Review: ANDREA CHÉNIER a Catania – La messa in scena il 30 ottobre 2018 ha riportato il capolavoro nella splendida sala del Sada –
Von Natalia Di Bartolo
La messa in scena dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano a Catania il 30 ottobre 2018 ha riportato il capolavoro, assente dall’edizione del 2007 ripresa oggi, nella splendida sala del Sada, rinomata anche per la sua acustica. In tale occasione, dunque, i melomani attendevano al varco il dispiegarsi sublime della musica e del canto goduti in ogni sfaccettatura e l’hanno avuta alla grande, grazie alle mirabilie architettoniche e ingegneristiche che rendono la sala del Teatro Massimo Bellini un magnifico risuonatore.
L’orchestra del teatro, dall’organico rinforzato per l’occasione, era fonte di ragguardevole livello sonoro e con la direzione piatta a tutto volume del maestro Antonio Pirolli, povera di dinamiche, tutto forte e fortissimo, il palcoscenico avrebbe potuto risultare annientato.
Invece anche lì i risultati delle inimitabili doti acustiche di cui il teatro è dotato per natura facevano sì che una muraglia sonora come quella lanciata dal Direttore non sovrastasse neanche i sospiri dei comprimari. Dunque tutto forte e fortissimo anche in palcoscenico, senza alcun problema.
L’Andrea Chénier del tenore armeno Hovhannes Hayvazyan si dimostrava vocalmente impreciso negli attacchi, privo di lirismo e con una pericolosa tendenza al fuori tempo, nonché scenicamente plateale nelle movenze. Ha comunque portato a termine l’opera con un vago personale apprezzamento da parte del pubblico.
La Maddalena di Amarilli Nizza soffriva di un vibrato ormai pressoché insostenibile che penalizzava la dizione, resa incomprensibile anche da un’assenza di legato che si spiega da parte di un’artista di tale calibro solo come un espediente tecnico per rendere al meglio ciò che oggi le risulta improbo. Ne soffriva, ovviamente, anche la resa del personaggio in toto, algido e distaccato, privo di coesione con gli altri protagonisti, Chénier per primo.
Il Carlo Gérard di Francesco Verna, che come annunciato sostituiva l’indisposto Marco Di Felice, pareva promettere all’inizio ciò che poi in effetti poi non ha mantenuto, in momenti di inspiegabile calo di tono, infarciti da numerose imprecisioni. L’immedesimazione nel personaggio era approssimativa e routinaria.
Decisamente meglio i comprimari. Incisiva la vecchia Madelon della giovane Lorena Scarlata, che interpretava anche la contessa di Coigny; gradevoli la mulatta Bersi di Sonia Fortunato e l’Abate/Incredibile di Saverio Pugliese.
A questo punto, considerata la resa migliore dei giovani comprimari nei riguardi dei protagonisti blasonati viene spontanea una riflessione: ci si chiede se nell’ampio “vivaio” di voci che roteano attorno al teatro catanese non ci sia qualche elemento degno di essere maggiormente valorizzato.
Coro del teatro etneo diretto da Luigi Petrozziello in piena anarchia di tempi e coloriti.
Tensione drammatica complessiva, purtroppo, molto blanda, poiché le “mancanze” sonore fagocitavano anche la resa scenica, governata da una regia didascalica e senza slanci di Giandomenico Vaccari, che non manteneva le annunciate pretese cinematografiche, con i costumi fintamente sontuosi di Giovanna Buzi dell’edizione del 2007 e le luci fin troppo sbiancate di autore non citato in locandina.
Scena su due livelli di Maurizio Balò, strutturata come ci fosse stato un immenso quadro sullo sfondo (oltre che, poco più avanti, un immenso “colosso” di Marat di stile scultoreo inintellegibile al secondo atto), posizione di grande distanza dalla platea che gli interpreti, ovviamente, anche dall’interno, hanno avuto modo di sostenere.
Un’edizione problematica, dunque, per questo capolavoro, che era molto atteso dal pubblico colto e attento delle prime e che non ha destato particolari entusiasmi, sfociati in applausi finali tiepidi e di cortesia.
Natalia Di Bartolo
PHOTOS Giacomo Orlando