di Natalia Di Bartolo – In scena al Teatro Massimo Bellini di Catania, in un allestimento storico, scene e costumi di Franco Zeffirelli.
La Fille du Régiment, Opéra-comique in due atti di Gaetano Donizetti, è una delle opere “francesi” del genio bergamasco, poiché fu composta a Parigi e debuttò all’Opéra-Comique della capitale francese l’11 febbraio 1840, diretta dal compositore, su libretto di Jean-François Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges. E’ altrettanto conosciuta come “La Figlia del Reggimento”, perché il 3 ottobre dello stesso 1840 debuttò al Teatro alla Scala di Milano nella traduzione di Callisto Bassi, diretta da Eugenio Cavallini.
L’opera donizettiana, nella sua versione francese originale, è andata in scena il 20 ottobre 2023 al Teatro Massimo Bellini di Catania, in un allestimento storico, scene e costumi di Franco Zeffirelli, creato per il Teatro Massimo di Palermo nel 1959 e che da allora non ha cessato di affascinare lo spettatore.
Un nome, una garanzia, innanzitutto, proprio perché nel mettere in scena quest’opera, condita e intervallata da molti dialoghi, il punto nodale è coglierne lo spirito.
Zeffirelli, ispirandosi alle stampe di soggetto militare realizzate da Épinal in epoca napoleonica, la “immaginò” come una sorta di favola ingenua (in fondo proprio di questo si tratta) e le diede le connotazioni di certi libri che andavano di moda molti anni fa, in cui, sfogliando le pagine, si sollevavano immaginifiche sagome di boschi, di castelli, di guarnigioni di soldati, nella fragilità coloratissima di una fantasiosa carta ritagliata.
Allo stesso modo, la scenografia di questa produzione è come ritagliata nella carta più variopinta e, nello stesso tempo, è adeguata foriera della fantasiosa realtà che s’intende rappresentare, dove perfino le bandiere di cartone sventolano da ferme. In tale contesto si muovono, ovviamente, altrettanto fantasiosi personaggi, vestiti con costumi variopinti, ripresi da Anna Biagiotti.
L’interpretazione espressa nell’impianto della produzione di Zeffirelli non è solo una graziosa e celebre ambientazione, ma coglie in pieno lo spirito dell’opera donizettiana.
La Fille du Régiment, infatti, è un’opera tra il romantico e il popolaresco, che vive nella fantasia, che non tocca terra né nelle vicende né nei personaggi, fragilissima, anche e soprattutto, nella propria struttura di opera francese intervallata da dialoghi. Come la carta del libro di favole, la Fille è delicata, un po’ bizzarra; va trattata con attenzione e misura, altrimenti si corre il rischio di strapparne le belle pagine colorate.
Impresa assai difficile, in verità, anche perché la partitura contiene dei veri gioielli musicali, che vanno trattati a dovere, sia da chi dirige che da chi canta.
Il Maestro Concertatore e direttore d’orchestra Giuliano Carella ha diretto, a cominciare già dalla sinfonia e dalla susseguente parte corale all’apertura del sipario, con slancio e sonorità orchestrali che a volte eccedevano in entusiasmo. Una bacchetta complessivamente “più leggera” avrebbe certamente giovato all’intera esecuzione, che si è mostrata discontinua nelle dinamiche e nell’andamento agogico e a volte soverchiante sulle voci; tranne che sul coro, diretto da Luigi Petrozziello, che ha dato fondo ad un tutto forte costante, molto marziale ma non sempre appropriato.
La Marie di Jessica Nuccio si è dimostrata corretta, ma senza particolari slanci né vocali né interpretativi, lì dove la caratterizzazione dei personaggi è veramente importante per farli emergere dalle pagine di carta colorata del libro di cui sopra.
John Osborn, è stato un Tonio capace di padroneggiare la celeberrima “Ah, mes amis, quel jour de fête!”, con la susseguente cabaletta “Pour mon âme”, di cui ha addirittura concesso il bis: la famosa aria “dei nove do di petto”, in quanto la ripresa prevede quattro doppie puntature al do4 seguite da nota coronata nella cadenza conclusiva, dunque otto do acuti (più un nono nella cadenza). Nella prassi esecutiva ottocentesca venivano eseguiti in falsetto ma, consacrando non pochi divi dell’Opera del passato e del presente, viene oggi eseguita a piena voce. Il volenteroso Osborn, però, è apparso un po’ “appannato” vocalmente, tant’è che, proprio grazie a questo bis, raramente concesso dai tenori, gli si perdona qualche defaillance al secondo atto. A suo merito, anche un’ottima pronuncia francese.
Luca Galli-Sulpice, Madelyn Renée-Marchesa di Berkenfield (la migliore pronuncia francese in scena), Francesco Palmieri-Hortensius ed il performer Ernesto Tomasini- Duchessa di Krakenthorp, en travesti secondo tradizione ottocentesca anticipatrice dell’Operetta, completavano il cast.
La regia di Marco Gandini è stata rispettosa dell’illustre precedente e le luci sfolgoranti di Antonio Alario hanno esaltato i colori favolistici dell’insieme.
Pubblico eterogeneo, per una prima a Catania, in verità; ricca presenza di turisti di lingua francese, complessivo gradimento della serata, con spettatori numerosi e partecipi.
Natalia Di Bartolo ©
FOTO di Giacomo Orlando ©