Review: L’ITALIANA IN ALGERI, tripudio rossiniano a Vienna

Review: L’ITALIANA IN ALGERI, tripudio rossiniano a Vienna, con un cast straordinario, sotto la direzione del M° Evelino Pidò.

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I capolavori dell’Opera sono tali perché sono eterni. Ma è più facile che un capolavoro dell’Ottocento ancora oggi sia capace di far piangere lo spettatore: molto più difficile farlo ridere. Come di regola in teatro, del resto. E’ anche per questo che Rossini è un genio indiscusso: basta saperlo mettere in scena debitamente ed ancora oggi si sorride, si ride, addirittura.

E si è sorriso ed anche riso alla grande al Wiener Staatsoper di  Vienna il 5 aprile 2017 con l’Italiana in Algeri, messa in scena nella storica, come sempre geniale, produzione di Jean Pierre Ponnelle. E sorridere d’italianità a Vienna non sempre è facile, soprattutto se sul palcoscenico c’è un cast che italiano non è per niente. Eppure la fusione perfetta di questo straordinario cast, in un ingranaggio rossiniano che ha funzionato meglio di un orologio, ha saputo ridonarci la brillantezza capolavoro di un’opera che ha bisogno non solo delle voci, ma anche delle caratterizzazioni dei personaggi.

Molto graziosa, ma soprattutto straordinaria vocalmente l‘Italiana di Margarita Gritskova, che è russa, classe 1987. Una vocalità scurissima, con un’agilità impressionante e degli acuti che arrivano allo squillo. Una voce decisamente fuori dal comune, che per Rossini sembra fatta su misura, ma che può cantare di tutto, e non solo en travesti, animata anche da uno spirito di abile capacità scenica. Una gioia ascoltare una voce giovane di tale portata e tecnica: non ha mollato un attimo, le agilità perfette che si sgranavano una dietro l’altra, non un portamento sdilinguito, un bel canto asciutto, di ottima scuola.

Altrettanto bravo, se non ancora più stupefacente il Lindoro di Maxim Mironov. Un altro giovane che ha l’epressività di un attore consumato e la voce coi sovracuti perfetta per i ruoli rossiniani. Rievocati i tempi di Bruce Ford, all’ascolto di tale meraviglia vocale, agilissima e padrona alla perfezione di ogni abbellimento possibile e immaginabile.

Accanto a lui un Mustafà trentunenne, il polacco Adam Plachetka, di una simpatia straripante, perfettamente calato in questo ruolo, nonché dotato di una voce da basso baritono di tutto rispetto.

Altro che nella testa! Il campanello, la Elvira dell’israeliana Hila Fahima ce l’ha nelle corde vocali. Spettacolare squillo con acuti e sovracuti da applausi ad ogni frase musicale.

Il più appannato scenicamente il Taddeo di Paolo Rumetz, che non si ritrova per natura la simpatia caratterizzata del personaggio, ma che vocalmente ha fatto forza compatta con i protagonisti suoi pari ed il resto del cast, tutto da citare e da lodare, perché lo Haly di Rafael Fingerlos era di una comunicativa, anche mimica, da commedia dell’arte e la Zulma di Rachel Frenkel si distingueva anche lei, soprattutto nei concertati, senza perdere un colpo. Per non parlare, poi, della perfezione del Coro del Wiener Staatsoper, diretto da Thomas Lang.

Insomma, un cast da brivido che di italiano aveva solo un dato fondamentale: il Direttore, il M°. Evelino Pidò.

Un nome, una garanzia. Nel guardare Mustafà Pappataci abbuffarsi di spaghetti al pomodoro, ci si immaginava il Maestro Pidò fare lo stesso, trovandosi davanti anziché il piatto italiano per eccellenza, l’orchestra strepitosa del Wiener Staatsoper. Il Maestro si è abbuffato della bravura dei suoi professori ed ha restituito un capolavoro nel capolavoro, in un tripudio rossiniano, a ritmi anche tutti suoi personali, che non si sa bene come il cast per intero sia riuscito a reggere, in alcuni momenti. Ma nessuna meraviglia, a Vienna accade anche questo e sono momenti memorabili, da non perdere. Da manuale, nel complesso, la sua direzione d’orchestra e i suoi squisiti spaghetti viennesi in buca, al dente, sonori e scattanti, hanno brillato di lucentezza e colori rossiniani a tutto spiano.

Anche lo spettatore è uscito dal teatro dopo essersi abbuffato: di qualità. E di qualità non ci si sazia mai.

 

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PHOTOS © Wiener Staatsoper | Michael Pöhn