Review: I brividi di MANON LESCAUT a Catania, in una produzione diretta dal M° José Miguel Pérez-Sierra.
By Natalia Di Bartolo © dibartolocritic –
I brividi suscitati dall’ascolto della Manon Lescaut di Puccini sono particolari, sono “i brividi di Manon”. Dunque, in una messa in scena del capolavoro pucciniano, ricercarli sempre e comunque a volte è vano. E non c’è peggio che rifugiarsi nel passato più o meno remoto per ritrovarli. Quando si va in teatro, poi, il melomane se li aspetta pari a quelli suscitati magari dal sacro disco 33 giri e spesso, troppo spesso, non li trova all’altezza.
Dunque, è piacevole ritrovarseli genuini, dal vivo e anche un po’ inaspettati, in una messa in scena che si presentava un banco di prova improbo per l’intero cast, come sempre avviene per quest’opera. E’ accaduto, infatti, che a Catania, al Teatro Massimo Bellini, il 22 marzo 2017, i brividi di Manon si siano presentati puntuali all’appello. Il che è davvero tanto, perché con le ultime Manon viste in giro ultimamente erano in fase di quiescenza…
Il primo ingrediente dei brividi di Manon è il direttore d’orchestra: se non entra a fondo nella partitura, oppure la personalizza e dunque la spersonalizza, meglio lasciar perdere di sperare.
E’ un primo grave rischio che si corre e a Catania, al primo atto, fin dall’inizio, chi scrive ha avuto la sgradevole impressione che i brividi non sarebbero arrivati, ascoltando la meravigliosa orchestra del Teatro Massimo Bellini lanciata a volume altissimo, fino a sovrastare gli interpreti e perfino il coro. Forse un eccesso di entusiasmo del Maestro José Miguel Pérez-Sierra, che aveva sottocchio la partitura pucciniana e sottomano una così valida orchestra, perché è apparso subito decisamente un “sinfonico”.
La partitura di Puccini, del resto, si presta a tentazioni del genere e il Maestro si è fatto tentare volentieri. Solo che chi ben comincia è a metà dell’opra e l’inizio non appariva dei migliori…Dunque, ci si aspettava una barriera da muraglia cinese davanti al palcoscenico anche nel prosieguo. Invece, il Maestro Pérez-Sierra si è intenerito già dal secondo atto in poi ed ha moderato gli entusiasmi fino alla fine, convogliandoli soprattutto nel meraviglioso Intermezzo.
Lì la natura sinfonica del Maestro è venuta fuori in tutta la propria autorevolezza e gli affondi degli archi sono stati degni delle orchestre più blasonate. Il meraviglioso colore dell’orchestra catanese ha avuto pieno risalto, nonostante la mancanza dell’arpa, purtroppo, per un’indisposizione dell’arpista e dunque sostituita da una tastiera che ne ha fatto le veci. Un vero peccato, in un insieme orchestrale che i brividi di Manon avrebbe potuto darli tutti.
In verità, anche la voce di Manon ha saputo suscitare debite emozioni e anche qualche brivido, al finale del quarto atto soprattutto. La bella e brava Alisa Zinovjeva ha dato vita ad un personaggio sentito e comunque anche ben recitato, dotato di una voce dal bel colore, dal timbro scuro e drammatico. L’artista si è districata nei grovigli di una partitura certo non facile, merita una nota di lode e le si augura di affinare questa parte, che le sta molto bene.
I brividi di Manon anche dall’ugola di de Grieux?…E qui viene il bello, perché a Catania de Grieux era Marcello Giordani. Indubbiamente ammirevole la limpidezza della voce dell’esperiente Maestro, che ha anche una presenza scenica di gran rilievo. Ma, ovviamente, la parte è improba e, soprattutto nel finale, l’artista si è appellato più alla tecnica che a ciò che gli veniva offerto a fine serata da una voce che certo risente inevitabilmente dell’usura del tempo. Il Giordani non ha perso però lo smalto e ha dato vita ad un personaggio sentito e ben interpretato. Brividi di Manon anche da de Grieux dunque, soprattutto in “Ah! Manon mi tradisce il tuo folle pensier” al secondo atto, gran momento, quello, affrontato con piglio drammatico sia vocale che scenico.
I personaggi che attorniano i due protagonisti contribuiscono a favorire i brividi, ma non ne sono gli artefici, per la natura delle loro parti. Apprezzabile il Lescaut di Giovanni Guagliardo, che ha dato del personaggio un’immagine non troppo becera, anzi abbastanza protettiva nei confronti della sorella; meno stentorea la voce di Emanuele Cordaro, un Geronte comunque corretto. Parlare del resto del cast significa parlare soprattutto del tenore Stefano Osbat, che ha impersonato diversi ruoli, ma che neanche in uno ha fatto sentire un po’ di voce. La parte più importante, quella di Edmondo al primo atto è passata quasi inascoltata, tra la carenza di proiezione del cantante ed il muro sonoro creato dal Maestro.
Come sopra accennato, perfino il coro, diretto da Ross Craigmile, ha risentuito del volume orchestrale al primo atto, ma è stato, tutto sommato, gradevole.
L’insieme musicalmente apprezzabile era contenuto in una messa in scena altrettanto apprezzabile. La regia esperiente di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, da un allestimento di Pierfrancesco Maestrini proveniente dal Massimo di Palermo, ha dato i suoi frutti, fornendo ai personaggi quel sostegno recitativo che è indispensabile.
Mai statici i protagonisti, ben disposte le masse, ben caratterizzati i comprimari, tranne che per una certa approssimazione nella scena di Manon alla toletta, all’inizio del secondo atto. Una regia che comunque ha catturato lo spettatore che si è lasciato trasportare. Gradevoli le scene, ma soprattutto illuminate molto bene: le luci hanno fatto moltissimo in questa produzione, così come i costumi, assai ben curati da Giovanna Giorgianni.
Brividi, in conclusione, allora, per l’accanito melomane, trasmessi e ricevuti debitamente, in una serata godibile. Ed è bello sentire mormorare alle signore, di solito sempre un po’ svagate, in prima fila: “Ma la musica…la musica è meravigliosa!”. I brividi di Manon non risparmiano nessuno, allora: quel geniaccio di Puccini lo sapeva anche troppo bene.
Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
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