LA SONNAMBULA al Wiener Staatsoper

LA SONNAMBULA di Bellini al Wiener Staatsoper di Vienna —

Review by Neco Verbis ©dibartolocritic


Vienna, 13 gennaio 2017

Girando e rigirando da una vita per teatri, la Sonnambula di Vincenzo Bellini è sempre stata per il sottoscritto un rebus: mai trovata la produzione giusta. Non solo perché spesso gronda melassa fino a diventare insopportabile, ma soprattutto perché tra il quadro primo del primo atto e il finale di Amina nel secondo quadro del secondo atto c’è musica preziosa, ma spesso ci si trova ad annoiarsi, per mancanza di piglio direttoriale e di voci.

Mi sono sempre chiesto, dunque, quando avrei trovato una Sonnambula che non fosse né zuccherosa né soprattutto noiosa nella parte centrale. Allora, il 13 gennaio 2017, non che a Vienna fosse proprio quella giusta, ma finalmente ci andava vicina.

Scattante, asciutto, il direttore Guillermo Garcìa Calvo ha sfornato un Bellini quadrato, pulitissimo, privo di sbavature, mai sentito prima così inossidabile e così lirico in questo capolavoro, mai sdolcinato, mai sopra le righe. Con l’organico orchestrale del teatro viennese adeguato all’opera e sempre perfetto, le sonorità erano scattanti, le dinamiche magari un po’ troppo lineari, ma efficaci. Insomma, un gran direttore il giovane Calvo, di scuola anche viennese. Bellini ne è uscito come rinfrescato da una ventata di gioventù capace, anche se mancava un po’ di quella particolare aura che dovrebbe circondarne l’esecuzione e Donizetti incombeva, occhieggiando di tanto in tanto tra le pagine della partitura.

In compenso, in scena, un po’ troppo volume ha nuociuto all’insieme, pur donando il cast perle preziose, specie in alcuni concertati, tutti da applaudire.

Daniela Fally-Amina, al debutto nel ruolo in questa produzione, un po’ dolciastra all’inizio, ha uno squillo di tutto rispetto e lo ha sfoderato per intero. Nonostante una certa teutonica rigidità nella zona acuta e soprattutto nei sovracuti, ha dato però della figura della protagonista un’interpretazione che ha avuto nella parte drammatica un adeguato sviluppo e si è dimostrata impeccabile nel celeberrimo “Ah non credea mirarti”, più che nella cabaletta finale, croce e delizia di tutti i soprani che hanno affrontato e affrontano questa parte.

Dal canto suo, Juan Diego Florez – Elvino, giusto quel giorno in piena festa di compleanno, ha i sovracuti, lo sappiamo, li ha eccome, ma ha anche una propensione per il tutto forte che non sempre lo aiuta a dialogare con la partner, nonostante l’altrettanto fiero squillo. Ha tratteggiato un Elvino curato, ma un po’ sopra le righe, rischiando di oscurare il soprano in alcuni duetti. L’accuratezza della modulazione è una scelta, oltre che una tecnica che il Florez conosce benissimo, e andrebbe utilizzata opportunamente. Voce e legato sui quali ormai è stato scritto tutto, squillo stentoreo, protagonismo accentuato, fans in delirio.

Più baritono che basso, il conte Rodolfo di Luca Pisaroni al debutto nel ruolo, ha mostrato un bel legato, ma qualche inadeguatezza nel timbro e qualche bollore di troppo, fomentato dalla regia, per un personaggio che di solito ci viene mostrato attempato e pacioso, forse anticipazione di un Escamillo che gli starebbe molto bene, anche per fisicità.

Il Bel Canto italiano non ha brillato nella Lisa della russa Maria Nazarova, di scuola viennese, che, fresca di debutto nel ruolo a Monaco e coloratura adatta più a parti en travesti che a Bellini, ha stirato senza requie una voce che potrebbe invece, se ben gestita, essere di rilievo, nel suo genere: pecca più evidente l’impostazione degli attacchi dal basso con relativi portamenti al tono, rilevati in particolare in “De’ lieti auguri a voi son grata”, nella scena sesta del secondo atto. Si augura alla giovanissima cantante (classe 1988) di adeguarsi ad un ruolo per il quale pare non abbia ancora raggiunto sufficiente maturità.

Una volta tanto intailleurata e in primo piano la figura della madre, la mugnaia Teresa di Rosie Aldrigde. Comprimari soddisfacenti, Coro un po’ troppo forte anch’esso e con qualche sbandamento, ma comunque adeguato al gran teatro a cui appartiene.

Quanto alla regia di Marco Arturo Marelli, che ambientava il tutto in un albergo vagamente anni ’30 sulle Alpi svizzere, stante che l’albergo nell’opera esiste davvero, passi; ma Amina che compare all’inizio vestita da cameriera per poi indossare in scena, dietro un improvvisato paravento, l’abito da sposa lascia un po’ di amaro in bocca, visto che, in fondo, tale regia non ha travisato troppo gravemente, per fortuna, lo spirito dei luoghi e degli eventi in cui la vicenda si svolge, pure in una trasposizione pressoché a-temporale. La regia non è stata aiutata dalle scene dello stesso Marelli, di coerenza assai vaga tra esterni e interni, dalle sue luci e dai costumi impersonali e banali di Dagmar Niefind .

Ma la messa in scena, in fondo, è rimasta secondaria alla qualità musicale dello spettacolo e dunque non ha nuociuto più di tanto all’insieme, evitando oltretutto l’inflazionato effetto cartolina bucolica dai monti che spesso ci viene ammannito.

Applausi a non finire, accaniti e urlanti i fans del Florez, ma tutti gli spettatori entusiasti della serata, lancio di fiori e tanto di Happy Birthday cantato dalla platea per il tenore sul proscenio.

Serata belliniana decisamente continentale a Vienna, un po’ in trasferta quanto ad atmosfera, ma gradevole nel complesso: un lusso che spesso perfino nei luoghi di Bellini ci viene negato.

Neco Verbis © dibartolocritic

 

PHOTOS © Wiener Staatsoper / Michael Pöhn