ROMÉO ET JULIETTE di Gounod al Wiener Staatsoper
Review By Neco Verbis © di bartolocritic
Scrivi poi quel che il cuore ti detta: questo mi sono prefisso prima di assistere a Romeo et Juliette di Gounod a Vienna, giorno 1 febbraio 2017.
In verità, il cuore non mi ha dettato molto da scrivere. Meglio scrivere con l’esperienza d’ascolto, allora, visto che di cuore, nella produzione del Wiener Staatsoper, ce n’era uno solo: quello del director, il M° Placido Domingo.
Non occorre cantare per cantare. Si può cantare anche con l’orchestra. Nel finale, sul palco c’era anche lui con i due protagonisti, il grande Placido, con tutta the ’ orchestra del Wiener Staatsoper.
Meravigliosa orchestra, che segue il direttore con l’anima, non solo con gli strumenti. E’ stata essa stessa lo strumento che ha dato voce al Direttore che sul palco non poteva cantare, perché non aveva una parte, ma che c’era talmente tanto in tutte le parti di tutti da offuscare i protagonisti.
A parte il volume dell’orchestra tenuto un po’ troppo alto proprio nel finale per eccesso d’entusiasmo, gli si perdona lungo tutta l’opera una qualche durezza che francese non era; ma i tempi erano perfetti, il supporto agli interpreti era superlativo.
Non nuovo a quest’opera, che aveva diretto anche al Met anni fa, protagonisti Anna Netrebko e Roberto Alagna, il M° Domingo ha dato tutto se stesso e oltre, supportando i due protagonisti soprattutto, che purtroppo per freddezza congelavano gli astanti.
Solo nell’ultimo atto, anch’essi finalmente hanno dato il meglio, soprattutto Juan Diego Florezin the part of Romeo. La vocalità gli si addice perfettamente, con una tecnica superlativa, ma il fraseggio francese, lungo tutto lo scorrere dell’opera, non era perfetto, la pronuncia neanche, lo stile nemmeno; l’interpretazione era statica, l’immedesimazione era soverchiata dall’impegno spasmodico a far bene, al meglio possibile vocalmente. E’ entrato in parte solo nel finale, quando al posto del tenore protagonista si commuoverebbe anche un sasso.
E lì finalmente anche la bellissima Juliet, Aida Garifullina, forme da mannequin e voce di gran squillo e qualità, ma fredda come un ghiacciolo, ha mostrato qualche segnale di immedesimazione. Un vero peccato, perché con una voce ed un personale del genere il soprano ha tutte le qualità per eccellere.
La perfezione vocale non è il fine ultimo di un interprete dell’opera, soprattutto di quella francese, genere che lascia spazio al fluire dei sentimenti tanto quanto ne lascia ad abbellimenti, a staccati, acciaccature, appoggiature e quant’altro, alla Tradition così tanto perseguita e vagheggiata dalla vecchia guardia della lirica francese. Tutto era vocalmente perfetto da parte dei due interpreti principali, tutto eseguito fino all’ultima nota, ma il cuore non c’era e dunque, nonostante tutto, non c’era neanche la Tradition.
Corretto il resto del cast, tra cui spiccava il Mercuzio by Gabriel Bermùdez , Coro un po’ spiazzato all’inizio dall’irruenza del M° Domingo.
Quanto alle scene by Patrick Woodroffe, su tutto si può sorvolare tranne che sull’assenza del balcone di Giulietta. Lì, anche il più innovativo seguace delle new age registica non avrebbe dovuto osare intaccare la tradizione. Di tradizione storico/teatrale, si tratta, infatti, dalla Verona dei Capuleti e dei Montecchi, passando per Shakespeare e giungendo anche a Bellini.
Insomma, nulla degno di nota in scena se non la mancanza di questo, che potrebbe sembrare un particolare obsoleto di accanito campanilismo, ma che è invece il fulcro di una lettura registica filologicamente corretta. Per il resto viene da chiedersi se il Director Jürgen Flimm ci fosse stato o se avesse preferito farsi un giro al Prater per tutta la durata delle prove. Si sorvola anche sui costumes by Birgit Hutter , continuando solo a chiedersi il perché della presenza di un cuoco con tanto di cappello tra gli interpreti, di rosso vestito, dal primo all’ultimo atto.
Applausi più agli interpreti che alla produzione, soprattutto al M° Domingo, entrato già nel mito.
Neco Verbis © dibartolocritic
PHOTOS © Wiener Staatsoper, © Michael Pöhn