Natalia Di Bartolo prosegue, con lo spettatore esigente alle prese con un’intervista sulle scene di follia, nella rubrica Vezzi e Malvezzi…
“Ma sono tutte pazze queste eroine dell’Opera?” Lo spettatore esigente se lo è chiesto spesso, sia pur deliziandosi di sublimi melodie. Lecita la domanda, a maggior ragione quando il nostro amico, scollandosi una volta tanto dalla poltroncina del soggiorno, è andato a trovare un noto ed esperto musicologo, perché la prestigiosa rivista cartacea “Quinte e fondali”, che, vergognosamente approfittando della sua competenza, lo fa scrivere gratis e per giunta pretende l’esclusiva, gli ha richiesto un’intervista ad un esperto sull’argomento ed egli se ne è trovato, giusto nel palazzo di fronte, uno che possiede non solo competenza, ma anche una collezione di vinili che con la sua fa a gara. Inoltre, finalmente, approfitta per porre il suddetto quesito, una volta tanto, non solo a se stesso.
Il musicologo, che lo conosce quale melomane espertissimo per averlo visto da una vita a teatro assistere a tutte le repliche delle stagioni da cinquant’anni a questa parte, ma soprattutto per aver ascoltato dalla finestra di fronte, fino alle due di notte, i suoni delle piccole casse stereo anni ’80 che il nostro amico non cambierebbe mai nella propria attrezzatura d’ascolto, lo accoglie volentieri: un altro sacrario, la sua casa, strabordante di dischi, cassette, CD, DVD ed ogni altra diavoleria che possa contenere e riprodurre registrazioni d’Opera, soprattutto abusive (sono le più gustose!) e tuttavia anch’egli affezionatissimo alla proprie casse stereo vintage. Lo fa accomodare nel salotto, su un divano logoro quanto la celebre poltroncina dell’altrui soggiorno, soprattutto in un punto: quello dove si siede da decenni ad ascoltare nella migliore posizione acustica le perle del proprio reliquiario operistico.
Lo spettatore ha già adocchiato il reliquiario, invero meno polveroso del suo, lì, proprio di fronte al divano e pone le terga ossute esattamente dove intuisce l’impronta di quelle altrui, lanciando occhiate voluttuose alla libreria che trabocca di ogni ben di Dio di materiale d’ascolto. Ma si trattiene dal fiondarsi a metterci dentro le mani e, invece, trae di tasca un taccuino e inchioda alla poltrona d’angolo il musicologo che lo guarda quasi con tenerezza, ma anche con un fondo di gelosia nel pensare i propri tesori in probabile pericolo di profanazione per mano estranea. Tuttavia, entrambi assumono l’aria più professionale possibile e si dà il via all’intervista.
La prima domanda è ovvia: “Ma sono tutte pazze queste eroine dell’Opera?”
Il musicologo sorride, si prende una pausa, poi risponde con sussiego: “Il tema della follia nel Melodramma è comune a molte Opere ed a molte protagoniste, soprattutto nell’Opera dell’Ottocento. E’ addirittura “codificato”: esistono esercizi vocali propedeutici alla tecnica del canto delle scene di follia.”
“Ma perché pazze?” insiste il nostro amico intervistatore.
“Altra lecita domanda: “Perché “fa scena”. Sì, certo, non è una risposta completa ed esaustiva, ma è la prima e la più naturale che possa balzare in mente, riflettendo sull’argomento.
Di solito la diva non è pazza, all’inizio, ma ama “alla follia”, appunto…Che sia amore per un uomo o per un figlio. Spesso si vede tradita, abbandonata, orfana, si scopre matricida o mancata tale…insomma: un manicomio!”. Il musicologo ha inquadrato il tipo bizzarro e coltissimo che gli sta di fronte e inizia a divertirsi: “Ma un gran bel Manicomio, se si decide di visitare le pazienti.”
Lo spettatore esigente ha un lampo nello sguardo a questo invito e già non resiste: “Se Lei permette, Maestro, io mi do nel frattempo all’esplorazione dei suoi sacri scaffali” e, senza attendere un fiato di risposta, deposita il taccuino quasi senza aver scritto nulla e si precipita a curiosare nella libreria di fronte. E’ armato di occhiali da vista bifocali e potenziati, per evitare di cadere in trappole operistiche tradotte o similari. Ma non ne trova neanche una e se ne compiace. “Bella collezione di pazienti da Manicomio! – esclama –“Da “Lucia di Lammermoor” di Donizetti, ad Elvira de “I Puritani” di Bellini; da Margherita del “Mefistofele” di Boito a Ophelia nell’”Hamlet” di Thomas…E ce ne sono ancora!” Il musicologo sorride, ma intanto freme di gelosia e terrore che qualche disco cada per terra.
“Io direi di andare a trovare adesso qualche paziente, se le aggrada, Maestro…” – prosegue lo spettatore esigente, tenendo già sollevati, con aria di trionfo, due dischi per mano. Poi si ricorda dell’intervista: “Ma ci sarà un motivo per cui l’autore del libretto prima e della musica, poi (o viceversa, non è detto) decida si inserire nella propria Opera un personaggio in preda alla follia. Io mi sento già commosso alle singole vicende delle illustri ricoverate.”
Il musicologo trepida ancora nel vedere i propri preziosi reperti in mano estranea, ma fa buon viso a cattivo gioco e decide di fidarsi: a ben rifletterci, sono mani esperte quanto se non più delle sue…
“Commosso come è Lei, caro amico, appunto! Il primo scopo è, ovviamente, quello di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Di solito le candidate folli sono vergini bellissime e promesse spose: le si vede sbocciare ed appassire nell’arco di un paio d’atti. La lacrima della commozione non può che sgorgare spontanea. Spettacolare, poi! Una fanciulla in fiore, spesso in abiti bianchi e veli trapunti, se non in camicia da prima notte nuziale regolarmente macchiata del sangue della vittima della sua follia che non ha avuto il tempo di consumare le nozze, la quale si aggira sul palcoscenico tra gli astanti, parenti, tutori, invitati al matrimonio, o che pianga in una cella o, ancora, che sia stata abbandonata quasi sull’altare costituisce per l’autore il sistema di ripetere l’infallibile e geniale “effetto Ofelia”, che, originariamente, di romantico non ha proprio nulla, data l’epoca della tragedia shakespeariana, ma che viene riutilizzato abilmente ed altrettanto abilmente messo in musica, in particolare in pieno e tardo romanticismo, facendo rientrare la follia nel celebre “Sturm und Drang” che permea tutta la cultura romantica e che…” Tace all’mprovviso, perché il suo intervistatore gli ha girato di nuovo le spalle, a favore di reliquiario.
“Ma non ci sono pazienti uomini, da queste parti? Non vedo granché” sottolinea costui, senza aver preso più neanche un appunto, con gli occhiali sulla punta del naso, alla ricerca di un Werther d’epoca che non sia cantato dal Divino Interprete di Riferimento…Ma di costui, che detesta cordialmente per la pessima pronuncia francese, trova un disco solo. Dunque i gusti vocali con l’illustre esperto collimano: bene! Trova invece un assortimento di Werther più antichi e tutti in francese. Ne afferra uno…Il musicologo freme: è un pezzo introvabile! Poi si ricorda anch’egli dell’intervista e riprende con tono professionale: “Ovviamente, nel Melodramma, impazziscono anche gli uomini, a volte, come si può intendere, con una lettura vista con l’ottica di uno strizzacervelli, accada a Werther dell’omonima Opera di Massenet: ho visto che ha individuato fra i miei dischi il migliore interprete che lo cantasse prima del ben noto “riferimento”: complimenti!…Oppure i personaggi maschili di cui parliamo sono visibilmente psicotici e dunque predisposti alla pazzia conclamata, come Don Carlo, dall’Opera di Verdi, ma di loro, poverini, per il loro esiguo numero soprattutto, ci s’interessa poco; non fanno granché scena: si limitano ad impazzire, a disperarsi e dolersi e poi rinsavire nell’agonia del consumato suicidio o a scomparire nell’avito, imperiale sacello: non c’è proprio gusto: mancano veli, beltà, invitati e tutori dolenti…insomma, si è carenti di spettacolo! Infatti il Reparto maschile del Manicomio è poco frequentato. Dunque noi non passeremo da quelle parti, per questa volta, vero? Torniamo, invece, all’eroina in preda alla follia…”
Lo spettatore, trapassato da parte a parte dall’occhiataccia dell’intervistato, guarda il disco preziosissimo e si affretta a posarlo dove lo aveva preso, con religiosa attenzione, ma i due che ha ancora in mano sembrano non bastargli. Purtroppo, però, ha intuito che debba proprio accontentarsi…
“Mi sono permesso di scegliere già un paio di dischi di eroine che fanno al caso nostro, se le aggrada ascoltarli con me, gentilissimo Maestro… Viva lo spettacolo e viva la musica: si son potute mettere in bocca, o, meglio, in ugola, ai personaggi femminili che lei ha così ben descritto parole e note di sublime fascino!”
“Mai follia è disgiunta dal sentimento, né da un fondo di quell’antica saviezza che, riemergendo, provoca alti e bassi nella protagonista, che esprime in scena tutto il proprio dolore, distorcendo, spesso, la propria realtà, ma mostrandola, a contrasto, cruda e coinvolgente allo spettatore. Che poi tale scena madre dell’Opera non contenga germi di coerenza mentale, è ancora meglio: se l’eroina crede di essere altrove ed ha dei semplici lampi di memoria del proprio crudele passato, la desolazione nel vederla in quello stato fa tendere allo spettatore ancor più l’orecchio: furbo l’autore: è il momento di dar fondo a tutta la propria genialità musicale. E questo accade immancabilmente.”
“Com’è vero! -Commenta lo spettatore esigente – Da sempre nella tradizione, sono divine, per esempio, le note della follia donizettiana di Lucia di Lammermoor in duetto con la glassarmonica. Ma non devo essere certo io a spiegarlo a lei…”
“Un virtuosismo da paura, quello del soprano che s’impelaghi in tale ruolo: ben venga chi finalmente ha riesumato la glassarmonica e l’abbia sostituita all’inflazionato flauto: come voleva l’autore, percossi debitamente, i bicchieri imitano, ripetono, duplicano le note sublimi della protagonista, facendo a gara quanto a limpidezza e sovracuti. Quindi, se ci s’impadronisce della tradizione, l’effetto è assolutamente garantito, oggi come allora: si sta col fiato sospeso. Lucia di Lammermoor, poverina, muore di dolore. Elvira, de “I Puritani” di Bellini, invece, rappresenta uno dei rari casi in cui l’eroina rinsavisce: ritorna l’amato e le torna la ragione. A quel punto, esprime note gioiose d’immenso valore. Allora, le note della sua scena di follia, con cabaletta virtuosistica al seguito sono di valore inestimabile. Poi, addirittura, si è subdorata una vena di follia anche in Norma: la grande Edita Gruberova, in un’edizione dell’opera del 2006, al Bayerische Staatsoper di Monaco, ha dato seguito a questa “inconsueta” lettura delle azioni della sacerdotessa dei Druidi: impazzita dal dolore per il tradimento di Pollione, medita di uccidere i figli avuti con lui, ma già tale alterato stato mentale vien fatto affiorare anche in altri momenti dell’Opera. Alla fine, però, s’immola regolarmente con Pollione.”
“Un’altra che rinsavisce?” chiede l’intervistatore, mal celando il panico perchè non ricorda più dove ha messo il taccuino e lo cerca disperatamente con lo sguardo.
“Non ttttrrrroooovo tale lettura particolarmente interessante – soggiunge il musicologo, porgendoglielo con due dita direttamente sotto il naso, come fosse un fiore – perché “la sindrome di Medea” non è per nulla nuova ai palcoscenici, anzi. Potrebbe però considerarsi plausibile: un genio come Bellini era capace d’intendere e sottintendere tali finezze psicologiche e musicali da non poterne, ancora oggi, smaliziati come si è, trovare il bandolo della matassa: scriveva musica “criptata”, il Cigno; ma si troverà mai qualcuno capace di decriptarla? Poi a maggior ragione, in questo momento in cui, quanto ad esecuzioni e celebrazioni, mala tempora currunt.- Sospira, tace un attimo, desolato, poi riprende: – A proposito: in questa intervista stiamo parlando di malati di mente, però, se lo annoti: in tutto questo dialogo non ci si compiace mai della follia altrui. Solo dell’Arte che ha ispirato e donato agli spettatori, che, ancora oggi e per sempre, ne vengono catturati e coinvolti: “Il teatro e la vita non son la stessa cosa” fece dire Ruggero Leoncavallo al saggio Prologo dei suoi “Pagliacci” e così…Ma…” s’interrompe di colpo: l’intervistatore gli è sgusciato all’improvviso da sotto il naso alla velocità della luce, ha abbandonato di nuovo il taccuino ed ha già dato fondo al volume del giradischi…Lucia ha iniziato a cantare “Il dolce suono mi colpì di sua voce”…
Il musicologo, in piedi, appoggiato allo stipite della porta, ormai rassegnato, sorride comprensivo: “…Lei è andato subito al sodo: la visita completa al Reparto Eroine nel Manicomio dell’Opera sarebbe stata lunga…” fa rilevare allo spettatore esigente, che, a pari velocità, si è nuovamente seduto esattamente sull’impronta consunta del divano e che ormai non lo ascolta più; e, sedendosi anch’egli accanto a lui, riflette che, in fondo, l’intervista può dirsi conclusa: il Tempo si è fermato per entrambi, a quei suoni sublimi, insieme alle parole: la rivista “Quinte e fondali” potrà ben accontentarsi.
Natalia Di Bartolo ©Vezzi e Malvezzi
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