GINA di Cilea al Malibran di Venezia

GINA di Cilea al Malibran di Venezia per La Fenice: la prima opera dell’autore —

Review by Lukas Franceschini —


Venezia, 10 gennaio 2017.

Al Teatro Malibran, per la stagione d’opera della Fenice, è stata messa in scena Gina, melodramma idilliaco di Francesco Cilea, suo primo lavoro operistico composto come saggio finale al Conservatorio di Napoli nel 1889.

Gina è certamente un’opera minore, pertanto le sue rappresentazioni sono state molto limitate: la prima al Teatrino del Conservatorio San Pietro a Majella il 9 febbraio 1889, alcune recite nel 2000 al Teatro Rendano di Cosenza poi riprese a Roma nel 2001. La Fenice dopo tre lustri, e a centotrent’anni dalla prima, colma un vuoto sulla musica del compositore calabrese, e vorrei rilevare che l’operazione è molto interessante nella programmazione di una Fondazione, la quale ha il dovere far conoscere ogni tanto anche opere secondarie e desuete.

La vicenda è ambientata in epoca napoleonica in un paesino francese non identificato, e sul tessuto di una drammaturgia idilliaca, in parte campestre, agiscono cinque personaggi, Uberto, che dovrebbe arruolarsi e lasciare temporaneamente la fidanzata Lilla, e Gina, sua sorella. Quest’ultima utilizzando un monile d’oro di famiglia, giura che sposerà chiunque vorrà sostituire il fratello alla campagna di guerra. Si offre Giulio, di lei innamorato, anche e il fratello deve ugualmente partire. Due anni dopo Uberto rientra assieme a un compagno d’armi, tra lui e Gina nasce un sentimento, non riconoscendosi subito. Giulio si dichiara affermando di essere il misterioso personaggio che si è sostituito al fratello. L’incertezza di Gina è palese, sarà il sergente Flamberge a mostrare il monile, rivelando che Giulio lo consegnò a lui in punto di morte (poi salvandosi) e pertanto la giovane coppia può felicemente sposarsi.

La musica dell’opera si distacca fortemente dalla vena veristica che in seguito porterà al successo internazionale Francesco Cilea. In particolare sarà Adriana Lecouvreur il titolo per antonomasia e mai uscito dal repertorio, assieme a L’Arlesiana che ebbe nella prima parte del XX secolo assidue rappresentazioni. In Gina troviamo invece un’elevata vena melodica lirica che si distingue in momenti amorevoli e patetici. Il compositore si avvicina nello stile più al vaudeville francese che all’onda della scapigliatura, della giovane scuola e del verismo che impereranno per decenni. Una delicata overture, che riprende i temi successivi, apre un racconto idilliaco ispirato all’invenzione melodica semplice ma accorata, caratterizzata da pezzi chiusi sufficientemente collegati e un manierismo che getta le basi di future altre creazioni. Infatti, fu proprio grazie a Gina che Cilea fu notato dall’editore Sonzogno che pubblicò tutte le sue opere, garantendo anche il successo. Non bisogna liquidare questo spartito con dozzinale sufficienza, è auspicabile invece un’onesta conoscenza di un autore che ha fortemente influenzato il ‘900 italiano e rilevare che sarebbe stato improbabile che un giovane neo diplomato potesse essere innovatore al suo primo lavoro, che è caratterizzato nella tradizione di arie, duetti, concertati. In particolare sono molto rilevanti le arie solistiche di Gina, Lilla e Uberto e il quartetto del II atto.

L’allestimento presentato a Venezia porta la firma di Bepi Morassi, colonna portante della Fenice, che sviluppa uno spettacolo semplice ma di piacevole narrazione, del resto il tessuto drammaturgico non consente invenzioni particolari. Il tratto delicato nel descrivere situazioni e personaggi sono pertinenti e manierati proprio nello stile dell’opera. Francesco Cocco è un bravo e giovane scenografo che disegna una scena vaudeville di agile funzionalità, inserendo tutti gli elementi perfino grandi bandiere francesi che scendono dai palchi laterali, e Francesca Maniscalchi crea costumi d’epoca di raffinata fattura. Dobbiamo lodare l’impegno della Fenice per il progetto di collaborazione con la Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia per realizzare ogni anno uno spettacolo con i giovani allievi.

Principale artefice del successo di Gina è il direttore Francesco Lanzillotta, che si adopera in una lettura piacevole e ricca di sfumature e colori, senza stravolgere il clima idilliaco, rilevante la narrazione di forte impatto teatrale.

Professionale il Coro della Fenice nei brevi interventi, diretto da Ulisse Trabacchin.

Efficace la compagnia di canto capitanata dalla protagonista Arianna Venditelli, delicata sensibile interprete e cantante di forbita musicalità, anche se alcuni passi nel settore acuto non sono ancora del tutto calibrati. Armando Gabba interpreta un Uberto molto valido per linea di canto e sensibilità nel fraseggio. Alessandro Scotto di Luzio, Giulio, ha voce lirica bellissima utilizzata con dovizia, peccato che il fraseggio e l’accento siano sovente monotoni.

Molto brava Valeria Girardello, Lilla, che nell’aria del II atto ha il suo momento per emergere in un canto fluido e raffinato. Meno significativo il Flamberge di Claudio Levantino, corretto cantante ma povero di volume.

Al termine a tutta la compagnia è stata riservata una calorosa accoglienza, giustamente meritata.

Lukas Franceschini

PHOTOS © Teatro La Fenice | Michele Crosera