ANTIGONE di Sofocle, riscritta da Giuseppe Argirò – Il drammaturgo e regista ne ha curato ogni aspetto, ha dato al lavoro una connotazione a-temporale –
by Natalia Di Bartolo
Il tema della riscoperta dei classici è al giorno d’oggi quanto mai attuale: si dimostra indispensabile in un mondo in cui tutto è divenuto spettacolo, compresa la vita privata attraverso i social. I Classici del teatro sono sacri, ove soprattutto per tali s’intendando quelli antichi, greci e latini.
La riscrittura del Teatro classico, mezzo d’arte catartico per eccellenza che faceva sì che le cavee delle immense strutture di pietra si colmassero di spettatori già milllenni fa, dunque, riporta ancora oggi gli antichissimi capolavori alla propria origine: sono stati scritti per tutti. Reputarli obsoleti sarebbe come negare la natura dell’uomo, umana e divina insieme, che da sempre propugnano; reputarli spettacoli “di nicchia” significherebbe negare la loro propria essenza; così come ignorarli sarebbe quanto di più grave si possa perpetrare nel panorama dello spettacolo e dell’arte del terzo millennio.
Chiunque si occupi e soprattutto scriva di teatro e per il teatro ha quindi quasi l’obbligo morale di conoscere tale immenso patrimonio d’arte: la riscrittura dei capolavori classici del teatro antico è intervento benemerito.
Notevole è, inoltre, anche l’azione divulgatoria della cultura con la c maiuscola, da parte di chi, come il drammaturgo, attore e regista Giuseppe Argirò s’impegni in un’impresa siffatta. Niente di facile, anzi! Spesso la riscrittura, proprio perché eseguita a distanza di millenni, può prestare il fianco a fraintendimenti ed anacronismi.
Attentissimo l’Argirò ad evitare tutto questo: la sua riscrittura dei classici greci, con l’Orestea di Eschilo, completa nella sua Trilogia , seguita, con un tuffo nel grande teatro classico Latino, da Le Troiane di Seneca (in entrambi i casi protagonista la straordinaria Cinzia Maccagnano), precisa, puntuale, ben calibrata, culmina adesso con la riscrittura del classico per eccellenza: Antigone di Sofocle.
Sofocle, genio dei geni del teatro, i cui personaggi sono ormai mito nel mito. Al culmine dello splendore della classicità del V secolo, in piena età di Pericle, Sofocle brilla come un faro, preceduto e seguito dai suoi immensi “colleghi”, per sempre cristallizzati insieme a lui in un trio di geni: Eschilo ed Euripide.
Ma se Eschilo, a tratti, può sembrare arcaico e statico, mentre, al contrario, Euripide ridondante e pre-alessandrino, la purezza e la perfezione di Sofocle non possono essere eguagliate: temporalmente collocato in mezzo, dei tre è da molti considerato il più geniale e l’immenso, capace più degli altri di dar luogo anche ad espressioni di altissima poesia.
La sua Antigone (in greco antico: Ἀντιγόνη, Antigóne), dunque, rappresentata per la prima volta ad Atene alle Grandi Dionisie del 442 a.C., donna spietatamente forte, capace di rinunciare a tutto per amore di giustizia, è forse la più pura figura femminile che sia mai stata tracciata da penna di drammaturgo.
L’Argirò ne ha curato ogni aspetto, ha dato al lavoro una connotazione a-temporale, cogliendo in pieno il privilegio di chi oggi possa considerare quel teatro come un modello di perfezione applicabile ad ogni tempo e ad ogni luogo, universale e divino nella sua grandezza infinita.
L’opera appartiene al ciclo di drammi tebani ispirati alla drammatica sorte di Edipo, re di Tebe, e dei suoi figli: Antigone, Eteocle, Polinice e la tenera Ismene. Nel prologo della riscrittura, tratto dalle Fenicie di Euripide e opportunamente collocato nel testo, il mito si rende comprensibile.
Antigone, la giovane protagonista della tragedia sofoclea, si ostina a voler seppellire il corpo del fratello Polinice, contro la volontà dello zio Creonte, che ne vuole punire il tradimento. Polinice si è schierato infatti contro la sua stessa città e ha trovato la morte in un duello fratricida con Eteocle. Antigone, che difende i vincoli di sangue e le ragioni della pietà familiare, si scontra con l’ottusità della ragione di Stato.
Eschilo, con l’Orestea, aveva affermato la necessità della democrazia, sancendo il passaggio dallo stato di natura allo stato di diritto; Sofocle mette in discussione tale diritto e opera una distinzione tra le leggi “giuste” e le leggi inique, frutto di un interesse dello Stato, spesso in disaccordo con le esigenze dei cittadini. Il contrasto tra Antigone e Creonte si riferisce anche alla disputa tra leggi divine e leggi umane.
Sofocle, dunque, illustra in questo dramma l’eterno conflitto tra autorità e potere. Il punto di forza del ragionamento di Antigone consiste nel sostenere che un decreto umano non può non rispettare una legge divina. Al contrario, il divieto di Creonte è l’espressione di una volontà tirannica, basata sul principio della legge sovrana: egli osa porre tali leggi al di sopra dell’umano e del divino.
Antigone non discute la norma in sé, ma la sua presunta oggettività: Nella disobbedienza di Antigone, inoltre, è rintracciabile l’afflato di un amore universale, un amore incondizionato che va oltre i legami di sangue ben al di là di ogni possibile comprensione umana, come metterà in luce Elsa Morante in “Serata a Colono”, che presenta un’Antigone non più eroica ma dimessa e ossessionata dal bene, unico valore positivo della sua vita.
Ma la drammaturgia di Giuseppe Argirò risulta composita e sfaccettata, a-temporale come prima accennato: partendo da Sofocle, arriva ai luoghi contemporanei segnati dalla guerra. Antigone combatte la sopraffazione, l’abuso; e rappresenta l’elogio della disobbedienza, come nella riproposizione di Anouilh; o diviene l’emblema della scelta come in “Fuochi” della Yourcenar. In ogni caso, la principessa tebana è una paladina dei diritti civili e ne combatte ogni violazione. Con l’eroina sofoclea si assiste alla storicizzazione dell’individuo e delle sue decisioni: Antigone è sostanza etica pura come sosterrà Hegel e come verrà ribadito nello studio di George Steiner “Le Antigoni”.
Presentando lo scontro tra privato cittadino e Stato dispotico, quindi, il capolavoro sofocleo è stato spesso visto, in tempi moderni, come una metafora dei diritti del singolo contro gli Stati totalitari, nonostante l’autore greco nella sua opera non si schieri apertamente a favore di nessuna delle due parti. Già in passato il dramma di Sofocle aveva ispirato analoghe tragedie, in cui l’argomento politico è messo in evidenza, come l’Antigone di Vittorio Alfieri. Lo spettacolo riscritto e diretto da Giuseppe Argirò, quindi, affronta anche il tema dei diritti umani, della pena di morte e del coraggio di lottare per sovvertire le regole ingiuste con la disobbedienza civile, come avrebbero fatto i grandi personaggi della Storia che sono stati in grado di cambiare il destino di interi paesi.
In scena campeggia lo spettro di una detenzione ingiusta e di una condanna iniqua, una condanna capitale. Lo scenario è quello di un conflitto, ma sfugge volutamente a una connotazione precisa, per alludere metaforicamente a ogni esperienza bellica che colpisce il singolo individuo e l’intera collettività. Gli spettatori assistono alla fine di Antigone esattamente come i parenti delle vittime assistono alle esecuzioni.
La protagonista Antigone è interpretata dall’attrice italo giapponese June Ichikawa, protagonista del film “Cantando dietro i paraventi” del compianto maestro Ermanno Olmi e di numerose serie televisive, capace di fondere la verità cinematografica e la carica espressiva della modulazione teatrale in una cornice fortemente rituale, a testimoniare la trasversalità del mito sofocleo. Creonte appare spietato, ottuso, ossequioso del potere, evoca la stupidità dei potenti della terra grazie alle risonanze ben calibrate di Maurizio Palladino. Euridice, sua moglie è Maria Cristina Fioretti, attrice versatile, in grado di gestire registri anche lirici oltre che epici, come nel prologo dalle Fenicie. Equilibrata è Carmen Di Marzo nel vestire i panni della sentinella, personaggio grottesco che assume qui le sembianze femminili di una delatrice, con accenti popolari e misuratamente dialettali, al servizio del Tiranno. Delicata e partecipe la presenza di Ismene affidata a Silvia Falabella; commovente il figlio suicida di Creonte, l’Emone di Filippo Velardi; infine, carismatica appare la figura di Renato Campese nei panni di Tiresia.
L’eroina tebana Antigone, murata viva, va incontro ad una morte senza redenzione, accompagnata dalla commozione degli spettatori presenti, riaffermando l’eterno valore rituale del Teatro, ben evocato dalla regia immaginifica di Argirò e dall’elegante disegno luci di Giovanna Venzi, quasi a ricongiungere la civiltà pagana con quella cristiana, creando una ricomposizione del tempo del mito e del tempo della storia ed affermando cosi la mancata evoluzione del genere umano.
Lo spettacolo ha debuttato a Roma nel Marzo 2018 e in stagione estiva è stato presente nei Festival legati al Teatro classico, da Teatri di Pietra, al circuito delle Marche dei Teatri Antichi Uniti, al Festival del Teatro classico di Formia, a Velia Teatro. L’itinerario prosegue ai giardini della Filarmonica a Roma il 23 Agosto; il 26 Agosto alle Dionisiache a Segesta, il 28 al Tempio di Marasa, area archeologica della Locride e il 29 al Castello di Roccella Ionica. Un caso unico nel panorama nazionale, come sarebbe avvenuto per una vecchia compagnia di repertorio. Anche aver ripreso questa non trascurabile “tradizione” rende particolare e meritevole l’azione di Giuseppe Argirò in seno al teatro di prosa italiano di oggi.
Natalia Di Bartolo
PHOTOS Umberto Rustichelli