LUCIA DI LAMMERMOOR a Vienna – Review

LUCIA DI LAMMERMOOR a Vienna – Review by Natalia Di Bartolo – Imperdibile florilegio di debuttanti nel capolavoro donizettiano al Wiener Staatsoper.


Imperdibile florilegio di debuttanti a Vienna nella Lucia di Lammermoor in scena al Wiener Staatsoper dal 9 al 21 febbraio 2019.

Da non perdere soprattutto il debutto di Olga Peretyatko nel ruolo della protagonista e quello di Juan Diego Florez nel ruolo di Edgardo. Ma non solo: anche il debutto del M° Evelino Pidò nella direzione del capolavoro donizettiano alla guida della splendida orchestra dei Wiener…Il che ti fa partire, in un freddo febbraio, verso le sponde del Danubio, assaporando mirabilie di stampo italiano e belcantistico.

Infatti il maestro Pidò, habitué del podio del Wiener Staatsoper, ha messo in moto anche per questa Lucia, come solo lui sa fare nell’esecuzione dei capolavori italiani nelle sue corde, “la fuoriserie” delle orchestre; per cui, ascoltare la limpidezza, la profondità di espressione, gli affondi degli archi, la gestione perfetta dei tempi, le dinamiche accurate, nel rispetto assoluto dello stile e dello spirito della partitura, è stata di per sé una gioia da assaporare.

Ovviamente il maestro Pidò è un esperto filologo e mette in pratica le proprie capacità per consuetudine, ma in questo caso ha rispettato una rilettura critica della partitura che teneva conto non solo di ciò che era scritto, ma anche del materiale vocale di cui disponeva in palcoscenico. Ecco dunque come le sforbiciate agli abbellimenti ed alla tradizione di svolazzanti Lucie di southerlandiana e grouberoviana memoria non si sa bene se abbiano giovato all’ascolto dell’appassionato e del melomane; ma saziando certamente i filologi, hanno assecondato in particolare la vocalità di Olga Peretyatko nei panni della protagonista Lucia.

Dunque il maestro Pidò ha dato fondo ad ogni mezzo per mediare tra il rispetto di ciò che è scritto e le capacità personali della primadonna, che ha una voce tutt’altro che “leggera” e che non dimostra particolare facilità all’emissione dei sovracuti, dei filati, dei piano e pianissimo. Ed ecco che nella cavatina del primo atto “Regnava nel silenzio”, introdotta da un’arpa che ha quadrato il cerchio della perfezione, il tanto negletto SOL basso conclusivo, praticamente mai eseguito, è diventato un LA bemolle. Allo stesso modo, in “Ardon gli incensi”, l’altrettanto negletto MI bemolle conclusivo è stato eseguito basso, com’è scritto.

In compenso, via alla tradizione nelle cadenze infinite della scena della pazzia, ma con un occhio sempre attento alla scrittura originale, mentre la glassarmonica dava il tocco di classe. Cadenza dopo cadenza, in un’esecuzione corretta ma non entusiasmante da parte di un’artista che ha cercato di evitare i bamboleggiamenti a cui certe regie l’hanno abituata, ma che ancora deve maturare nell’interpretazione anche scenica e soprattutto trovare il centro per quei soli due MI bemolle sovracuti, scritti, che ha concesso: quello alla fine della scena della pazzia e quello del finale del sestetto.

Il pubblico, col fiato sospeso, forse si aspettava mirabilie ed ha espresso qualche dissenso, ma è chiaro che aspettava soprattutto quella sfilza di sovracuti che invece non è arrivata. La bella Olga affinerà col tempo e con l’esercizio l’arduo ruolo, ma le si legge in gola, già da adesso, un repertorio più “pesante”.

L’emissione calibrata e perfetta, che non si perde mai una pausa di semibiscroma, è quella di Juan Diego Florez, un Edgardo che definire straordinario è dire poco. Ovviamente il Maestro Pidò gli ha lasciato campo libero nelle cadenze più ardue e raramente eseguite, fantasiose e punteggiate di sovracuti, che non mancano all’arco del celebre tenore. Vocalmente ineccepibile come sempre, però questa volta il Florez era in parte anche come interpretazione. Evidentemente il dramma gli giova; tant’è che quegli inamidati personaggi flautanti un mirabolante sovracuto dietro l’altro che finora lo hanno spesso caratterizzato, erano piuttosto lontani, cedendo il posto ad un Edgardo dimesso con tanto di barbetta incolta, sentito e ben interpretato. Il Florez, probabilmente, cerca finalmente l’immedesimazione e i ruoli eroici, in prospettico divenire, a parere di chi scrive, lo tentano parecchio.

Quanto all’Enrico di George Petean non si può che dire bene: la voce piena, rotonda, l’emissione ottimale, potente e gli acuti che l’estensione ragguardevole gli consente ne hanno fatto un Lord Ashton nel pieno del fulgore vocale. Grande voce quella del baritono rumeno, già avvezzo al ruolo, che affila sempre più le armi non solo vocali, ma anche interpretative.

Il Raimondo di Jongmin Park era volenteroso e dal bel colore vocale, ma con qualche difficoltà di emissione nei gravi profondi.

Altri debuttanti, tra i comprimari, e tutti molto bravi e corretti; coro del Wiener Staatsoper a dir poco perfetto, diretto da Thomas Lang. Questa Lucia di Lammermoor viennese si è dunque dimostrata prima di tutto interessante all’ascolto, soprattutto nei duetti tra la Peretyatko e il Florez: “Verranno a te sull’aure”, fra tutti, ha scatenato una lunga ovazione.

Per passare alla messa in scena di Laurent Pelly, in co-produzione con l’Opera di Philadelphia, con le scene di Chantal Thomas e le luci di Duane Schuler, lo spettacolo si ritiene curato nella regia; anche se non si sa perché, i cantanti sotto la guida registica del Pelly hanno, loro malgrado, sempre a che fare con qualcosa che svolazzi loro intorno. Qui dovevano vedersela con una presunta neve scozzese, che si ammonticchiava invadente e appiccicosa anche negli interni, creava punti di pericolo di perdita d’equilibrio per gli interpreti e costringeva le maestranze ad utilizzare negli intervalli rumorosi aspiratori, e che sembrava fare le veci della paglia ridondante nell’ormai celebre sua produzione dell’Elisir d’amore.

Dunque neve e neve nelle scene della Thomas, stilizzate anche troppo, in una Scozia pressoché artica; e poi cappotti (in pied de poule per una Lucia un po’ scolaretta con un’Alisa occhialuta in veste quasi di istitutrice), sciarpe, cappelli, guanti e tanto sudore dal caldo per gli interpreti, in uno stile però tutto sommato sobrio, lì dove i costumi dell’epoca elisabettiana, data la linearità della messa in scena e degli abiti moderni ma non troppo e comunque scuri e severi dello stesso Pelly, probabilmente non avrebbero guastato.

Grazie soprattutto al risultato musicale, quindi, una Lucia certamente di gran qualità complessiva, che il variegato pubblico viennese ha molto apprezzato, tributando sentiti applausi finali a tutti gli interpreti.

Natalia Di Bartolo

PHOTOS Wiener Staatsoper | Michael Pöhn