LA STRANIERA di Bellini a Firenze – Review by William Fratti e Renata Fantoni – L’opera meriterebbe di rientrare stabilmente nei cartelloni –
Firenze, 14 maggio 2019. Molto repertorio d’opera della prima metà dell’Ottocento, prevalentemente belcanto romantico, è purtroppo quasi caduto nel dimenticatoio, pur trattandosi di un passo fondamentale per la cultura italiana e l’arte musicale internazionale. E ciò riguarda non solo compositori epigoni o considerati secondari, come Meyerbeer o Mercadante, Paër o Mayr, ma anche alcuni o diversi titoli degli autori ritenuti più importanti.
La straniera di Vincenzo Bellini, come pure la consorella Il pirata, meriterebbe di rientrare stabilmente nei cartelloni, sia per il valore musicale, sia per quello drammatico teatrale.
In questa attesa occasione Fabio Luisi sceglie di eseguire l’opera nella versione 1829, nell’edizione critica a cura di Marco Uvietta di prossima pubblicazione. Sicuramente la direzione e la precisissima Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino sono i veri protagonisti della serata. I suoni sono estremamente puliti e raffinati, i colori sono particolarmente romantici, giustamente patetici o eroici dove necessario. Non da meno è lo strabiliante Coro preparato da Lorenzo Fratini, che si prodiga in fraseggi particolarmente emozionanti.
Salome Jicia è una Alaïde di tutto rispetto, tecnicamente perfetta, con una linea di canto molto omogenea, pregevole nelle agilità. Peccato che venga optato per chiusure con note basse e che le variazioni siano ridotte all’osso, ma è comprensibile trattandosi di un’edizione critica. Anche l’interpretazione non è delle più coinvolgenti, ma la regia e l’allestimento non hanno certamente aiutato allo scopo.
Dario Schmunck torna a vestire i panni di Arturo, sempre sotto la direzione di Luisi, con estrema disinvoltura, molto lineare, voce smaltata, ottima emissione. Pure nel suo caso il fraseggio e la resa del personaggio non sono dei migliori a causa dello spettacolo.
Le stesse argomentazioni che trovano una profonda dicotomia tra la precisione nelle note e la messa in rilievo degli elementi espressivi del discorso musicale, valgono anche per il bravo Serban Vasile, molto corretto, vocalità vellutata, ottimo slancio.
Particolarmente notevole è la Isoletta di Laura Verrecchia. Si trova molto a suo agio col ruolo e mette in mostra le sue abilità di belcantista.
Piuttosto efficaci anche le parti comprimarie di Shuxin Li come Signore di Montolino, Adriano Gramigni come Priore e Dave Monaco come Osburgo.
Lo spettacolo di Mateo Zoni non è purtroppo degno della riuscita parte musicale e vocale. Innanzitutto l’allestimento è troppo visibilmente low cost, diventando di cattivo gusto. I bozzetti delle scene disegnate da Tonino Zera e Renzo Bellanca e dei costumi ideati da Stefano Ciammitti sono piuttosto piacevoli, ma la loro realizzazione è avvenuta con materiali che, sotto le luci piuttosto approssimative di Daniele Ciprì, sembrano perline e paillettes di plastica di poco valore, fogli di alluminio, carta autoadesiva in plastica rifrangente a specchio, latex da magazzino. Per tutto il tempo la parte visiva dello spettacolo sembrava urlare “volevo, ma non ho potuto” distraendo dall’ascolto. Il lavoro di regia non è stato dei migliori, talvolta solo abbozzato. Una mente dominante la si percepiva esclusivamente nei momenti corali, ma piuttosto banale e provinciale. Apprezzabili invece le proiezioni.
I protagonisti non sembravano a loro agio nell’interpretazione e presumibilmente avrebbero reso un miglior fraseggio e maggiore eloquenza se l’esecuzione fosse stata in forma di concerto.
William Fratti et Renata Fantoni
PHOTOS ©Michele Monasta