Review: TURANDOT, solo note da Vienna, al Wiener Staatsoper.
By Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
The Turandot di Giacomo Puccini è a prova di bomba. Nulla la scalfisce…basta, ogni tanto, chiudere gli occhi, specie se la staging è quella diretta da Marco Arturo Marelli, nuovamente in auge al Wiener Staatsoper nella presente stagione 2016-2017.
Ma proprio perché il capolavoro è a prova di bomba, l’importante è che abbia musica e voci al proprio posto. E a Vienna, nella recita dell’8 marzo 2017 c’erano proprio tutte.
Non so se sia una mia impressione, ma l’orchestra del teatro viennese, probabilmente complice anche l’acustica, ritrova in Puccini delle sonorità che forse con altri autori non vengono fuori. La profondità dei suoni, l’affondo degli archi, il meraviglioso colore…certo è che ho avuto spesso la stessa sensazione, in particolare con una Tosca, un paio d’anni fa. Mai sentita un’orchestra così in Puccini, in nessun altro teatro. Ovviamente il pugno di ferro direttoriale non guasta, anche se i meravigliosi professori austriaci probabilmente andrebbero anche da soli.
Nel caso del M° Paolo Carignani hanno trovato pane per i loro denti e viceversa. Una direzione espressiva e sentita, dinamiche da brivido, soprattutto al primo atto…la capacità di rendere godibile anche il finale di Alfano. Una coesione tra buca e palcoscenico che è propria solo dei grandi professionisti nei grandi teatri.
Dunque, se dal golfo mistico salivano perfette sonorità puccinane, il bello è stato che in palcoscenico le voci avrebbero dato del filo da torcere perfino a qualche aureo cast dei bei tempi.
Impeccabili vocalmente tutti gli artisti in scena. A cominciare dai magnifici tre, Ping Gabriel Bermudez, Pang Carlos Osuna e Pong Norbert Ernst, come una persona sola. Peccato che Il Marelli ammannisse per loro scenette di genere un po’ tra l’obitorio e l’ufficio del catasto con gli impiegati in mezze maniche, ma vocalmente e anche scenicamente erano davvero perfetti.
Avendo iniziato dai tre ministri dell’impero, si sale via via, incontrando il monumentale basso americano Ryan Speedo Green, Timur, visto e ascoltato già a Vienna e personalmente recensito due volte, come Don Basilio e come Angelotti. Il Green ha un’aura da ragazzone tutto USA che dovrebbe mettere un po’ da parte, dedicandosi invece a migliorare tecnicamente la bella voce che possiede, dotandola di un legato migliore. Il Bel canto rossiniano è una cosa, quello pucciniano decisamente un’altra: qui mancano le agilità e la caratterizzazione, che evidentemente lo divertono di più. Scenicamente disinvolto, oltre che vocalmente, il Green, infatti, come Don Basilio si trova decisamente meglio che come Timur, oltre che come Angelotti…a parte il fatto che il Marelli ogni tanto dimentica che il vecchio padre sia cieco e che quindi Liù abbia la primiera funzione di fargli da guida…Quindi si augura a questo valido, giovane interprete di trovare presto la giusta identità ad una voce interessante.
Si sale ancora: Liu: grande Anita Hartig, con la sua voce dal vibrato stretto e magnificamente governato. Una Liù così espressiva anche scenicamente da essere stata capace di travalicare le paturnie registiche del Marelli, creandosi una propria bolla scenica, in cui ha dato vita ad una sorta di messa a fuoco del personaggio, rispetto alla concezione registica. Una fuoriclasse, vocalmente e scenicamente, già una Micaela di prim’ordine anche a Vienna, accanto a Roberto Alagna. Il che, ovviamente, depone a favore di una vocalità interessantissima e di un temperamento da attenzionare sempre di più sui palcoscenici internazionali.
Proseguiamo la salita e arriviamo a Calaf, il tenore italiano Stefano La Colla. Voce brunita come non se ne sentono da tempo sui palcoscenici per parti eroiche: questo tenore può cantare di tutto, da Puccini, a Verdi a Mascagni e via discorrendo. L’importante è che , mostrandosi meno roboante, pronunci la “T” finale di Turandot, chiuda la “u” (che non è “o”) nella dizione, che curi l’eleganza complessiva del fraseggio, che non si lasci tentare dallo stimbrare i piano (sta diventando una moda?) e che si sciolga scenicamente, muovendosi con maggiore dimestichezza e disinvoltura e perdendo quell’aura da Del Monaco con barbetta tenorile che non gli giova. Per il resto, non solo nel Nessun dorma, che ha suscitato applausi a scena aperta, ma anche in una variazione acuta poco consueta sull’”ardente” nella frase “Principessa altera ti voglio (tutta) ardente d’amore” il tenore ha raggiunto vertici sonori di tutto rispetto.
Ed eccoci giunti in cima, alla protagonista, la Turandot di Elena Pankratova, ottima voce, pasta d’acciaio per la principessa. Penalizzata dalla regia del Marelli e dai costumes by Dagmar Niefind, in cui la sua fisicità robusta non era valorizzata per nulla, la cantante era davvero da ascoltare: una gioia, con quello squillo che si ritrova e con una proiezione da tempi d’oro.
Senza dimenticare le buone prove dell’imperatore Altoum di Heinz Zednik, costretto dal Marelli sulla sedia a rotelle, del resto del cast, del Coro del Vienna State Opera lanciato da Thomas Lang a tutto volume, corre l’obbligo di stendere una nota di lode per i bambini: delizia pura, un coretto splendido, di una morbidezza sonora e di una dizione da manuale.
Insomma: si può dire di aver passato una gran bella serata di musica pucciniana a Vienna, per la quale si stendono queste brevi note sulle sole note. Per il resto, infatti, avendo trascorso la serata spesso ad occhi chiusi, si è guadagnato tanto in ascolto quanto assai poco si è perso in visione.
Mi viene da pensare che se si desse una messa in scena adeguata a questo cast si farebbero faville. Ma già la resa sonora ha appagato l’orecchio da melomane e a Vienna è sempre una gioia trovarsi seduti in una di quelle poltroncine di velluto rosso bordate di legno…se solo i traduttori simultanei sullo schienale del posto davanti, in platea, si potessero spegnere del tutto, in tutti i posti a sedere…Ma siamo quasi in primavera: le sciarpe delle signore adagiate sugli schienali, a Vienna, servono anche a questo.
Natalia Dantas © dibartolocritic
PHOTOS © VIENNA STATE OPERA | Michael Pöhn