NABUCCO al galoppo a Vienna

NABUCCO al galoppo a Vienna, in una produzione lontana dallo spirito verdiano

Review by Neco Verbis © dibartolocritic


Mai avrei pensato in vita mia di potermi annoiare col Nabucco. Eppure è successo, al Wiener Staatsoper, day 11 febbraio 2017. Ma non una noia di quelle che ti fanno assopire, ma di quelle che ti fanno arrabbiare, perché quello ascoltato a Vienna non era Nabucco e non era Verdi.

Come si può galoppare senza freni, a volume stratosferico, con the ’ orchestra stupenda del Wiener Staatsoper lanciata senza controllo? Verdi non è solo ritmo, né velocità di tempi per evitare lo zum-pa-pa tanto vituperato e temuto. Così si ottiene esattamente l’opposto: un Verdi che galoppa è un Verdi inespressivo, superficiale, senza anima.

The M°. Guillermo Gàrcia Calvo non ha tenuto conto della profonda umanità espressa nelle parti di ciascun personaggio, ma ha sorvolato su tutto e tutti e travolto spesso anche gli interpreti, soprattutto al primo atto, alzando per giunta tra buca e palcoscenico un muro invalicabile, che neppure le corde d’acciaio del soprano Abigaille, a tratti, riuscivano a sovrastare.

Voce decisamente notevole, Anna Smirnova, Abigalille, ma carente nei filati: se li è mangiati tutti, anche spezzandoli, purtroppo. Se questo può non essere una grave colpa in un a parte improba come quella (transeat), per quanto riguarda il protagonista Nabucco, il discorso cambia.

La differenza sta nel fatto specifico che il personaggio di Abigaille è più giocato sulla forza dell’emissione che sull’epressività e la giunionica Smirnova di forza ne ha tanta, ma di espressività non ne ha neppure un briciolo per natura. Il personaggio di Nabucco, invece, è altamente pregno di umanità e espressività e Leo Nucci, Nabucco, di solito esprime. Anzi, è uno che ama gigioneggiare. Ma Nabucco è anch’egli personaggio dalla vocalità spesso stentorea, per ottenere la quale il celebre baritono, che ha tutto il peso dell’età da portare, oggi non può che stirare i portamenti per supplire alla mancanza di appoggio. Ogni cosa a suo tempo. E anche ogni opera a suo tempo.

In questo caso, per giunta, ha dovuto galoppare anch’egli, al traino di un direttore scatenato, che ha negato a lui, come anche all’ottimo Zaccaria di Roberto Tagliavini ed a tutti gli altri corretti interpreti di esprimere il benchè minimo sentimento o approfondire il benché minimo lato umano del proprio personaggio. Chorus lanciato costantemente a velocità, ma per fortuna più accettabile in un Va pensiero moderato, che, almeno quello, non ha fatto rabbrividire gli astanti.

Insomma, una cavalcata selvaggia di grande prosopopea, che probabilmente, per chi ha guardato gli orologi, ha fatto durare l’opera almeno un quarto d’ora meno e che ne ha snaturato del tutto la profondità immensa di Verdi.

E se il direttore non era purtroppo quello giusto, la produzione governata dalla regia di Günter Krämer, poi, era pressoché inesistente, in una messa in scena alterata nel proprio arco temporale ed anche troppo ovviamente trasposta ai giorni più bui del Secolo trascorso. Buia, poi, lo era proprio, nel vero senso della parola, visivamente statica, a volte inspiegabile ed era priva di quasiasi riferimento attinente alla tradizione a cui la storia e i personaggi appartengono.

Lo stesso pubblico viennese, pur probabilmente irretito da quello che veniva porto come splendore sonoro, ne è uscito dubbioso, qualche dissenso al direttore si è levato; è accaduto anche alla regia; gli applausi a Nucci erano più alla carriera che al personaggio interpretato sulla scena per la milionesima volta, e la gente, sia pur plaudente non ha chiamato gli interpreti infinite volte al proscenio come è solito fare con le grandi produzioni, delle quali questo Nabucco si fregiava di far parte.

Certamente molti si sono accorti che qualcosa non quadrava. Anzi, ben più di qualcosa

 

Neco Verbis © dibartolocritic

PHOTOS © VIENNA STATE OPERA | Michael Pöhn