Review: Kát’a Kabanová di Janáček al Regio di Torino incanta gli spettatori.
Von William Fratti
Torino, 21 febbraio 2017
Die progetto Janáček-Carsen è indubbiamente uno dei più interessanti programmi di cartellone messi in atto negli ultimi anni, permettendo al pubblico italiano di assistere a più capolavori del grandissimo compositore ceco, soprattutto attraverso un’unica chiave stilistica. Il lungo catalogo dell’opera contiene migliaia e migliaia di titoli e accanto al grande repertorio, quando i dirigenti scelgono di proporre un diverso tipo di offerta, dovrebbero seguire l’esempio e farlo attraverso progetti, fili conduttori, che portino spettacolo e cultura contestualizzata e non perla sporadica.
Originariamente creato per l’Opera di Anversa, poi rappresentato anche alla Scala di Milano, l’allestimento altamente suggestivo di Kát’a Kabanová approda sul palcoscenico di Torino incantando letteralmente tutti gli spettatori.
Il lento scorrere dell’immenso Volga lo si percepisce chiaramente nella musica di Janáček, qui ulteriormente sottolineato, forse addirittura amplificato da Robert Carsen che sceglie di rappresentare tutta la vicenda sull’acqua, usando solo alcune passerelle per creare gli ambienti. Il lavoro di regia, qui ripreso da Maria Lamont, giocato su sguardi e piccoli gesti è davvero toccante, preciso nota per nota, come un orologio svizzero. Suggestivi oltre ogni misura sono anche gli effetti luci disegnati dallo stesso Carsen e da Peter Van Praet. Efficacissimi i costumi di Patrick Kinmonth coi quali contribuisce ulteriormente a dipingere la società provinciale in cui Kát’a si sente eccessivamente costretta e imprigionata. Davvero lodevoli le numerose ballerine, con la coreografia di Philippe Giraudeau, che a tratti sembrano rappresentare l’anima del fiume, a momenti paiono suggerire lo spirito di tante altre donne che hanno vissuto il medesimo destino della protagonista.
Eccellente la direzione di Marco Angius che, oltre alla precisione, alla puntualità, alla purezza del suono dell’Orchestra del Teatro Regio, sembra possedere l’anima del compositore, riuscendo a trasmettere una miriade di cromatismi attraverso cui scaturisce l’angosciosa vicenda della povera Kát’a, interpretata dalla bravissima Andrea Dankova.
Il soprano slovacco è una specialista del ruolo e lo si nota chiaramente in ogni sfaccettatura dell’interpretazione. Già applaudita in Italia in Jenůfa a Bologna e Palermo, anche a Torino riceve un meritatissimo successo personale, poiché oltre alla sicurezza vocale, riesce a portare in scena tutte le emozioni che sovrastano e poi travolgono la protagonista.
È affiancata da una bravissima Lena Belkina, Varvara, sognatrice limpida e innocente, e da una malvagia Rebecca de Pont Davies, Kabanicha, che si sarebbe preferita più drammatica da un punto di vista puramente vocale.
Molto buona la resa dei tenori, a partire dal rassegnato Tichon di Štefan Margita, seguito dal sognatore Boris di Misha Didyk e dal candido e semplice Kudrjáš di Enrico Casari. Ottimo anche Oliver Zwarg nei panni del burbero Dikoj.
Efficenti anche le parti di contorno: Lukáš Zeman è Kuligin, Lorena Scarlata è Gláša, Sofia Koberidze è Fekluša, Roberta Garelli è una donna tra la folla. Benissimo anche il piccolo intervento del Coro diretto da Claudio Fenoglio.
Successo sentito per tutti gli artisti, in particolar modo per Dankova e Angius.
Wilhelm Fratti
PHOTOS © RAMELLA E GIANNESE