Aschenputtel in Catania – Recensione/nota di Natalia Di Bartolo – Non ha importanza come Rossini sia stato eseguito e messo in scena: ha vinto la gioia di ritrovarsi in casa propria –
A scrivere questa nota, che non vuol essere una vera e propria recensione, per questa volta, non è un critico musicale, ma una melomane spettatrice del meraviglioso Teatro Massimo Bellini di Catania, la quale già dall’età di cinque anni, col vestitino ricamato e il fiocchetto nei capelli, sedeva al proprio posto in prima fila.
Una prima fila a cui non rinuncerebbe per nulla al mondo, dal lato destro guardando il palcoscenico. Per cui si è sempre sentita dire: “Ma come fai a valutare l’orchestra se spesso, quando la partitura e il direttore lo richiedono, a pochi metri da te, un po’ più in basso, ti ritrovi timpani e percussioni di ogni tipo?” E la risposta immancabile è: “Dopo più di cinquant’anni d’ascolto da quel posto in questo teatro, il mio cervello ed il mio apparato uditivo hanno imparato a bilanciare i suoni in maniera perfetta; per cui, se cambio posto, mi si sbilanciano i miei di timpani!”
Un meccanismo che funziona ancora oggi e che, quando le viene a mancare per qualche tempo, a favore dell’ascolto in altri teatri, dove mai andrebbe a sedersi in prima fila, ma soprattutto quando il Bellini è a rischio di chiusura per vicissitudini del teatro, provoca un senso di astinenza che non si allevia neanche a Vienna o alla Scala. Ella vuole il “suo Teatro”! Quello dove, a quattordici anni, aveva deciso di stabilire la propria dimora in un palco di primo ordine (ovviamene laterale a destra) accontentandosi di un fornelletto e di una brandina, ma vivendo nel luogo più affascinante che potesse esistere ed ascoltando tutto: le prove di ogni tipo, le anti-generali, le generali, tutte le recite, di tutte le opere in cartellone, di ogni anno, a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità.
Ella sa benissimo che se il proprio teatro chiudesse una parte importante della propria vita diventerebbe solo un ricordo, le verrebbero mancare perfino l’odore del velluto, quello del legno, la luce dei lampadari, le mancherebbe un pezzo di se stessa e il luogo dove è nata la direzione professionale che ha preso nella vita.
Dunque, quando vi ritorna, sicura che ci sia un futuro, si spera il migliore possibile per casa propria, quella progettata dal Sada, ornata di stucchi ed affreschi, il cuore le si apre alla gioia, ritrova la propria poltrona di prima fila e per lei questo non ha prezzo.
La Cenerentola dell’11 dicembre 2019, le ha fatto questo effetto. Al di là di qualsiasi considerazione di tipo musicologico e critico sul capolavoro rossiniano, di improba esecuzione e che richiede gran voci di specialisti e una messa in scena brillante ed elegante, un’Opera è andata in scena.
Laura Polverelli nel ruolo di Angelina la Cenerentola, Davide Alegret come Don Ramiro, Vincenzo Taormina nei panni di Dandini, Luca dall’Amico come Don Magnifico, le perfide sorellastre Clorinda di Manuela Cucuccio e Tisbe di Sonia Fortunato, Marco Bussi quale Alidoro, il Coro del teatro, diretto da Luigi Petrozziello, hanno cantato. Ha ritrovato la sua orchestra dal meraviglioso timbro inconfondibile, il vecchio, caro cembalo suonato dal M° Gaetano Costa, il Maestro José Miguel Pérez Sierra in frac, sul podio, a dirigere.
Tutto come nella normalità, con due registi e scenografi di buona volontà, Paolo Gavazzeni e Pietro Maranghi, che con i video di Patrick Gallenti hanno portato vedute e interni di Catania sul palcoscenico, oltre che qualche arredo del teatro di tenera affezione, l’insieme illuminato da Antonio Alario; con una costumista altrettanto di buona volontà come Giovanna Giorgianni che ha vestito anche di vetusti ricordi di velluto rosso e oro le comparse. Insomma: the show must go on!
E, per questa volta, non ha importanza come Rossini sia stato eseguito e messo in scena: ha vinto la gioia di ritrovarsi in casa propria con la sicurezza di potervi ritornare.
Natalia di Bartolo ©
Fotos © James Orlando