Interview: LUCA PISARONI basso-baritono

Interview: LUCA PISARONI basso-baritono debutta al Rossini Opera Festival 2017 nella nuova produzione in edizione critica de Le siège de Corinthe

ウィリアム・フラッティ著


Internazionalmente conosciuto per essere uno dei cantanti più carismatici e versatili della sua generazione, il basso-baritono italiano Luca Pisaroni debutta al Rossini Opera Festival 2017 nella nuova produzione in edizione critica de Le siège de Corinthe. “È stata una bellissima esperienza, un periodo molto lungo, ma con un’atmosfera piacevole. Per me è stata la prima volta a Pesaro, la prima con Roberto Abbado e la prima con La Fura dels Baus. Inizialmente ci si spaventa un po’, perché è un Festival con una lunga storia di grandi artisti che hanno cantato questo repertorio, ma siamo venuti tutti qua per cercare di fare il meglio, per ottenere il meglio che si può, dunque si abbandona gradualmente questo timore reverenziale e dopo i primi giorni si lavora normalmente. L’ambiente aiuta molto, dalla produzione ai maestri collaboratori. Quest’opera è stata un’esperienza nuova per tutti, in edizione critica, con molta musica mai stata eseguita in tempi moderni, tra cui il concertato di primo atto, alcuni passaggi del duetto e molte parti dei ballabili, pertanto in principio cercavamo tutti di prendere le misure. La produzione del 2000 era molto diversa, non sembra, ma diciassette anni fanno una grande differenza. Era uno spettacolo molto statico, come molti altri dello stesso repertorio, ma oggi questa cosa è cambiata e piano piano Rossini è stato riportato al teatro proprio grazie al ROF. Ritengo che si debba trovare una ragione drammatica per tutto ciò che Rossini ha scritto, la coloratura non deve essere solo un’esibizione di bravura, ma deve avere anche una valenza nel dramma e in questo il Festival è cambiato tanto. Specialmente trovo che i recitativi accompagnati siano bellissimi e se si eseguono partendo dall’idea che le parole hanno la più grande importanza e la musica è un aiuto a commentarli, allora quello che succede è che acquisiscono una potenza, un’intenzione e in questo credo che ci siamo riusciti con il Maestro Abbado. Fin da quando ho lavorato con Harnoncourt a Salisburgo, ritengo che i recitativi siano scritti semplicemente per avere una struttura, ma poi è l’interprete che deve dare una forza drammatica e un fraseggio, se no non ha senso ed è per quello che qui abbiamo lavorato tanto, poiché esattamente come in Mozart nei recitativi c’è molta più azione che in un’aria o un assieme e che la storia viene portata avanti”.

Diventato famoso per il suo canto mozartiano e per aver vestito i panni di diversi personaggi del periodo classico e barocco, Luca Pisaroni ha cantato anche molti ruoli del belcanto italiano. “Ho sempre tenuto Rossini in repertorio e questa idea che ci si debba specializzare secondo me non è più vera per il mio tipo di voce. Così non è per certi tipi di soprano, contralto o tenore, ma per la mia vocalità non c’è più questa esigenza. Si pensi a Samuel Ramey, grande interprete di Attila, ma anche il basso rossiniano di riferimento per tutti. Negli anni Cinquanta queste categorie di cantanti non esistevano, si cantava tutto e credo sia giusto, poiché ci sono delle intenzioni musicali e un modo di cantare che non sono solo specifici di Rossini, che è un compositore un po’ ibrido, ha la coloratura del barocco, ma il fraseggio e le lunghe frasi del belcanto, una specie di ponte fra questi repertori. Per me questi ruoli vanno affrontati immergendosi completamente nel dramma, mentre l’idea di cantare e non muoversi è passata. In questa parte cerco di dare veramente tutto da un punto di vista emotivo, amo molto Mahomet, ci si diverte tanto a interpretare i cattivi in palcoscenico. È un ruolo molto complesso e interessante, perché dal momento in cui sente la voce di Pamyra il suo mondo cambia. Questo personaggio, che si pensa non abbia sentimenti, che sia gelido e solamente autoritario, nell’opera non lo è; forse lo è stato nella storia vera, ma qui ci sono molte più insicurezze e un forte lato romantico, specialmente ne Le siège de Corinthe. In Maometto II il suo lato guerriero esce di più, mentre nella versione francese ho l’impressione che ci sia meno violenza, soprattutto se si pensa al momento in cui arriva, al duetto con Pamyra e ai terzetti. Ho sempre cantato Rossini e continuerò a farlo, l’importante è cantare bene: debutterò in Mustafà a ottobre a Vienna, dove poi riprenderò Alidoro a febbraio e sinceramente tornerei molto volentieri a Pesaro, ma non dipende da me”.

La vocalità del basso-baritono è particolarmente adatta anche al repertorio francese. “Ho avuto una carriera molto prudente, poiché ho sempre pensato che affrontare certi ruoli troppo presto fosse un errore. Nel repertorio barocco e mozartiano l’orchestra è diversa e il peso specifico richiesto dalla voce è minore rispetto a Rossini e ancor di più al repertorio francese. Ho aspettato il momento adatto e l’anno scorso ho debuttato in Méphistophélès in Faust, debutterò in Golaud in Pélleas et Mélisande a settembre a Parigi, poi in futuro ci saranno Les contes d’Hoffmann e mi piacerebbe tanto anche La damnation de Faust, perché trovo che questi ruoli siano giustamente scritti per il mio tipo di voce, che è un ibrido, è proprio in mezzo tra il basso e il baritono. Quando ho affrontato Faust ero un po’ titubante, perché è quasi sempre stato interpretato da vocalità di basso puro, ma la scoperta positiva è stata che la tessitura tende al baritono e lo stesso vale per Golaud. Non mi piace categorizzare le voci e fortunatamente all’estero lo si fa meno che in Italia, anzi è addirittura consigliata l’importanza di avere il più ampio spettro di repertorio, dai Lieder, ai concerti, fino all’opera, senza questa idea di purezza che se si canta Schubert non può cantare altro. La mia idea è quella di cantare bene quello che canto. Un collega più anziano un tempo mi ha fatto presente che se avessi aspettato che la gente mi dicesse che ero pronto per cantare qualcosa di diverso oltre a Mozart, non avrei mai spaziato il mio repertorio, perché non me lo avrebbe mai detto. Bisogna sempre spingere un poco i propri limiti per capire ciò che si può cantare e la verità è che non si sa se un ruolo è adatto finché non lo si canta. Talvolta si guarda lo spartito e si pensa che sia facile, poi cantando ci sono dei passaggi con una certa tessitura e un peso orchestrale che improvvisamente diventano difficili, e altre parti che sembrano particolarmente ardue poi invece sono scritte talmente bene che riescono molto più facilmente. Non c’è altra via, bisogna cantare e alle volte bisogna fare una serie di recite per capire se un personaggio è veramente azzeccato. Un ruolo lo si matura cantandolo, è veramente difficile esserne completamente padrone la prima volta, mentre la seconda volta è sempre più facile”.

Luca Pisaroni ha debuttato con la Filarmonica di Vienna diretta da Nikolaus Harnoncourt al Festival di Salisburgo all’età di ventisei anni e da allora è sempre stato presente nei teatri e nelle sale più importanti del mondo, mentre le presenze in Italia si contano sulle dita di una mano. “Non è stata una mia scelta ma è successo così, semplicemente perché ho partecipato a una serie di audizioni all’estero e hanno iniziato a offrirmi dei ruoli. Trovo divertente che siano stati Alexander Pereira a invitarmi alla Scala ed Ernesto Palacio al Rossini Opera Festival, entrambi non italiani. Oggettivamente sono cresciuto musicalmente e artisticamente all’estero e non è stato voluto, semplicemente ho sempre cercato di scegliere i miei impegni in base ai ruoli che pensavo di poter fare miei e in cui pensavo di riuscire a dare un’impronta personale. Non ho mai scelto i teatri in cui cantare, mentre sono sempre stato molto curioso per il repertorio e interessato a spaziarlo. Se non sbaglio Mahomet è il mio trentaduesimo ruolo e ho eseguito anche tante opere sconosciute, credendo che la vita di un cantante sia bella perché c’è tanta varietà che la mantiene interessante. Tornerò alla Scala il prossimo giugno con Fidelio e con un concerto con la Filarmonica in un programma di Lieder di Schubert orchestrati. Adoro Fidelio e sono molto contento, soprattutto mi piace quando un teatro mi chiede di fare questi ruoli un po’ inusuali per un cantante italiano. Personalmente continuo a lottare contro gli stereotipi, non deve essere inimmaginabile che un italiano sia interessato a cantare liederistica, piuttosto che il Requiem di Brahms, o altro repertorio operistico che non sia Belcanto, Verdi e Puccini. Purtroppo è ormai un luogo comune in Europa e anche per questo nel concerto del 15 agosto ho eseguito dei Lieder tedeschi, credo sia giusto affrontare un repertorio diverso, poiché come musicisti abbiamo qualcosa di unico da dire per quanto riguarda l’attenzione alla parola, come porgere il suono, la dizione, il legato e il fraseggio. È importante per i cantanti giovani affrontare il repertorio delle canzoni, della mélodie, si impara tantissimo su come esprimere qualcosa in un recital, poiché la prima cosa è comunicare col pubblico, rendere manifesto ciò che si pensa di ciò che si sta cantando e questo aiuta moltissimo anche nell’opera”.

A giugno Luca Pisaroni sarà impegnato in Italia anche con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino in un concerto diretto da Fabio Luisi durante il Festival di Primavera interamente dedicato alla memoria di Gioachino Rossini.

ウィリアム・フラッティ

PHOTOS Studio Amati Bacciardi, Pesaro