Review: SEMIRAMIDE at the Bavarian State Opera

Review: SEMIRAMIDE al Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera, nuova produzione.

by © Angelo Rivoli


Diverte sfatare un mito anche da parte di chi lavori scrivendo recensioni e viva più a teatro che a casa propria: il fatto che più rara sia l’opera stessa, più a fondo si debba scavare nella ricerca di particolari della prima, seconda, terza rappresentazione del milleottocentoepassataglio lì, taglio quiPiù lunga sia l’opera, più lunga debba essere la recensioneMa insomma! Il lettore di oggi si ritrae dalla recensione prolissa e imparruccata tanto quanto da messe in scena insipienti e da cantanti di dubbia qualità.

Ergo, siamo (plurale humilitatis) qui a dare un’occhiata complessiva alla monumentale Semiramide by Rossini andata in scena il 18 febbraio 2017 in Munich. Saltiamo tutta la parte storica, non ricordiamo neanche chi fosse la Colbran, facciamo finta di non pensare se questo sia o meno il capolavoro di Rossini e andiamo al sodo: in Germania, regie folli o meno, ci sanno fare.

Monumentale la Semiramide lo è di natura, altrettanto è stata resa al Bayerische Staatsoper in una new production che ha vantato sul podio un grande esperto in materia: il M°. Michele Mariotti. Polsospaventosoper potenza nel reggere tutto l’ambaradan in buca e in scena; una capacità di approfondimento della partitura da dare i brividi, unita a quella saper di tagliare dove ce ne fosse bisogno; il supporto agli interpreti;, il governo delle mirabilie di cui lorchestra del teatro tedesco è capaceInsomma: musicalmente da manuale, checché se ne voglia dire cercando il pelo nell’uovo, giusto fra tagli e taglietti.

Joyce DiDonato, Semiramide, al debutto nel ruolo: ugola d’acciaio. Splendida, imperiosa, vocalmente impeccabile, a parte qualche lieve forzatura nel registro acuto e qualche portamento un poaccentuato, ha divorato l’intera parte senza battere ciglio. Chapeau!

Che lAssur by Alex Esposito, anch’egli al debutto, sia stato più o meno ben diretto registicamente conta fino ad un certo punto nell’insieme della produzione, nonostante i puristi storcano il naso per la recitazione un poinvasiva. Qui siamo alle voci e la voce c’era tutta e anche tanta. Bella, pregnante, ben emessa, credibile, autorevole.

Daniela Barcellona è stata un Arsace di gran classe. Del resto la parte era già collaudata da parte sua, ma è stata riproposta con estrema competenza e capacità. Bel canto all’ennesima potenza. Null’altro da dire, neanche sulle agilità spettacolari, se non: bravissima!

Lawrence Brownlee si è dimostrato un Idreno dalla voce calda e ben emessa, dalle agilità e dai sovracuti impeccabili. Un gioiello da ascoltare anche ad occhi chiusi.

Quanto a gioielli, poi, la voce da basso di Simone Alberghini in the part of Oroe, oltretutto sostituto, ha lasciato tutti a bocca a perta: che meraviglia! Da riascoltare quanto prima e in parti ancor più pregnanti.

La resa vocale degli altri interpreti, scissa dalla regia che non ha saputo dare a volte la corretta connotazione ai personaggi minori, è stata comunque rilevante. The Choir, directed by Stellario Fagone, ha retto le fatiche improbe, tutta la gran macchina del Bayerische Staatsoper ha funzionato come un orologio.

La messa in scena? La mettiamo per ultima. Ambientare un capolavoro del genere tra la Corea e il Medio Oriente, di un’epoca non ben identificata ma assai vicina alla nostra, non depone a favore della credibilità del regista David Alden, che ha fatto dell’ambientazione una gran polpetta pseudo innovativa, come piace tanto oggi ai tedeschi.

Sfarzosa, ma nello stesso tempo carente di punti di riferimento anche scenici, la regia di Alden ha diretto interpreti che sarebbero andati da soli a perfezione anche al buio, dunque, nonostante il vistoso risultato finale, non è che ci sia voluto granché a inventarsi qualche abbondante scena inconsueta e qualche altrettanto abbondante momento di confusione in palcoscenico. Supportato anche dalle scenografie di Paul Steinberg, dai bei costumi di Buki Shiff , dai video di Robert Pflanz e dalle luci di Michael Bauer, il regista ha espresso a denti stretti tutto il proprio odio contro il potere totalitario. Che lo avrebbe fatto era più che prevedibile. Infatti nessuno si è meravigliato e non stiamo qui a parlarne più di tanto.

Insomma, per chi sa reggere quattro ore di Semiramide assai ben diretta (e quando qui si parla di direzione, è quella musicale!) e cantata, a Monaco è stata una gran bella serata di musica. E, in fondo, talmente ben raccordata e ben eseguita sotto ogni aspetto, dato che la messa in scena soccombe allo sfarzo musicale, che il critico autorevole stia pure ancora col naso e la parrucca tra le pagine dei libri a verificare date e e dati: noi ne abbiamo già fornito in questa sede un semplice sunto, ma da comuni mortali.

 

Angelo Rivoli © dibartolocritic

 

PHOTOS © Bayerische Staatsoper