Review: DON CARLO al Maggio Musicale Fiorentino, ultima esibizione di Zubin Mehta in qualità di direttore musicale.
By Lukas Franceschini
Firenze, 14 maggio 2017.
Recita speciale la pomeridiana di Don Carlo di Giuseppe Verdi al Maggio Musicale Fiorentino, infatti, segnava l’ultima esibizione del Maestro Zubin Mehta sul podio del Teatro in qualità di direttore musicale.
A essere precisi c’era stato anche un concerto la sera precedente al termine del quale i festeggiamenti sono stati molto partecipi e accompagnati da discorsi ufficiali, tuttavia domenica al termine della recita non sono mancate ancora una volta manifestazioni di simpatia e ammirazione nei confronti del direttore indiano, il quale non senza commozione lasciava la direzione del Maggio Musicale Fiorentino dopo ben trentadue anni di permanenza. Dal prossimo settembre sarà sostituito da Fabio Luisi ma Firenze non resterà senza la celeberrima bacchetta di Mehta, il quale ritornerà ancora in veste di ospite sia in occasioni concertistiche sia operistiche.
Sarebbe troppo prolisso fare un’analisi degli anni fiorentini di Mehta, gli archivi parlano da soli, vorrei però rilevare il lungo periodo di residenza del maestro, probabilmente la più longeva presenza nazionale a capo di un’orchestra e un teatro, eseguendo un repertorio vastissimo in piena sintonia con una compagine orchestrale portata a livelli internazionali e autentici trionfi sia in sede sia in trasferte estere. Sappiamo che non ” perderemo” Mehta ma inevitabilmente si chiude un ciclo, e l’identificazione anche mia personale di tale artista con la città Fiorentina resterà indelebile nella memoria, grato di tante belle serate.
Don Carlo è la seconda opera del Maggio 2017 e la versione scelta è quella in quattro atti in italiano, denominata di Milano 1884.
L’allestimento, una coproduzione con i teatri di Bilbao, Oviedo, Siviglia e Tenerife, curato nella regia da Giancarlo Del Monaco si lascia guardare ma non entusiasma perché troppo statico e con molte soluzioni se non arbitrarie almeno discutibili. La più clamorosa è l’omicidio di Carlo da parte del padre nel finale, ma anche l’entrata di Eboli che porta lo scrigno durante il grande assolo del violoncello mentre Filippo dorme su un letto a baldacchino. Poca emozione durante l’autodafé, nel quale è mosso senza senso un Cristo in croce bianco disposto orizzontalmente e il coro è perennemente inerme. Meglio gli ultimi due atti, in particolare la scena del carcere. Molto belle le scene di Carlo Centolavigna che evocano un fondale perennemente presente e mobile raffigurante una carta geografica nella quale si percepisce l’estensione dell’impero sul quale non tramonta mai il sole, i costumi di Jesus Ruiz sono pregevoli e di foggia storica. Luci non sempre azzeccate ma pertinenti di Wolfgang von Zoubek.
Cast nel complesso valido, ma con distinzioni. Al levarsi del sipario Don Carlo era Roberto Aronica, il quale non appena apre bocca lascia interdetti per il precario stato vocale, infatti, si fa sostituire dalla scena successiva. Aronica è cantante ben diverso da quello da quello in parte ascoltato a Firenze. Sergio Escobar, il sostituto, è catapultato in scena e fa quel che può, avendo a disposizione un materiale rilevante ma limitato tecnicamente nella zona di passaggio poiché tutto il settore acuto è forzato e insicuro.
L’Elisabetta di Juliana Di Giacomo s’impone per la bellezza timbrica, il cercato fraseggio e la duttilità nei vari registri. Molto buona la prova di Massimo Cavalletti, che s’impegna per disegnare un Rodrigo nobile e fiero, talvolta non sempre puntuale con i compiti vocali ma la morte è decisamente emozionante. Il giovane Dmitry Beloselskiy, Flippo II, colpisce per un timbro omogeneo e grave di grande fascino, molto misurato, nella scansione del canto applica una particolare dovizia d’accento e colore. Un ruolo reso molto bene anche teatralmente e che in futuro avrà modo di calibrare e rodare con risultati ancora maggiori. Non lascia traccia l’Inquisitore di Eric Halfvarson, greve nel canto e con dizione incomprensibile.
Brava Simona Di Capua nel ruolo di Tebaldo, reso con briosità e precisione, austero e convincente il Frate di Oleg Tsybulko. Nel solco della professionalità le altre parti: Enrico Cossutta (Conte di Lerma), Saverio Fiore (araldo), Laura Giordano (voce dal cielo), Tommaso Barea, Benjamin Cho, Quanming Dou, Min Kim, Chanyoung Lee, Dario Shikhmiri (deputati fiamminghi).
Infine, ma non per ultima, Giovanna Casolla. Il soprano partenopeo è giunto all’ultimo da Genova per sostituire la collega prevista alla recita del giovedì e ha cantato anche all’ultima cui abbiamo assistito. La Signora Casolla è giunta nella fase conclusiva della sua lunga e bellissima carriera, tuttavia lascia stupiti come riesca ancora a rendere credibile vocalmente un ruolo come quello di Eboli. Non dobbiamo aspettarci particolare scioltezza nelle agilità della canzone del velo, resa comunque con precisione. Emerge ovviamente nel terzetto del II atto per felino impeto, solida padronanza di mezzi, e ancor più veemente in “O don fatale” dove sfodera le frecce migliori, incisiva e disperata. Ovvio che qualche limite c’è, ma che il soprano ancor oggi riesca a essere convincente in questo difficilissimo ruolo, sempre intonata, in possesso di un timbro ancora affascinante, musicale e con una preparazione tecnica strabiliante la dice lunga anche su colleghe molto più giovani ma inferiori.
Zubin Mehta, se non erro al suo secondo Don Carlo a Firenze, indirizza la sua lettura musicale sulla nobiltà della scansione cromatica, eseguita con precisa metrica e tempi sostenuti ma mai trasbordanti, attento e capace di equilibrare buca e palcoscenico con grande senso teatrale. Imprime enfasi e grande teatralità nel monologo del re e successivo duetto con l’Inquisitore, ricchezza di sfumature e predominanza di suono pulito e vigoroso. Incalza la “sua” orchestra, che risponde a dovere e con precisione certosina, a sviscerare tutte le delicate e ricercate sonorità dello spartito, ottenendo un risultato egregio e sempre improntato di cavalleresca personalità. Una menzione particolare merita il primo violoncello, che dovrebbe essere Patrizio Serino, per l’assolo del III atto. Bravissimo il Coro, istruito da Lorenzo Fratini, sempre preciso, omogeneo e di grande effetto complessivo.
Successo trionfale al termine, con festeggiamenti calorosi per Mehta da parte del pubblico, professori d’orchestra, Coro, tecnici e maestranze dell’Opera di Firenze. Ma sappiamo che è solo un arrivederci.
© Lukas Franceschini
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