PANNYCHIS von Helena Hansen in Volterra – XVI Festival Internazionale del Teatro romano, mitologia greca da un racconto di Dürenmatt –
Von Natalia Di Bartolo
“La Pizia profetava a casaccio, vaticinava alla cieca, e poiché altrettanto ciecamente veniva creduta, nessuno ci faceva caso se le sue profezie non si avveravano quasi mai, o solo qualche rara volta.”
Così il grande Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) scrive dell’eletta sacerdotessa di Apollo a Delfi nel suo divertente racconto del 1976 “La morte della Pizia”, colei che nella Mitologia greca, seduta sul suo tripode e avvolta da arcani vapori, profetizzava agli uomini il volere degli dei attraverso solenni vaticini, a cui i mortali davano assoluto peso e credibilità. Dunque Dürenmatt “smonta” un mito, facendo della Pizia, in particolare di Pannychis, l’ultima in ordine di tempo, un’imbrogliona che improvvisa gli oracoli a casaccio, secondo l’umore del momento, in una burla ironica ma molto ben strutturata.
Geniale intuizione, assolutamente da riprendere per il teatro. E ci ha pensato Helena Hansen, pseudonimo di Mariagiovanna Rosati Hansen, con la sua “Pannychis” di cui ha curato anche la regia, andata in scena a Volterra il 3 agosto 2018 nel cartellone del XVI Festival internazionale del teatro romano. In scena gli attori dell’Istituto Teatrale Europeo – Teatro Abarico: Annamaria Guzzio – Paolo Gatti – Camilla Cuparo – Gaia Melani – Clif Imperato – Carlo Coculo.
Ma la Hansen, ovviamente, ci ha messo del suo e non ne ha fatto una trasposizione dell’opera letteraria, ma una divertente “commedia classica”, nella quale lo spettatore s’incolla sulla poltrona lungo tutto il susseguirsi serrato dei dialoghi e degli eventi narrati, con le orecchie ben aperte, per non perdere il filo di un racconto che è intricato e assolutamente colto e fondato. Molto difficile da scrivere un testo del genere, pur prendendo spunto da Dürenmatt, perché l’intreccio deve funzionare anche a teatro, nei personaggi e nei dialoghi e non deve annoiare.
Lungi la noia, per la Pannychis dell’autrice: l’arguzia e la simpatia l’hanno fatta da padrone, vedendo in scena la stessa Hansen in un prologo-dialogo con un giovane cantastorie, una sorta di interlocutore/colonna sonora alla chitarra, che ha intercalato brani del folklore siciliano allo snodarsi della breve ma intensa vicenda.
Coloro che conoscono la mitologia greca non si sono certo posti la domanda di cosa ci facesse il folklore siciliano in mezzo a tutto ciò: è assolutamente un diritto! La Sicilia era la Magna Grecia e dunque la “Grande Grecia”…la nostra, ma anche quella dei greci che vivevano in Grecia, poiché altrettanto solenne e tenuta in considerazione.
Ergo: eccoci in Sicilia, con l’ultima vecchia Pizia, Pannychis, che sta nel proprio angolo a mondare le verdure per il minestrone in attesa di una morte di cui non ha il minimo timore, con un accento che inequivocabilmente la connota come palermitana. Annamaria Guzzio nei panni della protagonista era pressoché perfetta: stava tra la vera Pizia, anziana e stanca, e quelle vecchie donne di paese che leggono le carte e che ne imbrogliano una dietro l’altra, con i creduloni che le vanno a consultare.
Solo che qui non c’erano clienti, ma diretti interessati, ovvero coloro a cui le imbroglionerie di Pannychis avevano condizionato e deciso la vita; e per giunta già trapassati.
Edipo, per primo, interpretato con un divertente accento napoletano (sempre da Magna Grecia), che è il soggetto/vittima principale della faciloneria della Pizia e su cui è imperniata l’intera vicenda. Ancora vivente, invece, si presenta anche il vecchio Tiresia, che va a trovare Pannychis. E lì, un pasticcio dietro l’altro, un rinfacciarsi di errori madornali e false profezie da parte di due dei più autorevoli “indovini” profetici della mitologia greca.
Ammirevole la capacità di creare un filo tra due versioni opposte della stessa vicenda del mito di Edipo che fa da perno allo snodarsi dell’azione scenica, delle quali una assolutamente per addetti ai lavori. Cultura a profusione, nello sviscerare vicende e storie anche poco conosciute, come quella della Sfinge, e nel caratterizzare personaggi come Giocasta, madre e moglie di Edipo (quella conclamata).
Il protagonista vero della commedia in fondo, però, è il dubbio, l’enigma che con la sua fascinazione invita i mortali a recarsi a Delfi in cerca della Verità per il bisogno ancestrale di credere che questa esista e sia una, immutabile ed eterna.
Dunque un piacevole e colto intreccio, arricchito da canzoni popolari siciliane, che in fondo, come prima accennato, in quella mitologia ed in quel contesto, in particolare con la leggenda di Colapesce, affondano anch’esse le proprie radici a pieno titolo.
Il tutto condito con tanto buon gusto e tanta misura, in uno spettacolo tutt’altro che “facile”, di gradevolissima fattura e messa in scena.
Assolutamente da non perdere e poi rivedere.
Natalia Di Bartolo
PHOTOS Sergio Battista e Gruppo fotografico GIAN Volterra