Intervista a FRANCESCO IZZO direttore scientifico Festival Verdi

Intervista a FRANCESCO IZZO direttore scientifico Festival Verdi- by William Fratti- L’attività scientifica del Teatro Regio di Parma alla ricerca del volere originario del compositore.


Il Festival Verdi non è soltanto spettacolo. Già da alcuni anni l’attività del Teatro Regio di Parma è saldamente legata all’attività scientifica volta alla ricerca del volere originario del compositore, al fine di ripulire il suo lavoro il più possibile, fortemente popolare e fin troppo saturo della tradizione del Novecento.

Francesco Izzo

“Le edizioni critiche in programma quest’anno al Festival Verdi sono tre – ha spiegato il direttore scientifico Francesco Izzo – alcune disponibili già da tempo, altre più recenti. Quella di Nabucco, curata da Roger Parker e pubblicata nel 1987, fu tra le prime a uscire nella serie di cui ora sono direttore. E Luisa Miller, curata da Jeffrey Kallberg, fu pubblicata nel 1991. I due Foscari, invece, curata da Andreas Giger, è molto più recente ed è uscita a stampa nel 2017. Quest’ultima si serve innanzitutto, come d’abitudine e come è giusto, della partitura manoscritta autografa di Verdi, conservata ancora oggi nell’Archivio Storico Ricordi a Milano. In base a una lettura meticolosa di quella fonte sono stati corretti o introdotti numerosi segni di articolazione e fraseggio, e sono stati modificati dettagli relativi al testo poetico. Dobbiamo ricordare che prima dell’Unità d’Italia, le attività dei teatri per i quali Verdi componeva le sue opere erano rigorosamente controllate dalla censura dei vari stati italiani. Gli autografi di Verdi spesso riportano tracce degli interventi dei censori, con singole parole o talvolta anche passi piuttosto estesi che venivano cancellati e riscritti. Per nostra fortuna, le versioni originali sono spesso ancora leggibili, e possiamo quindi restituirle agli interpreti e al pubblico così come Verdi li aveva intesi. Un esempio affascinante è nel primo numero cantato dal Doge, la romanza nell’Atto I. Il recitativo, così come l’abbiamo spesso ascoltato, si concludeva con le parole “Padre e prence qui sono sventurato”, ma il testo originale, che si legge nell’edizione critica e che quindi ascolteremo a Parma, è molto più drammatico e dispregiativo nei confronti dell’autorità politica: “Uno schiavo qui sono incoronato”. Altrove, la parola “maledetto” era risultata sgradita ai censori dello Stato Pontificio e pertanto alterata in “scellerato” o in altre maniere; per esempio nel secondo atto Jacopo ora canterà, come intese Verdi, “Maledetto chi mi toglie”, non “Pera l’empio che mi toglie”. “Sul suo campo piombi Iddio”, espressione fortemente drammatica, era stato cambiato in “Sien vendetta al dolor mio” e noi abbiamo restaurato la versione incensurata. E così via. Anche se l’edizione critica de I due Foscari fu già eseguita alcuni anni fa, proprio a Parma in occasione del Festival 2009, si trattava allora di una versione preliminare. Lo studio attento di un manoscritto conservato nella biblioteca del Conservatorio di Napoli ha permesso di individuare annotazioni di mano di Verdi, che ci hanno portato a modificare alcuni dettagli nell’edizione critica che ora consideriamo definitiva. Dunque, non sorprendiamoci se noteremo qualche piccola differenza rispetto a quanto abbiamo ascoltato in precedenza! Infine dobbiamo ricordare che qualunque edizione critica, preparata scrupolosamente e con uno studio attentissimo di tutte le fonti disponibili, informa l’interprete di varie possibilità e alternative disponibili, fornendo note a piè di pagina e un dettagliato commento critico che permettono di scegliere tra lezioni diverse. Ricordiamo che, soprattutto nella prima parte della sua carriera, Verdi lavorava a stretto contatto con i suoi interpreti, e talvolta componeva versioni modificate o addirittura del tutto nuove di alcuni passaggi delle sue opere. Nei I due Foscari per esempio, in occasione della prima parigina al Théâtre Italian dove il ruolo di Jacopo fu interpretato dal celeberrimo tenore Mario (Giovanni Matteo De Candia, ndr), grande belcantista dotato di estrema facilità in acuto, Verdi scrisse una nuova cabaletta per questo artista, “Sì, lo sento, iddìo mi chiama”. Questa cabaletta, già ascoltata talvolta nelle incisioni di grandi tenori del nostro tempo, è inclusa nell’edizione critica e gli esecutori possono decidere di utilizzarla al posto di quella che si ascolta comunemente, “Odio solo, ed odio atroce”. Questo non avverrà a Parma quest’anno, ma è una possibilità. Analogamente l’edizione critica di Nabucco fornisce una versione puntata, ovvero con la tessitura spostata verso l’alto, della preghiera di Fenena, preparata appositamente da Verdi per una certa Amalia Zecchini, che cantò la parte in una ripresa dell’opera alla Scala nell’autunno del 1842. Se disponiamo di una voce che si trovi a suo agio con questa versione, non dobbiamo esitare a utilizzarla. Dalle mie poche osservazioni a proposito de I due Foscari, è già chiaro che un’edizione critica, quando si tratta di un’opera di Verdi, nella maggior parte dei casi non stravolge il testo che già conosciamo, ma lo ripulisce, diciamo così, e lo rende più accurato e più vivido, così come avviene quando si restaura un dipinto o una scultura. Si rimuovono le tracce del tempo, le correzioni o aggiunte fatte affrettatamente, arbitrariamente, o per ragioni di decoro, per esempio nascondendo dettagli anatomici che erano ritenuti offensivi. Nell’Ottocento, oltre agli interventi dei censori, c’erano copisti e impiegati delle case editrici che lavoravano spesso con scadenze molto ravvicinate. Il lavoro del curatore è proprio come quello del restauratore; tutto va fatto con estrema cautela, e controllando meticolosamente ogni fonte, ogni dettaglio; ed è per questo che impieghiamo più tempo a preparare un’edizione critica di quanto non ce ne mettesse Verdi per comporre una nuova opera!”.

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Illustrazioni realizzate da Pierpaolo Gaballo per I due Foscari, Luisa Miller, Nabucco – Festival Verdi 2019

 Molto di frequente si accendono intensi dibattiti in merito alla vocalità del primo Verdi. Nelle opere che saranno eseguite al Festival 2019 – Nabucco, I due Foscari e Luisa Miller – quanto c’è di belcanto, quanto c’è dei predecessori come Donizetti, Bellini e Rossini, quanto invece c’è già del Verdi maturo?

“Ottima domanda. Spesso consideriamo Verdi radicalmente diverso dai suoi predecessori del primo Ottocento. Ma non dobbiamo dimenticare che la nostra percezione di Verdi, e soprattutto della sua vocalità, si è formata non tanto durante la vita del compositore, ma principalmente nel ventesimo secolo, prendendo in considerazione con rare eccezioni le opere da Rigoletto in poi. Si pensi a quanto fece il Metropolitan di New York per il bicentenario del 2013: sette opere verdiane in cartellone e nessuna di esse anteriore a Rigoletto! Restano fuori da questo quadro più della metà delle opere di Verdi. Quelle che spesso, sbagliando grossolanamente, vengono chiamate le opere degli “anni di galera”. Facciamo attenzione, per carità; se vogliamo proprio usare questa espressione, ricordiamoci almeno che essa fu coniata dallo stesso Verdi e che comprende, come egli scrisse, “sedici anni di galera”, ovvero da Nabucco alla gestazione di Un ballo in maschera. In realtà, se studiamo attentamente quelle sedici opere che precedono Rigoletto, ma anche le opere della cosiddetta trilogia popolare, troviamo tanti elementi di continuità con le convenzioni del primo Ottocento, per esempio nell’impiego frequente di procedure formali e convenzioni drammaturgiche già definite all’epoca di Rossini. E troviamo una vocalità che è certamente belcantistica: Verdi richiede alle sue voci non tanto veemenza, ma agilità, controllo, e duttilità. Nelle opere di Verdi c’è canto di agilità, ci sono trilli e volate, ci sono indicazioni di cantare piano o anche pianissimo, con due o tre o più “p”! E, come abbiamo detto a proposito di Nabucco e de I due Foscari, egli scrive sempre per e con cantanti specifici, lavorando fianco a fianco con loro, sfruttandone e mettendone in risalto le doti. Questo avviene non solo nei casi che ho descritto della preghiera di Fenena e della cabaletta di Jacopo Foscari, ma in molte altre circostanze, da I lombardi alla prima crociata ed Ernani alla musica per Foresto in Attila, mostrandoci che, se cambiano gli interpreti o le circostanze, può cambiare anche la musica. In poche parole, nel rapporto tra Verdi e i cantanti si vede la continuità con un sistema creativo e produttivo già consolidato, che poi si rinnova anche grazie a Verdi, ma gradualmente e senza strappi o tagli netti”.

Negli ultimi venti anni è diventato sempre più difficile ascoltare cantanti adeguati al repertorio verdiano, mentre si è alzato tantissimo il livello degli interpreti di Rossini e del barocco, dove l’attività scientifica ha fatto passi da gigante. Come e quanto può influire il lavoro di revisione ed edizione critica sull’interpretazione?

“Credo che il lavoro scientifico, anche alla luce di quanto ho detto prima sulla vocalità, sia importante perché ci permette di liberarci di certi stereotipi, o per lo meno di metterli in discussione. Il canto verdiano non è una categoria astratta, né tantomeno qualcosa di totalmente distaccato dal repertorio belcantistico. Dobbiamo comprendere che, anche se possiamo giustamente venerare la memoria di tanti grandi interpreti verdiani del Novecento, e persino provare una certa nostalgia per certe interpretazioni leggendarie che abbiamo potuto ascoltare dal vivo o apprezzare in registrazione, tante cose venivano fatte arbitrariamente; si tagliavano lunghi passaggi di musica (per esempio le ripetizioni delle cabalette, che invece sono importantissime, o le seconde strofe delle arie di Violetta ne La traviata), si utilizzavano cadenze banali, si resisteva all’idea di introdurre abbellimenti e variazioni. Queste sono tutte cose che ora stiamo rivalutando e rettificando. Personalmente non credo che ci sia una carenza di interpreti verdiani, ma credo che il canto verdiano di oggi stia cambiando, e questa non è una cosa di cui rammaricarsi. Anzi, abbiamo tanti cantanti già affermati che si sono avvicinati a Verdi con grande apertura mentale e originalità (ne nomino una: Lisette Oropesa, che ha fatto un lavoro splendido alla Scala ne I masnadieri e che nel prossimo anno sarà Violetta in varie produzioni importanti), e abbiamo giovani interpreti che negli anni a venire, con le guide giuste, con le edizioni critiche a portata di mano, lavorando con direttori e colleghi bene informati e con il sostegno di un pubblico dalla mente aperta, potranno non solo eccellere come voci verdiane, ma dare un apporto creativo e farci vivere Verdi in maniera sempre nuova. Questo per me è il significato più importante e più alto dell’espressione “viva Verdi!”: non parliamo di monumenti, di immobilità e di stereotipi che si perpetuano, ma piuttosto, soprattutto, di creatività, immaginazione, studio, scoperta e riscoperta, insomma, di un’arte che sia davvero “viva”.

Ci sono in serbo delle novità per il 2020?

“Sì, nel 2020 avremo una grossa novità: eseguiremo per la prima volta una nuova edizione critica di un’opera importante del primo Verdi, un titolo che mi sta molto a cuore. Potremo darvi notizie più specifiche in autunno!”.

William Fratti 

PHOTOS Teatro Regio Parma