2Reviews2: I PURITANI di Bellini a Modena e a Piacenza nella stessa produzione diretta da Jordi Bernacer.
by Lukas Franceschini e William Fratti
Modena, 16 marzo 2017.
Al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” è stata rappresentata l’opera seria in tre parti I Puritani su libretto di Carlo Pepoli e musica di Vincenzo Bellini, ultima composizione del catanese il quale morì otto mesi dopo la prima trionfale parigina.
I Puritani, il cui vero titolo sarebbe I Puritani e i cavalieri, è tratto dal dramma storico di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface Têtes rondes et Cavaliers, e debuttò al Théâtre de la Comédie Italienne di Parigi il 24 gennaio 1835. Bellini scrisse all’amico Francesco Florimo: “Mi trovo all’apice del contento! Sabato sera è stata la prima rappresentazione dei Puritani: ha fatto furore, che ancora ne sono io stesso sbalordito… Il gaio, il tristo, il robusto dei pezzi, tutto è stato marcato dagli applausi, e che applausi, che applausi”. L’opera fu composta in nove mesi, dall’aprile del 1834 al gennaio del 1835, un periodo molto lungo per l’epoca, durante il quale l’impianto drammaturgico subì totali trasformazioni e Bellini guidò incessantemente il lavoro dell’inesperto librettista, il Conte Pepoli. Inizialmente strutturata in due atti, l’opera fu suddivisa in tre poco prima dell’andata in scena, su consiglio di Gioachino Rossini; la nuova suddivisione spostò la sequenza di alcune scene del II atto. Alla vigilia della prima rappresentazione, la lunghezza eccessiva dello spettacolo impose il taglio di tre brani, oggi sovente ripristinati in occasione degli allestimenti, e precisamente il cantabile del terzetto tra Arturo, Riccardo ed Enrichetta (atto I) Se il destino a te m’invola, il cantabile del duetto tra Arturo ed Elvira (atto III) Da quel dì ch’io ti mirai, la stretta del finale (atto III) Ah! sento o mio bell’angelo. Contemporaneamente alla versione per Parigi, Bellini approntò una versione destinata al Teatro di San Carlo di Napoli, la cui protagonista doveva essere Maria Malibran e la parte di Riccardo doveva essere sostenuta da un tenore. Per questa versione il compositore modificò, trasportandoli nella tonalità, alcuni numeri dell’opera, affidando alla protagonista la parte principale del finale atto III ed eliminò il duetto Riccardo-Giorgio perché politicamente pericoloso. Sfortunatamente l’allestimento non ebbe luogo, poiché la partitura arrivò a Napoli in ritardo, e la “versione napoletana” fu riscoperta ed eseguita solo negli anni Ottanta del secolo scorso al Teatro Petruzzelli di Bari e poi riversata di disco da Fonit-Cetra. Oggi è possibile utilizzare anche l’edizione critica di entrambe le versioni, a cura di Fabrizio Della Seta, però non utilizzata in questa occasione a Modena. Doveroso rilevare che il successo di Parigi, oltre alla genialità compositiva di Bellini, fu in parte dovuto anche a un cast stellare, infatti, i primi interpreti furono: Giulia Grisi, Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini e Luigi Lablache. Bellini ricerca costantemente la presenza del colore, la tinta dell’affresco e l’utilizzo del coro in maniera determinante. Non mancano un’attenta levigatura dei pezzi d’insieme, vertiginose difficoltà per la parte tenorile, la grande scena di pazzia per il soprano, in un contesto articolato e grandioso anche se contenuto in motivazioni favolistiche.
Molto bello lo spettacolo, una coproduzione tra Modena, Piacenza e Reggio Emilia, ideato da Francesco Esposito (regia e costumi), Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti (scene). L’impianto è funzionale con una scenografia fissa imponente, un muro di torrione semicircolare, dalla cui base escono dei muri in obliquo sul palcoscenico che creano gli ambienti delle diverse scene. Una dimensione poetica (citazione del regista) la quale perfettamente si sposa con l’opera di Bellini, nulla di artefatto o incomprensibile, ma una dimensione narrativa felice e di forte impatto visivo. A questo si deve aggiungere una pertinente impronta drammaturgica sui personaggi, mai banale, molto studiata e di ricercata resa teatrale. I costumi, molto belli, sono in perfetto stile con l’epoca, lo scontro politico tra le fazioni nell’Inghilterra del XVII secolo, cui si devono aggiungere il bellissimo lavoro alle luci di Andrea Ricci e l’elegante coreografia di Domenico Iannone. Non era del tutto chiara la presenza di mini velati in alcuni momenti, ma non disturbavano e lo spettacolo è veramente bello e piacevole che meriterebbe di essere rivisto e ripreso in future occasioni.
Molto buona la performance dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, la quale era diretta da Jordi Bernacer, un direttore che si colloca nella tradizione avendo preferito una versione con numerosi tagli ai daccapo e la soppressione della cabaletta di Elvira nel finale. La sua direzione non ha particolarmente entusiasmato poiché era tendenzialmente monotona e lenta, senza carisma e scarsa personalità.
Al contrario il Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena, diretto da Stefano Calò, coglie in quest’occasione un particolare e meritato successo per coesione e nitidezza d’assieme e merita un plauso incondizionato.
Nel cast, composto da nomi conosciuti e qualche novità, abbiamo avuto sorprese e qualche delusione. Irina Lungu, Elvira si riconferma cantante di spiccata duttilità vocale, molto espressiva nel canto drammatico, quanto in quello virtuoso, senza toccare vette celestiali. La linea di canto era sorretta da un gusto molto appropriato e da una scansione di colori e fraseggio ammirevoli, che avrebbero dovuto indurre il direttore a ripristinare la suddetta cabaletta conclusiva nella quale si
curamente avrebbe trovato ulteriore verde prato musicale.
La parte di Arturo fu scritta per Rubini, lo stesso interprete de Il Pirata, un tenore che aveva una voce soave e lucente, molto estesa con utilizzo del falsetto, agile ed eroica, romantico che si esprime in un’appassionata elegia. L’Arturo da noi ascoltato era Celso Albelo, un tenore che negli ultimi anni ha dato il meglio di se in parti molto acute e con una voce molto bella. Purtroppo nella recita modenese la sua prestazione non è stata all’altezza del suo nome, poiché gli sfavillanti acuti erano isolati e forzati, il canto monotono in totale assenza di colore e un fraseggio grossolano. L’entrata si poteva anche apprezzare ma il terzo atto è stato veramente faticoso per Albelo, che in luogo di espressione ha usato inutili mezzevoci filate di scarsa credibilità e improprio stile filologico. E’ indubbio che non potessimo trovarci di fronte alle peculiarità di Rubini, oggi nessun cantante potrebbe tentare tale interpretazione, ma quella di Albelo a Modena è stata sotto le aspettative e alle capacità del cantante.
Il baritono Fabian Veloz, Riccardo, dopo una partenza leggermente nasale e qualche accento eccessivo, ha preso quota e ha dimostrato una buona voce calibrata e un ottimo fraseggio.
Eccellente la prova di Luca Tittoto, Giorgio, un basso con un materiale vocale molto rilevante, morbido, rifinito tecnicamente e nella sfumatura di un canto sempre controllato e di raro ascolto per timbro e uniformità.
Nelle parti secondarie si è distinta l’Enrichetta di Kato Nozomi, cantante molto professionale con ottimi mezzi, e il giovane Juan Pablo Dupré, Bruno, cantante dotato di voce interessante e molto musicale. Un po’ più in ombra il ruvido Gualtiero di Lorenzo Malagola Barbieri.
Al termine dello spettacolo non sono mancati applausi di convinto successo, anche se alle uscite singole si sono registrate due isolate contestazioni al tenore e quattro al direttore.
Lukas Franceschini
Piacenza, 24 marzo 2017
La sublime opera belliniana approda sul palcoscenico piacentino a coronamento di un lungo mese, iniziato con la nuova produzione de La Wally, ricco di eccellenti eventi culturali carichi di emozioni.
Finalmente si ritrova nell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna una certa qualità, anche in quelle sezioni – fatte rare eccezioni – che recentemente avevano sortito un po’ di dubbi. Lucentissimi gli archi. Ottima la direzione di Jordi Bernàcer che, pur non prodigandosi in colori suadenti e fraseggi particolarmente interessanti, riesce ad esprimere molto bene il carattere e la melodia del belcanto belliniano, romantico e patetico dove occorre, marziale e quasi risorgimentale dove necessario.
Presenta invece molte più ombre la regia di Francesco Esposito, che mette le mani avanti scrivendo nelle note del programma di sala che “lo spettacolo è stato concepito ed elaborato in uno spazio di tempo non lunghissimo, che ha richiesto decisioni tempestive e rapide su come affrontare la lettura di un’opera complessa […] Insomma un compito non facile”. Nessuno vuole sostituirsi alla professionalità di un artista, ma il pubblico si trova in presenza di una ricetta obsoleta, seppur meccanicamente efficace. L’impianto scenico a cura di Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti, anche se già stravisto e non particolarmente grazioso, è molto funzionale – perciò si poteva evitare la pausa tra secondo e terzo atto – e presumibilmente si ispira a un torrione, con pareti a scomparsa per creare gli ambienti e che si sgretola col procedere della narrazione, al pari della vicenda che tocca i protagonisti. Sicuramente le belle luci di Andrea Ricci ne accentuano i pregi, risultando suggestive e decorative al tempo stesso. Adeguati i costumi firmati dallo stesso Esposito, anche se quelli del coro e dei protagonisti maschili sembrano vistosamente riadattati.
La regia è ben centrata sulle due protagoniste femminili, mentre per il resto è un poco più monotona, con il coro piazzato e i soliti mimi che popolano irragionevolmente questo genere di spettacoli, per riempire ingiustificatamente vuoti che non si è saputo colmare con i veri personaggi della storia. Non classificabili le coreografie di Domenico Iannone.
Irina Lungu è alle prese con il ruolo che forse le riesce meglio. Il soprano, che ha troppo spesso vestito parti che le stavano larghe, trova in Elvira il suo terreno di elezione in quanto a portamento, eleganza e stile. L’emissione è davvero buona, sostenuta da una chiara linea di canto ed impreziosita da un fraseggio rifinito, pur non essendo particolarmente brillante in acuto – suo tallone d’Achille – di cui qualcuno addirittura calante. Ottime le agilità, anche se mancano certe volatine che tradizionalmente contraddistinguono questo ruolo.
Decisamente sotto le aspettative la performance di Celso Albelo, esperto del personaggio di Arturo, poiché sembra sempre risparmiarsi per poi spingere e forzare le note più alte. Anche la recitazione pare ridotta ai minimi termini.
Fabian Veloz è un Riccardo corretto, ma poco nobile, non ricercato, povero di fraseggio e parco di colori.
Superlativo il Giorgio di Luca Tittoto, dotato di classe raffinata e gusto finissimo. Il suo canto è particolarmente accurato, arricchito da un fraseggio molto eloquente e un ottimo uso dei colori, oltre a una linea di canto omogenea dalle brillanti note acute alle salde note gravi.
Molto brava Nozomi Kato nei panni di Enrichetta. Un poco tremolanti il Gualtiero di Lorenzo Malagola Barbieri e il Roberton di Juan Pablo Dupré.
Perfetta la prova del Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena preparato da Stefano Colò.
William Fratti
PHOTOS © Teatro Comunale di Modena | Paolo Guerzoni