Review: CASINA di Plauto a Catania in prima nazionale, drammaturgia e regia di Giuseppe Argirò, con Giuseppe e Micol Pambieri.
Exclusive by Natalia Di Bartolo ©DiBartolocritic
Metter mano a Plauto è, dal punto di vista drammaturgico, un’impresa di coraggio. Inteso nell’immaginario collettivo come autore popolaresco e sboccato, spesso frainteso e considerato prolisso, complicato, dalle trame inconsistenti e dalla lingua rude, Plauto è invece un gran soggetto per un drammaturgo, a patto che costui si sappia muovere nei meandri della lingua latina ben tradotta e la nobiliti come merita, senza indulgere alle volgarità.
Eppure le trame plautine si prestano grandemente a questa deformazione. Merito, quindi, di Giuseppe Argirò, drammaturgo e regista, aver reso la commedia “Casina” del commediografo latino una sorta di pochade alla Feydeau, senza alterarne né il contenuto né lo spirito.
Andata in scena in prima nazionale il 15 luglio 2017 ed in replica il 16 al teatro greco-romano di Catania, la Casina di Plauto, tratta da un testo attribuito nel I sec. a.C. dallo studioso Varrone con certezza al grande autore teatrale latino, si è dimostrata non solo efficace, ma anche molto abilmente trattata e resa sulla scena, prodotta dal Teatro della Città nell’ambito del ciclo di appuntamenti estivi del cartellone di musica e prosa, “Notti d’estate al Teatro antico di Catania” nel circuito “Anfiteatro Sicilia”, che vede insieme il Teatro Massimo Bellini, Taormina Arte e lo Stabile di Catania, con il supporto del Comune di Catania.
Una delle più celebri “palliatae” di Plauto, ovvero commedie d’ambientazione greca, è stato fertile terreno spaziale e temporale, trasposto in un richiamo ai primi del Novecento, altro aggancio a Feydeau, anche dai costumi delle sorelle Rinaldi. La scena di Susanna Messina, invece, prevedeva la classica presenza di due ingressi contrapposti e nient’altro, in un recitare privo di maschere, nonostante la tradizione della commedia classica, come della tragedia, le prevedesse. Ma gli attori consumati la maschera non la indossano, ce l’hanno già sul viso. E la compagnia era tutta di attori di eccezione.
Nei panni del vecchio Alcèsimo, senex libidinosus, il grande Giuseppe Pambieri; al suo fianco, nella parte della bisbetica e vendicativa moglie Cleòstrata, la figlia Micol Pambieri. Una coppia affiatatissima, attorniata da altrettanto brillanti compagni di scena, tutti ottimi attori e da citare uno per uno: Riccardo M. Tarci, Maria Cristina Fioretti, Nadia Perciabosco e Alberto Caramel, con la partecipazione di Vittorio Viviani.
Così assortita, la compagnia si è dimostrata compatta ed efficace e la regia di Argirò abilissima nel sottolineare i momenti comici cruciali, donando un ritmo brillante all’andamento del testo, rispettando lo schema drammaturgico tipico plautino, compreso il prologo, per la “captatio benevolentiae” rivolta a catturare l’attenzione del pubblico e l’”expositio argumenti” in un brevissimo esporre l’argomento della commedia.
Rimasto al proprio posto anche l’espediente plautino del metateatro, il teatro nel teatro, con il rivolgersi dei personaggi direttamente al pubblico. Insomma: rispetto assoluto del capolavoro latino nella propria struttura, ridotta, ovviamente, da cinque atti ad atto unico, con debiti tagli e qualche breve aggiunta per approfondire la psicologia dei personaggi. Ma dove finisse Plauto e iniziasse Argirò è rimasto per lo spettatore un mistero gaudioso: la fusione era perfetta.
Brillantezza registica, dunque, ed abilità degli interpreti nell’esaltazione di quelli che sono gli espedienti principali della comicità di Plauto, ovvero il capovolgere del tutto i canoni dei correnti costumi: la moglie che comanda sul marito, il servo che comanda sul padrone e così via, ma con un buon gusto ed un dosaggio della comicità che dimostrano una perizia drammaturgica di spessore alla base, e che rendono merito anche ad una traduzione davvero raffinatissima.
L’argomento trattato è spesso piccante e soprattutto decisamente esplicito: eppure non una parolaccia, non un accenno alla volgarità, pur mantenendo assolutamente intatti il significato e il significante. Dunque non è Plauto ad essere volgare, ma chi non lo sappia mettere in scena.
Si lasci la trama, che non è semplice ma si fa seguire con facilità, alla scoperta dello spettatore, anticipando soltanto che la protagonista tanto attesa sulla scena, Casina, la ragazza dal profumo di cannella, non compare mai. Straordinario, questo espediente, già in Plauto. Chi si rechi a teatro a conoscere la bella Càsina del titolo, con l’accento sulla prima “a” alla greca, ovvero “la ragazza del caso”, trovatella bellissima allevata in casa e pronta alle nozze, dunque, resterà deluso.
Troverà, invece, uno scoppiettante susseguirsi di scene e battibecchi tra marito e moglie, tra servi e padroni, tra uomini e donne, nonché divertenti, sapidi monologhi. Troverà un sorteggio per scegliere lo sposo della fanciulla, un travestimento tutto da ridere, un imbroglio ordito dalla moglie ai danni del vecchio libidinoso che ambiva alle grazie di Casina ed un finale buffo, con le cosiddette “nozze maschie” da attribuirsi quale ideazione originale di Plauto, poiché nella commedia greca “Clerumenoe” di Difilo a cui la presente è ispirata, al contrario del sorteggio, non era compreso. L’agnizione di Casina, cioè il riconoscimento della fanciulla come libera e quindi destinata a nozze degne e felici con il figlio del vecchio protagonista, sempre parte dello schema drammaturgico della commedia classica, viene qui solo accennata al finale, insieme all’invito, rivolto direttamente agli spettatori e tipico anch’esso del genere teatrale suddetto, agli applausi per gli attori.
Applausi meritatissimi e scroscianti, a Catania, da parte di un pubblico sinceramente divertito, nell’ambientazione unica dello splendido monumento antico nel cuore della città etnea, in una serata di ottimo teatro, per una commedia elegantissima e che certamente sarà capace di catturare ancora il pubblico nelle nuove rappresentazioni già in programma.
Natalia Di Bartolo
PHOTOS Teatro della Città