RICCIARDO E ZORAIDE di Rossini a Pesaro – L’ideazione dello spettacolo di Rossini è stata l’oggetto delle maggiori critiche –
Von William Fratti –
L’ideazione dello spettacolo “Ricciardo e Zoraide” di Rossini a Pesaro il 17 agosto 2018 è stata l’oggetto delle maggiori critiche, ma ciò può essere anche spunto di ulteriori riflessioni. Le opinioni più contrastanti accusano Pynkoski di non avere una chiara linea drammaturgica: è lontano dalle didascalie del libretto, come pure da una trasposizione a tutti gli effetti, di quelle che attirano le contestazioni del pubblico di massa, ma l’approvazione di chi è maggiormente accanto agli addetti ai lavori. Ma seguendo attentamente tutta l’opera, considerando l’estremo colore delle scene fiabesche di Gerard Gauci, le intense luci di Michelle Ramsay, la leziosità delle precise coreografie di Jeannette Lajeunesse Zingg, l’accostamento di più epoche dei pregevoli costumi di Michael Gianfrancesco e certuni atteggiamenti comicheggianti dei protagonisti, forse la regia di Marshall Pynkoski ha voluto rifarsi all’ironia e alla satira di cui è intriso il poema eroico Ricciardetto di Niccolò Forteguerri, fonte letteraria del libretto di Francesco Berio di Salsa, andando così a cercare un senso alla sorgente, non trovandolo in una trama d’opera che in effetti appare parecchio zoppa.
Giacomo Sagripanti, alla guida della precisissima e pulitissima Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, conduce l’esecuzione con buon polso, mantenendosi sempre vivace, in perfetta armonia col palcoscenico, prodigo di variazioni al fine di adattare meglio certe parti alle vocalità di cui dispone.
Dopo tanto peregrinare attorno a Ricciardo, finalmente Juan Diego Florez debutta nel ruolo originariamente scritto per Giovanni David e lo fa con la consueta professionalità. A dire il vero è totalmente a suo agio in ogni pagina della parte che sembra quasi una passeggiata. Sempre tecnicamente perfetto, agilità encomiabili che godono ancora della necessaria elasticità, acuti pulitissimi e sfavillanti, fraseggio espressivo oltre ogni limite, corroborato non solo dalla costante ottima dizione, ma anche dalla meravigliosa capacità di articolare i suoni e ogni singola lettera come nessun altro sa fare. Un successo annunciato e all’altezza delle numerose aspettative.
Lo accompagna la Zomira della bravissima Pretty Yende che, per meglio adattare il ruolo Colbran alla sua vocalità leggera, esegue diverse e molteplici variazioni in acuto. È anch’ella maestra di precisione, soprattutto nelle colorature, tanto da eseguire passaggi che potrebbero essere definiti pregevoli. Deliziosi anche gli accenti più patetici. Volendo cercare il pelo nell’uovo talvolta si sentono alcuni suoni un po’ duri, ma questo fa anche parte della sua vocalità ed è un nonnulla in confronto all’accuratezza con cui esegue la parte.
Sergey Romanovsky canta come Dio comanda e porta in scena un Agorante – il vero protagonista dell’opera – perfettamente cesellato. Tecnica rifinita, agilità flessibili e scattanti, acuti svettanti e smaltati, ottimo fraseggio. Purtroppo il ruolo gli sta leggermente largo e pur con le numerose variazioni in acuto si sentono mancare alcuni accenti drammatici, oltre a un certo peso nelle note basse tipiche del baritenore.
Victoria Yarovaya è una bravissima Zomira in quanto a correttezza e precisione nell’esecuzione musicale, forse un po’ troppo macchietta nell’interpretazione scenica. Ineccepibile l’Ircano di Nicola Ulivieri. Ottima sorpresa l’Ernesto di Xabier Andagua, che si vorrebbe riudire in altri ruoli. Corretti e professionali Sofia Mchedlishvili in Fatima, Martiniana Antonie in Elmira e Ruzil Gatin in Zamorre.
Buona la prova del Coro del Teatro Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina, anche se lo si sarebbe preferito con un poco più di mordente nelle parti maggiormente drammatiche.
Wilhelm Fratti
PHOTOS ROF Pesaro