Review: TOSCA al Wiener Staatsoper

Review: TOSCA al Wiener Staatsoper con Jonas Kaufmann e Martina Serafin.

By Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic


Ti trovi e a Vienna e mettono in scena la tua milionesima Tosca? Di corsa in teatro, anche perché degli annunciati Gheorghiu e Kaufmann in cartellone, almeno rieci a vedere il secondo.

Infatti la Gheorghiu, indisposta giusto nell’ultima recita, è stata sostituita tempestivamente da Martina Serafin ed io ho visto quella recita. Personalmente Tosca a Vienna mi sembra l’opera delle sostituzioni. E sempre la Serafin ne è protagonista.

Due anni fa, infatti, alla prima del 2 dicembre, il soprano, forse in un impeto interpretativo, si gettò malamente dagli spalti di Castel Sant’Angelo e i materassi non bastarono ad attutire il colpo: si ruppe una gamba. Costernazione serpeggiante nel teatro viennese, ma immediata sostituzione con Maria José Siri, che fu la mia Tosca di allora e non la fece rimpiangere.

Questo dell’ 8 maggio 2017 è stato dunque per me il sequel “Tosca, il ritorno”, con la Serafin presa per i capelli e messa al posto della Gheorghiu all’ultimo minuto. Era destino che, prima o poi, vedessi la Martina nei panni di Floria a Vienna. Stessa produzione di Nicola Benois, oltretutto, come due anni fa. Sembrava un déjà vu, ma in realtà non lo era affatto: cambiava anche il Direttore, Il M° Eivind Gullberg Jensen, e quindi cambiava moltissimo. A parte il fatto che cambiavano pure i comprimari, oltre che i protagonisti, ed il sagrestano di Paolo Rumetz era nettamente superiore a quello visto durante la degenza della Serafin in ospedale, così come lo era l’Angelotti di Clemens Unterreiner.

Ma veniamo al punto ed il punto era Jonas Kaufmann nei panni di Cavaradossi. Legioni di fans assiepavano il teatro, cinque minuti di applausi a “E lucevan le stelle”. Bis concesso, come una reliquia…e da qui occorre partire per parlare di questa Tosca viennese con un protagonista idolatrato, ma che a me personalmente, non ha mai convinto del tutto come impostazione vocale nel canto che non sia tedesco.

Dopo averlo ascoltato a Monaco qualche mese fa come ottimo Andrea Chénier, che è forse la parte nell’Opera italiana che più gli si addice vocalmente, adesso in questo ruolo pucciniano, già da tempo collaudatato, era tutto uno stare a sentire. Il suo colore, brunito alla tedesca, non mi piace, né mi piace la sua tecnica di emissione nell’opera italiana (e neppure in quella francese). Ma il Kaufmann è molto cambiato negli ultimi anni, decisamente in meglio. Ha capito che non deve stimbrare nei piano e pianissimo. Ma ogni tanto lo dimentica? Lo ha dimenticato forse anche nel primo “E lucevan le stelle”, dove ha sfiorato il falsetto in maniera insopportabile. Considerazione automatica: “è chiaro: va in falsetto perché non sa modulare la voce nei piano”. Errore! Lo sa benissimo, invece! Se non lo avesse saputo, al bis non avrebbe cantato finalmente l’aria celeberrima alla perfezione. Ma allora, se sai come si canta Puccini, perché lo canti come Bizet de Les pêcheurs de perles?

Certo è che che questo giovanottone di gran bell’aspetto rimane uno dei fenomeni vocali dell’ultimo decennio. Ma se il bel Jonas fa finta di dimenticare di mettere l’appoggio ai piano (gli viene molto più comodo, tanto i fans lo applaudono lo stesso), sempre al terzo atto, dopo quel diluvio di applausi e il bis, si è perso totalmente nelle braccia della Serafin, probabilmente per un vuoto di memoria dopo lo stress del bis. Una parte del duetto è andata farfugliata non solo nelle parole, ma anche nelle note. La Serafin, desolata, non poteva che coprirlo con la sua stazza. Lode al Maestro Jensen che è stato capace di salvare capra e cavoli, seguendolo ed imboccandolo col cucchiaino, in improvvisate variazioni che Puccini avrà ascoltato dall’Empireo con un certo interesse. Poi lo Jonas si è ripreso, ma questo lato umano ha fatto quasi tenerezza. Il giovanottone è di carne ed ossa e la tensione gioca brutti scherzi anche a lui, che comunque qualche fischio, tra le ovazioni dei fans in delirio, a Vienna se lo becca quasi sempre.

Transeat. Una Tosca che complessivamente non è stata proprio da manuale, perché se il Maestro Jensen ha supportato l’interprete in difficoltà con grande perizia, dall’altra parte ha dato fiato ai Wiener senza sosta, per l’intera rappresentazione: un clangore a momenti insostenibile, un volume stratosferico di un’orchestrona meravigliosa. Il Maestro imperversava felicemente, probabilmente forte del fatto che le voci in palcoscenico fossero in grado di non farsi coprire.

La Serafin, infatti, pur poco espressiva, ha una voce squillante e ben proiettata, ha cantato correttamente, il suo SI bemolle del “Vissi d’arte” era in tono e tutto il resto al proprio posto. E poi il suicidio dagli spalti questa volta era soft…Tosca scendeva due o tre scalini prima di scomparire nel vuoto. Sfido io: il salto era lo stesso di due anni fa!

Lo Scarpia di Marco Vratogna, invece, se vocalmente è andato molto meglio di come lo avevo sentito a a fianco della Opolais a Baden Baden nell’aprile scorso, qui a Vienna sembrava profondamente annoiato. Sarà stato l’effetto “viscido” che voleva ottenere, ma certo è che il suo Scarpia routinario non avrebbe fatto paura a una mosca.

La produzione, vista e rivista, di Nicola Benois ha prestato allo spettatore per l’ennesima volta l’ambientazione tradizionalissima e gli stessi difetti riscontrati due anni fa: i colori del pittore, giugno dell’anno 1800, erano in tubo! Ancora? E, come la volta scorsa, la penna del carceriere all’ultimo atto non aveva calamaio, ma scriveva meglio di una biro. Kaufmann non ha la prontezza e la capacità istrionica di un Alagna, che due anni fa il calamaio se lo inventò: qui si scriveva una lettera intera senza inchiostro…

Finale di applausi durato oltre un quarto d’ora, come ovviamente s’immaginava; apoteosi del Kaufmann, applausi per tutti. Ma Tosca a Vienna è comunque sempre uno spettacolo da non perdere.

Chi sostituirà chi alla mia prossima Tosca?

 

Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic

PHOTOS © Wiener Staatsoper | Michael Pöhn