DIE ZAUBERFLÖTE a Catania – Review by Natalia Di Bartolo – Gelmetti e Pizzi alla guida de Il Flauto magico mozartiano al Teatro Massimo Bellini –
Si sa che Die Zauberflöte di Mozart, il Flauto magico, non è solo una fiaba, come appare a prima vista, ma sottende significati esoterici, filosofici e religiosi che non si stanno qui ad approfondire.
Piace sottolineare, invece, come, in ogni caso, lo spirito fiabesco e fantasioso che ammanta l’intera opera, sia dal punto di vista musicale che da quello visivo, dia ampio spazio a registi, scenografi e costumisti, per sbizzarrirsi nelle produzioni. Dunque un maestro del teatro come Pierluigi Pizzi, nella nuova produzione andata in scena a Catania al Teatro Massimo Bellini il 20 gennaio 2019, ha avuto ben da attingere ed inventare.
Nonostante i mezzi ridotti, il grande Pizzi ha infatti saputo reggere con mano felice la regia e ha saputo dare allo spettacolo, nei limiti di austerità imposti dai tempi che corrono, quell’aura colorata e bizzarra che gli si addice semplicemente con tocchi stilizzati. Basta davvero poco per far sognare e qui si è visto il guizzo dell’esperto volpone da palcoscenico, che con quel poco riesce a catturare interesse e curiosità del pubblico. Ecco dunque che s’inizia con l’introduzione in scena di uno smartphone recante una foto di Pamina al posto del suo ritratto dipinto.
Si prosegue con la palese esibizione dei simboli massonici nella scena e nei costumi, sempre curati dal Pizzi, ma con tutto ridotto all’essenziale, modernizzato sì, ma fino al punto in cui la suddetta fiaba possa permetterlo; perfino le improbe lotte e i funesti pericoli affrontati dai due giovani protagonisti contro il fuoco e l’acqua, per vincere il vizio e far trionfare la virtù, sono stati presentati in scena nel simbolismo minimalista di una candela e di una bacinella d’acqua. Eppure ha funzionato, così come hanno funzionato quei tocchi di colore che hanno dato alle tre dame in viola il contrasto coloristico complementare con un Papageno ed una Papagena tutti in piume gialle, o, meglio ancora, il far impersonare l’orrendo mostro serpente dell’inizio da tre mimi dalle movenze sinuose in tute colorate di adeguate tonalità. Unico neo, purtroppo, le quinte camuffate da bibiloteca che hanno reso un po’ claustrofobica e statica l’azione verso il proscenio, per poi, invece, aprirsi all’intero palcoscenico, nei momenti opportuni, al tempio e al mondo di Sarastro.
Quando mai in una recensione di chi scrive si parla prima della regia? E’ questo il caso, perché una mano infelice su quel versante, con a disposizione mezzi così esigui, avrebbe potuto creare lo sfacelo che la parte musicale non avrebbe meritato. La nave, invece, è giunta in porto sana e salva.
Il M° Gianluigi Gelmetti infatti, non stava sul podio, ma dirigeva l’orchestra del teatro catanese sollevato almeno tre palmi sopra…Molto più che per il Requiem dello stesso Mozart, diretto pochi giorni prima: il suo Die Zaubelflöte è stato lieve, di mano felice, di belle dinamiche, di tempi scattanti ed accurato sostegno agli interpreti.
Tamino, Giovanni Sala, spiccava fra le voci: lo si era già intuito nel Requiem di cui aveva fatto parte fra i solisti, ma anche la sua Pamina, Elena Galitskaya , si è dimostrata all’altezza, pur non possedendo particolari doti vocali, se non una bella correttezza. Graziosa e leggera, ha impersonato la protagonista, dando un po’ l’idea, tutta in bianco e in scarpe da tennis come Tamino, di una rivisitazione anni ’60 dei due innamorati.
La regina della notte, Eleonora Bellocci, la più applaudita della serata, ha un bel Fa sovracuto e se lo è giocato tutto, dimostrandosi però più precisa nei fiati e nell’emissione ed esibendo migliore pronuncia all’inizio in O zittre nicht, anziché nella celeberrima Der hölle rache.
Un po’ attempato, ma con stile, il Papageno saltimbanco di Andrea Concetti, al quale avrebbe giovato avere accanto una Papagena, Sofia Folli, con una emissione più sicura e brillante e non solo nelle agilità; il che avrebbe evitato qualche conseguente taglio in meno al celebre duetto finale.
Adeguato alla levatura dell’insieme il Sarastro di Karl Huml, con accanto un fantasioso Monostatos, Andrea Giovannini, con tanto di coda di toro. Brave le tre dame Pilar Tejero, Katarzyna Medlarska e Veta Pilipenko, nonché le tre fanciulle en travesti da fanciulli, gradevoli gli altri interpreti.
Il coro, diretto da Luigi Petrozziello, si è districato nella pronuncia tedesca, ma si auspica, per contenere i forti maschili, che non si volga a stimbrare i piano: una gran macchina, questa, ancora da mettere a punto con il nuovo direttore.
Pubblico delle grandi occasioni, plaudente anche a scena aperta, soddisfatto della qualità dell’insieme. E quando, alla fine, chi scrive, che ancora si solleva trasognata dalla poltrona ricordando il Flauto magico più bello mai visto in vita sua, diretto da Spiros Argiris proprio a Catania nei primi anni ’90, si sente dire dalla signora abbonata di prima fila, tanto ingioiellata quanto esperiente: ”Stasera mi sono sentita di nuovo al Teatro Massimo Bellini”, vuol dire che lo spettacolo c’era.
Natalia Di Bartolo
PHOTOS © Giacomo Orlando