FEDORA di Giordano a Catania – Review by Natalia Di Bartolo – Certo è che il mix Victorien Sardou drammaturgo e Sarah Bernhardt attrice doveva essere “esplosivo” –
Certo è che il mix Victorien Sardou drammaturgo e Sarah Bernhardt attrice doveva essere “esplosivo”: come accadde a Puccini per Tosca, anche Umberto Giordano, dopo aver visto il dramma dell’autore francese “Fedora” al teatro Bellini di Napoli nel 1889 “est tombé amoureux” per l’eroina protagonista. Un drammone fosco e intricato, in cui traligna qua e là il Grand Guignol, a cui Sardou non disdegnava di strizzare l’occhio.
L’artista francese negò inizialmente la proposta di compiere la versione operistica di Fedora al giovane compositore italiano, snobbandolo e facendogliene concessione solo dopo il successo di Andrea Chénier; ma metterla in musica secondo i “moderni” canoni non fu agevole, probabilmente. Infatti ne venne fuori un’opera discontinua, frammentata e difficile, che solo a tratti si apre alle sublimi melodie di Giordano.
Probabilmente sono le suddette caratteristiche che hanno reso negli anni la Fedora un titolo poco rappresentato, che, nella fattispecie, mancava dal palcoscenico del Teatro Massimo Bellini di Catania dal 1968. C’è chi si ricorda quella messa in scena, con il personaggio del pianista virtuoso Boleslao Lazinski a fare da accompagnatore al duetto d’amore tra la protagonista e il suo Loris. Ci sono spettacoli che il melomane catanese non dimentica…
Il 17 marzo 2019, sul medesimo palcoscenico, nella soluzione registica di Salvo Piro, il Lazinski è stato la pianista Paola Selvaggio, mentre in buca a dirigere si è trovato il Maestro Gennaro Cappabianca che ha sostituito l’indisposto Daniel Oren, atteso sul podio per la sola prima dell’opera. Gradevole la direzione del M° Cappabianca, che ha dato anche un buon supporto, pure fuori scena, agli interpreti ed al Coro, diretto dal M° Luigi Petrozziello.
Protagonista nei panni principeschi di Fedora il soprano lettone Ira Bertman, dalla voce dotata di potenza e proiezione, dalla quale però si sarebbe gradita un’interpretazione un po’ meno arcigna, soprattutto all’inizio del primo atto, nonché lo smussamento di qualche asprezza nell’emissione. Una Fedora comunque all’altezza del ruolo, che è innegabilmente improbo.
Lodevole l’impegno, anche interpretativo, del tenore russo Sergey Polyakov nella parte del conte Loris Ipanov, pur non possedendo l’artista una vocalità brunita come la parte avrebbe richiesto, né una proiezione particolarmente efficace. A lui era affidato il sublime arioso tenorile “Amor ti vieta”, che, come un filo conduttore torna più volte, schiudendosi al sinfonismo nel suggestivo intermezzo. Alla prima esecuzione dell’opera, nel 1898, la parte fu di un giovanissimo Enrico Caruso, che ne ottenne immediata notorietà.
Graziosa e promettente la Olga Sukarev della giovane Anastasia Bartoli, corretto il diplomatico De Siriex del rumeno Ionut Pascu, così come corretti sono stati i numerosi altri interpreti.
Per tornare alla regia del Piro, la si è trovata curata e piacevolmente ambientata nelle scene di Alfredo Troisi, una volta tanto anche arredate, il che oggi, a palcoscenici spesso vuoti o ad ambientazioni alterate temporalmente, se ben gestito, non dispiace. Del Troisi anche i costumi, anch’essi adeguati, nella produzione proveniente giusto dal teatro Umberto Giordano di Foggia.
Sorpresa annunciata per il finale in cui si è voluto fare di Fedora una vittima catartica, immolatasi anche per salvare il Bellini dalla morte rischiata e temuta dell’Arte musicale a Catania, per gli annosi problemi che affliggono il teatro.
“La morte della protagonista deve rappresentare una rinascita, una consapevolezza. Ci sarà un finale diverso, senza alzare la voce, senza alcuna protesta, nessuna lamentela, senza scontri” aveva dichiarato il regista Piro.
Così piace concludere con le parole, che all’ombra di un grande cartello che recitava “Non facciamola morire”, sceso dall’alto a opera conclusa su tutti gli interpreti, i dirigenti del teatro e le maestranze a palcoscenico aperto anche nello sfondo, il regista ha voluto fossero pronunciate da una portavoce alla volta del pubblico:
“Fedora è morta come si conviene a tutte le eroine del melodramma. Morta perché non muoia la bellezza, la poesia, la musica, la voce umana. Arriva un momento nel quale bisogna essere tutti uniti. Tutti insieme. Questo teatro fatto di persone, fatto di braccia, di cervelli, di cuori, di mani, che suonano, costruiscono, cuciono, martellano, scrivono. Di voci che cantano, discutono e, a volte, sono ridotte al silenzio, ma non smettono mai di immaginare il futuro. Tutti uniti, tutti insieme sappiamo di non essere soli e confidiamo nelle istituzioni. Vogliamo continuare a regalare emozioni, valori, sogni. Questo teatro vuole continuare a vivere”.
Natalia Di Bartolo
PHOTOS © Giacomo Orlando