tragedia greca ancora sopravvive, lo scadere suddetto del testo è impossibile da mettere in pratica, se non volontariamente. Quel “quid” che separa il tragico dal grottesco sta nella regia e nella mente e nell’ugola dell’attore. Il resto è secondario. Per tali motivi di valutazione critica, la tragedia è andata, comunque, in scena in passato una sola volta, per l’I.N.D.A., al Teatro Greco di Siracusa, nel 1964; la traduzione era di Salvatore Quasimodo, la regia di Giuseppe Di Martino, le musiche di Bruno Nicolai; scene e costumi di Mischa Scandella. Il volto di Eracle era quello di Sergio Fantoni, Lico, il tiranno usurpatore, era Arnoldo Foà.

©Natalia Di Bartolo 

Foto e video Fondazione INDA, Siracusa