Review: LA TRAVIATA al San Carlo di Napoli, regia di Ozpetek, diretta da Renato Palumbo, con Mariangela Sicilia al debutto.
By Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic
Belle voci per Giuseppe Verdi? Ma certo che le belle voci ci vogliono! Siamo stanchi di reperti archeologici ansimanti che ingombrano i palcoscenici, a danno delle belle voci attempate ma ancora in auge e di quelle giovani e valide.
Teoria e pratica spesso non vanno d’accordo, soprattutto in Italia, dove se ne vedono e se ne sentono di tutti i colori. Vedere le reliquie con la bombola dell’ossigeno nascosta nelle pieghe del mantello (spesso regale, ovviamente) ti lascia a tua volta senza fiato e senza scampo. Allora, pur se a volte sembrano provenire da un unica matrice fatta a stampo, le voci giovani siano benvenute sempre: se non sono si faranno; se non si faranno non faranno strada a fare le belle statuine sui palcoscenici internazionali, a meno di qualche eccezione rampante. Quindi, quando ti capita di vedere una Traviata degna di questo titolo, come è accaduto al teatro di San Carlo a Napoli il 23 aprile 2017, tiri un sospiro di sollievo.
Ergo, la debuttante nel ruolo, la cosentina Mariangela Sicilia, Violetta a Napoli per la prima volta sia la benvenuta tra le Violette. Ha una voce di tutto rispetto, proviene da un repertorio più leggero ed ha qualche asprezza nel timbro. Ma è molto espressiva vocalmente e questo è un punto a suo favore. Sarà presto una Violetta che profumerà di buono, che smusserà certamente gli spigoli, con uno squillo interessante, una proiezione altrettanto e una presenza scenica gradevole.
Altrettanto dicasi del tenore Giorgio Berrugi, Alfredo, che non debuttava, ma che è comunque giovane anch’egli. Bella voce squillante, corretta, bel fraseggio, discreta presenza scenica: un Alfredo che si è fatto notare.
Un po’ plateale nel fraseggio, ma comunque corretto il Giorgio Germont del baritono Fabian Veloz, al quale il regista cinematografico, ma non solo, Ferzan Ozpetek ha affibbiato anche il ruolo di vecchio “cliente” della cortigiana mancata nuora. Una trovata registica non del tutto fuori luogo, ma che ha fatto parte di un insieme visivo che anch’esso ha fatto la differenza, compreso il sangue sull’abito bianco di Violetta al terzo atto. Ma si parlerà più avanti della regia.
Prima sia il turno della della direzione d’orchestra. Molto ben tenuta questa bacchetta verdiana da parte del M° Renato Palumbo che ha dato spazio al cuore, che sembrava battere nell’accelerarsi, forse anche un tantino eccessivo, delle scene d’insieme. S’intuiva un cuore che batteva all’unisono con quello dei personaggi e quindi gli si perdona qualche eccesso d’emozione che ha rischiato di togliere il fiato al coro. Il supporto agli interpreti è stato lodevole, la bella orchestra del San Carlo ha risposto con duttilità alle sollecitazioni ed ha reso anche bei colori, nelle dinamiche italianissime del M° Palumbo.
Tutti gli altri interpreti sono stati gradevoli ed al proprio posto, altrettanto il Coro e il corpo di Ballo del teatro di San Carlo.
Tornando alla regia di Ozpetek di cui sopra, è valsa la pena di stare anche a guardare, oltre che ad ascoltare. Doti da cineasta prestate al palcoscenico? Forse anche viceversa. Il regista ha curato personalmente la riedizione della produzione, fermandosi a Napoli a lungo, nonostante gli impegni cinematografici.
Bando, quindi, anche ai registi di stampo simil-teutonico, che non sanno neanche leggere i libretti, così come a quelli “fai da te anche le scene e i costumi (ché la produzione costa meno)” che affollano i palcoscenici, italiani nella fattispecie. Esistono produzioni come questa creata dall’Ozpetek nel 2012 proprio per il San Carlo e già riportata in auge precedentemente, con le scene opulente e particolareggiate del premio Oscar Dante Ferretti e i costumi curati con citazioni alla Boldini di Alessandro Lai, che si fanno guardare, così come le suddette voci sul palcoscenico si sono fatte ascoltare.
In una Parigi trasposta ai primi del ‘900, un’aura orientaleggiante molto sfarzosa, ricca di arredi, di cuscini e perfino di narghilé, dotata di una scalinata scenografica alla festa di Flora, che all’ultimo atto ha fatto spazio solo al letto quasi mortuario di una Violetta insanguinata più dal dolore della solitudine e delle convenzioni che dalla tisi ed ai personaggi porti come fantasmi del ricordo di vita vissuta.
Che dire di più? Conservate queste produzioni come reliquie, o teatri italiani, sono preziose. Rimettetele in scena spesso, come saggiamente fanno i teatri d’oltralpe, e riempitele di belle voci giovani. Garantito il sold out.
Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic
PHOTOS © Teatro di San Carlo | Francesco Squeglia