Review: LA TRAVIATA al Teatro alla Scala di Milano, diretta dal M°. Nello Santi.
By Lukas Franceschini
Milano, 5 marzo 2017.
Dopo qualche anno d’assenza il Teatro alla Scala ha riallestito La Traviata di Giuseppe Verdi nello storico allestimento di Liliana Cavani del 1990.
Sarebbe stato più ovvio che fosse riutilizzato l’allestimento di Dmitri Tcherniakov che fu prodotto per l’inaugurazione della stagione 2013-2014 e mai ripreso in seguito. Infatti, è stata una sorpresa ritrovare il nome della Cavani in locandina, quando pareva che lo spettacolo, diretto da Muti in moltissime occasioni, doveva essere pensionato. Voci di corridoio, non verificate se attendibili, affermano che è stata precisa scelta della sig.ra Anna Netrebko, protagonista nelle ultime tre repliche, a voler interpretare l’eroina verdiana in questo spettacolo.
Dopo anni l’allestimento di Liliana Cavani si rivede con piacere, poiché è nel segno della tradizione, ben impostato, con una regia efficace, anche se non indimenticabile, tratti di buon teatro e precisa impostazione drammaturgica. Non è il caso di voler cercare chissà quale filosofica o psicoanalitica concezione, sulle vicende dell’agiata cortigiana Valéry. Alcuni potrebbero affermare che non è immediata la comprensione dello stile di vita, o meglio, professione della protagonista, ma penso che non sia ignoto a nessuno poiché il titolo dell’opera è indicativo. Ancora strabilianti e sfarzosi i costumi di Gabriella Pescucci, e lo splendore delle scene di Dante Ferretti che completano una visione piacevole e di grande fascino. Unico neo la lunghezza degli intervalli per i cambi scena, la rappresentazione supera le tre ore e mezzo. La “versione” Tcherniakov, oltre ad alcuni scivoloni che non è il caso di mettere a confronto, aveva il pregio di suddividere l’opera in due parti. Tuttavia, sarebbe auspicabile che La Scala avendo a disposizione due allestimenti diversi dello stesso titolo programmasse in futuro un’alternanza, La Traviata è un titolo sempre apprezzato e riempie senza fatica il teatro.
Sul podio c’è un maestro concertatore come Nello Santi (classe 1931), una tra le più longeve bacchette del teatro d’opera e tra i veterani in campo direttoriale. Rapporto strano quello tra Santi e il Teatro alla Scala, dopo una presenza nel 1971 (Madama Butterfly con Gabriella Tucci), fu richiamato un paio di stagioni addietro per L’elisir d’amore, che però fu cancellato dal direttore, per ritornare nella stagione odierna con due titoli, a novembre dirigerà Nabucco. Santi non è, o è stato, una bacchetta assoluta del XX secolo, ma è stato senza dubbio uno dei più solidi e rilevanti direttori del teatro di tradizione, con buone caratteristiche musicale e abile concertatore operistico. La sua carriera parla da sola. In questo ritorno alla Scala è confermata la professionalità e il carisma, anche se i tempi del primo atto sono spaventosamente lenti. Si riscontra una caratura differente nel secondo atto, tempi più sostenuti e incisivo spessore drammatico, per poi rallentarsi nuovamente nel terzo in particolare nel duetto “Parigi o cara”, che mette pure in difficoltà i cantanti. Santi non smentisce la sua ottima formazione ma i tagli di tradizione sono più che evidenti, nessun daccapo nelle cabalette e qualche sforbiciata in generale. Tuttavia non mancano momenti bellissimi, il duettone del II atto e il concertato finale della festa di Flora. L’orchestra risponde con perfetta sintona, adagiandosi anche alle lentezze, ma sempre con suono pulito e delicato senza mai una forzatura.
Il Coro, diretto da Bruno Casoni, è impeccabile e di alta levatura musicale, anche in questo caso al passo con il maestro, perciò il brindisi era poco frizzante.
Protagonista era il soprano americano, ma di origine messicana, Ailyn Pérez, la quale ha mostrato una voce molto educata di soprano lirico, buona musicalità e interpretazione scenica. Una prova positiva anche se nell’aria finale atto I, le agilità non sono il suo forte, ma nel secondo atto trova un terreno molto più verde e fertile, bellissimo ad esempio l’attacco “Dite alla giovine”, e anche nel terzo, tolta la dizione della lettera, esegue un “Addio del passato” molto commovente e ben cantato.
Francesco Meli, Alfredo, è notevolmente più in parte rispetto al Don Carlo del mese scorso. Il suo Alfredo è giovane, brillante, emotivo. La voce è bellissima, come si sa da sempre, il canto anche se tendente sempre ad essere aperto, è più rifinito, incisivo e il fraseggio molto accurato. Un ruolo che dovrebbe frequentare con maggior frequenza.
Leo Nucci, Germont padre, conferma la classe e la maestria dell’artista. Le qualità sceniche e l’immedesimazione nel personaggio sono altissime, la voce qualche volta tende all’uso del naso, ma l’espressività e il fraseggio sono da manuale, soprattutto nel duetto del II atto. La potenza e la fermezza del settore acuto sono impressionanti e un applauso a un cantante che sorpassati i settanta riesce ancora a essere un personaggio così credibile è doveroso.
Di grande levatura tutti i cantanti nelle altre parti, a cominciare dal Marchese di Abramo Rosalen, raffinato e preciso interprete e al bravissimo Oreste Cosimo, Gastone, il quale ha reso evidente una voce molto bella e ben utilizzata che farebbe sperare in un futuro luminoso.
Chiara Isotton è una sfarzosa Flora e Chiara Tirotta un’Annina delicata e precisa. Costantino Finucci un autorevole Douphol, Alessandro Spina un puntuale Grenvil. Molto professionali il Giuseppe di Jérémie Schutz e Gustavo Castillo, domestico e commissionario. E’ doveroso rilevare che raramente si trova una compagnia così ben assortita e affiatata.
Teatro esaurito in ogni ordine di posto, tanti applausi sia durante l’esecuzione sia al termine, con particolari punte per i tre protagonisti e ovazioni per il maestro Santi.
Lukas Franceschini
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