ウィーン国立オペラ座でのマクベス – ナタリア ダンタスによるレビューします。 – Placido Domingo nella parte del titolo in una discutibile edizione.
“ POLONIO : Che cosa state leggendo, monsignore?
[…]
AMLETO: Calunnie, signore. Questa birba satirica sostiene che i vecchi hanno barbe grige, facce grinzose, occhi che spurgano ambra densa e gomma di susino, e gran deficienza di senno assieme a natiche debolissime – tutte cose, signore, che anch’io credo fortissimamente e in profondo […]. Anche voi signor mio difatti invecchierete come me – se poteste rinculare come i granchi.”
Questo dialogo teatrale skakespeariano è venuto in mente a chi scrive giorno 1 novembre 2019, in un illustre teatro, quello del Wiener Staatsoper, durante la rappresentazione del Macbeth di Verdi. Skakespeare chiama Shakespeare…
La considerazione che Amleto fa a Polonio si adatta perfettamente alle condizioni di ciascuno di noi, nessuno escluso ed eccettuato: la vecchiaia è una brutta bestia e non si può rinculare come i granchi per ringiovanire. La vita è fatta anche di accettazione della vecchiaia. Ma forse, anzi, sicuramente, quando si tratta della vecchiaia di un grande, allora diventa ancora più difficile accettare la barba grigia, la faccia grinzosa e tutto il resto. Ma giunge per tutti il momento di prendere atto della propria condizione.
Si è voluto utilizzare questo dialogo di altissima drammaturgia per un personaggio di altissima caratura teatrale: Placido Domingo. Non meno di tanto, per il grande Placido. Ma è ora di cedere le armi canore anche per lui, dopo una lunghissima, sfolgorante, inarrivabile carriera.
Vederlo ancora sul palcoscenico, curvo, con l’aria provata, l’emozione che toglie il respiro all’inizio, il pericolo continuo di non ricordarsi le parole, non è stato un bello spettacolo. Lo immaginiamo: era là con la forza del proprio carattere e della propria autorevolezza, al di là di qualsiasi accadimento di cronaca degli ultimi mesi, al di là di tutto, amato ancora, idolatrato dalla folla in delirio ancora oggi, che alla fine dello spettacolo gli ha tributato oltre un quarto d’ora di applausi.
Ma questo non giustifica una resa musicale sfibrata e stanca; la mancanza di fiato che gli impediva di concludere le frasi musicali, la schiena curva per gli anni, le gambe non più forti come una volta, la dipendenza spasmodica dalla buca del maestro rammentatore.
Si trattava di Macbeth, oltretutto: un Macbeth che si è dimostrato da parte del grande tenore, oggi baritono, scenicamente e vocalmente inappropriato. Catapultato, fra l’altro, in una produzione cervellotica di Christian Räth, che è quella attualmente in uso a Vienna per il capolavoro verdiano, vista e rivista, nonché anche recensita con altri cantanti.
La regia di Räth, insieme alla messa in scena di Gary McCann, richiamava inevitabilmente un cinematografico Riccardo III regia di Jan Loncraine, 1996, film di altissima qualità, ma forse il regista aveva letto più attentamente la tragedia shakespeariana che il libretto del Piave, poiché ha colto momenti abbastanza suggestivi, ma ha anche commesso svarioni inconsulti. Su certe ingenuità fumettistiche, poi, come quella del pugnale nella busta di plastica trasparente presentato agli astanti come arma del regale delitto, purtroppo, non si può sorvolare.
Una ambientazione ed una regia assolutamente non tradizionali, quindi, che ancora di più accentuavano la inadeguatezza a cui ormai il grandissimo artista è costretto a soggiacere. Ma nessuno, si ritiene, lo costringe a continuare a cantare. Dirige bene, il podio è suo…Potrebbe essere sua anche la regia; mille occasioni che già esistono o che potrebbero crearsi farebbero in modo di toglierlo dal palcoscenico senza allontanarlo dal teatro.
Ci auguriamo che la sua età canuta prosegua ancora per lunghi e lunghi anni, nella serenità e nella musica. Non ci porti, però, ancora tristezza nel vederlo così dibattersi per essere all’altezza di un protagonista dalla parte improba vocalmente e scenicamente, in balìa delle follie registiche di oggi.
Questo discorso non vale solo per lui, ma per tutti i grandi che come lui, ad un certo punto giungono all’età di cui parlava Amleto.
Se poi gli si mette accanto pure un soprano ormai anch’esso dalla vocalità sfibrata, come Tatiana Serjan, nonostante l’ancora relativamente giovane età, non gli si fa certo un favore. Di rimando, con un Domingo in quelle condizioni, il suo compito è diventato davvero pressoché impossibile.
La Serjan, ascoltata e recensita sempre a Vienna e sempre nella stessa parte quattro anni fa, ha perso il vibrato largo che la contraddistingueva allora (il che non è un male) ma ha perso soprattutto totalmente lo squillo. Troppo ardua, dunque, la parte per un’interprete che, oltretutto, non possiede la dovuta versatilità, nonostante il bel colore drammatico della zona media. Quindi, non può sostenere una parte come quella della Lady, che richiede i gravi, i filati, ma anche lo squillo suddetto e la potenza, la capacità di sovrastare l’intero palcoscenico di colleghi e coro.
Invece, sia Domingo che lei, nel momento in cui potevano farsi coprire dal coro e dall’orchestra, praticamente tacevano. Una sorta di “nascondino” che può sfuggire ad un orecchio non particolarmente allenato, ma che non sfugge all’intenditore.
Il Maestro Pierpaolo Bisanti, alla guida dei Wiener, come disse simpaticamente un grande cantante a proposito dei direttori dalla bacchetta “robusta”, “ha un po’ di cemento nel braccio”. Dunque per lui dirigere la stupenda orchestra viennese era come avere non una, ma due Ferrari da guidare contemporaneamente, facendole rombare con estremo gusto. L’orchestra, quindi, era decisamente forte e probabilmente lo era appositamente ancor di più verso la parte finale dell’opera, perché le potenzialità dei cantanti in scena andavano affievolendosi…
Noi sappiamo benissimo che il Maestro Bisanti sa dosare comunque le dinamiche ed esprimere le finezze. Fra l’altro i tempi verdiani erano perfetti. MA…il suono era lanciato a più non posso per coprire a volte perfino le magagne di un coro sbandato anch’esso. Ci si stranizza pure di questo: il coro del Wiener Staatsoper è sempre stato un orologio, in questa produzione. Cosa è successo dunque a tutti in questa serata poco felice?
A questo punto, coloro che non avevano ancora bisogno di rinculare come i granchi, perché nel pieno delle proprie forze e facoltà vocali, spiccavano come fossero delle perle, anche se perle non erano. Ryan Speedo Green, il migliore in scena, in verità, non era una perla (nera nel suo caso) come Banco. E non era una perla neanche il tenore orientale Jinxu Xiahou, Macduff. Ma avevano la voce integra e questo li faceva spiccare comunque.
Tutto ciò per dire che ogni cosa ha il proprio tempo e che c’è un tempo per ogni cosa. Ma del resto, noi cronisti (è più corretto non usare la parola “critici”) siamo qui non per giudicare, ma per prendere atto e tramandare quello che accade in teatro. E quello che accade in teatro, quando ci sono in ballo figure mitiche come Placido Domingo, non è più cronaca, ma è storia.
La storia non va dimenticata, ma ricordata: non è né bella né brutta, è solo se stessa: STORIA.
ナタリア ・ ディ ・ バルトーロ
PHOTOS © MICHAEL PÖHN