LUCREZIA BORGIA a Bergamo – Review by William Fratti – L’opera è stata eseguita secondo la nuova edizione critica curata da Roger Parker e Rosie Ward –
Bergamo, 24 novembre 2019 –
Uno dei drammi più discussi e storicamente rappresentati di Gaetano Donizetti, Lucrezia Borgia è il terzo titolo del festival bergamasco, eseguito secondo la nuova edizione critica curata da Roger Parker e Rosie Ward.
Tra le numerose versioni dell’opera, quasi tutte documentate, il direttore musicale Riccardo Frizza opta per quella andata in scena al Théâtre Italien di Parigi nel 1840, con il ripristino del duetto tra Gennaro e Orsini. Frizza guida la bravissima Orchestra Giovanile Luigi Cherubini con gesto elegante, buon equilibrio nelle dinamiche e grande rispetto per le voci in palcoscenico. Encomiabile la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati, soprattutto nell’intenso finale del prologo e nel duettino tra Rustighello e Astolfo.
Carmela Remigio offre una prova di Lucrezia dall’alto della sua professionalità di belcantista, che trova il suo apice nella dizione e nel fraseggio, con una resa del personaggio perfettamente in linea con l’idea della regia. Vocalmente si ritrova il vigore degli accenti che aveva pure espresso in Anna Bolena, ma sfortunatamente si rinvengono pure i centri un poco vuoti e velati che si erano uditi nell’Elisabetta di Maria Stuarda.
Xabier Anduaga, dotato di uno strabiliante timbro solare, esegue il ruolo di Gennaro ben al di sopra delle aspettative. Già in precedenza si era notata la bellezza, la luminosità, la lucentezza della sua voce, ma in questa occasione è possibile affermare che il giovane tenore ha dell’oro in bocca. C’è da sperare che agenti senza scrupoli e direttori artistici insipienti o incompetenti non lo rovinino proponendogli ruoli sbagliati e troppo in fretta, con false promesse che lo danneggerebbero, a favore soltanto della visibilità e delle tasche di chi lo metterebbe in difficili condizioni.
Marko Mimica è un ottimo Duca, dal timbro vellutato, con sfumature e sfaccettature nella resa di un personaggio interessante, che mette in mostra la rabbia di un uomo innamorato, ma geloso e deluso, piuttosto che un perfido spietato che desidera soltanto salvaguardare la sua proprietà.
Varduhi Abrahamyan è un Maffio di lusso. La sua voluminosa e vellutata vocalità è dotata di corpo, di spessore ed è arricchita da un buon uso delle agilità e dei colori.
Molto bene anche per il lungo stuolo di comprimari, in generale di buon livello e omogenei tra loro, con il Liverotto di Manuel Pierattelli, il Gazella di Alex Martini, il Petrucci di Roberto Maietta, il Vitellozzo di Daniele Lettieri, il Gubetta di Rocco Cavalluzzi e un particolare encomio per i bravi Edoardo Milletti nei panni di Rustighello e Federico Benetti in quelli di Astolfo.
Note positive anche per lo spettacolo di Andrea Bernard, che si avvale di simboli e simbolismi piuttosto chiari collegati alla maternità rubata di Lucrezia, introducendo anche il realismo storico del padre Rodrigo (che si sarebbe preferito interpretato da un figurante più anziano dovendo impersonare un sessantaseienne) che le fa togliere il figlio illegittimo. Altri emblemi appaiono più offuscati e sembrano richiamare a una qualche sorta di girone dantesco. È comunque molto efficace, coerente, curato nei movimenti e nelle gestualità, decisamente attuale nel tema della maternità salvifica e della donna schiacciata dalla società maschilista.
Le scene di Alberto Beltrame, arricchite dalle luci di Marco Alba, sono molto semplici ma piuttosto suggestive e d’effetto, però col grosso neo di essere visibili appieno soltanto dalla platea, mentre i piani superiori si perdono il bel gioco d’ambiente creato dal soffitto dorato. Molto ben adeguati allo spettacolo i costumi di Elena Beccaro, che richiamano la moda rinascimentale con qualche aggiunta dark, oltre alla nota di colore giallo – forse simbolo di salvezza o purificazione – della giacca di Gennaro e dell’abito di Lucrezia.
William Fratti
PHOTOS © Rota