Review by Natalia Di Bartolo ©dibartolocritic —
Gran chiasso primaverile attorno al recente ritrovamento in Francia, a Tolosa, di un dipinto di grandi dimesioni, cm. 144 x 173,5, che pare sia stato scoperto nel 2014 e tenuto nascosto fino ad oggi, raffigurate Giuditta che uccide Oloferne.
La stampa ha impazzato in vario modo e i giornalisti compiacenti hanno strizzato l’occhio all’expertise tempestivamente realizzata in Francia e caricata su Youtube, in cui Eric Turquin, ”esperto” alla guida dell’omonimo studio privato, ha esultato e sentenziato che l’opera è da attribuirsi al nostro immenso Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Dimenticato per oltre 150 anni in un sottotetto, si è affermato che il quadro sia stato ritrovato assolutamente per caso, quando i proprietari dell’edificio in cui era celato, avendo subito una perdita d’acqua, sono intervenuti a riparare le condutture.
L’opera, che secondo Turquin arrivò a Tolosa a metà del XIX secolo, è stata ritrovata “in uno stato di conservazione eccezionale. I proprietari sono discendenti di un ufficiale dell’esercito napoleonico. E’ forse grazie a lui che è stata aggiunta ai beni di famiglia”.
Nella presente sede aleggia però un certo scetticismo, e si condivide quello di diversi altri storici dell’Arte, nutrendo dubbi sull’attribuzione, innanzitutto per il troppo perfetto stato di conservazione del dipinto e per le rocambolesche circostanze “napoleoniche” della provenienza, da ritenersi piuttosto ovvie e scontate, in verità.
Si ritiene utile, dunque, dare meglio un’occhiata, per quanto risulti possibile dalle immagini a disposizione, alla tela ritrovata, che verrà sottoposta a lungo studio da parte degli esperti del Louvre per determinare se si tratti davvero di un lavoro originale di Michelangelo Merisi o di un suo seguace.
Pare che i francesi datino il dipinto al 1604-1605, mentre il dipinto celeberrimo, raffigurante il medesimo soggetto, conservato nel Museo di Palazzo Barberini a Roma e universalmente riconosciuto come autentico, è antecendente di qualche anno. Dunque la tela ritrovata sarebbe successiva alla prima Giuditta e Oloferne che tutti conosciamo quale immenso capolavoro.
Esiste anche una copia del finora sconosciuto originale caravaggesco (quello francese?) realizzata dal pittore fiammingo Louis Finson all’inizio del Seicento e conservata oggi al Palazzo Zevallos, a Napoli. Supportata anche dall’esistenza di un testamento di costui, attesterebbe che esista davvero un originale dipinto di mano del Merisi.
Ad un esame sommario, dalle sole fotografie che sono state diffuse dalla Francia, il dipinto ritrovato sembra di fattura pittorica certo nettamente superiore alla copia custodita a Napoli.
“Quella luce particolare, quell’energia tipica di Caravaggio, senza correzioni, composta da una mano sicura, nonché la materia del dipinto, ci dicono che questo quadro è autentico”, ha aggiunto Turquin, riguardo al tesoro francese. Ma l’attribuzione non convince.
Il gozzo della vecchia in secondo piano pare sia stato uno degli elementi determinanti per apporre al quadro la firma dell’italico genio. In realtà, la realizzazione delle rughe e di tutto l’insieme della figura appaiono piuttosto approssimativi per la sopraffina mano caravaggesca.
Anche la figura di Giuditta, fanciulla in fiore nell’originale conservato a Roma, presenta tratti da matrona, oscuri, quasi luttuosi, che non si addicono alla freschezza dei panneggi del Caravaggio, né hanno una corrispondenza con quelli della fanciulla.
Graficamente, oltretutto, entrambe le figure femminili non sono nel complesso né ben realizzate né accostate.
Sempre ponendo come riferimento l’immensa periza tecnico-compositiva del Caravaggio, anche il viso di Oloferne, la resa della torsione del suo corpo, le luci che torniscono le membra appaiono meno sapientemente disposte e la profondità lascia a desiderare.
Per quanto riguarda il parere di chi scrive, quindi, in definitiva, dati purtroppo i pochi mezzi d’esame consentiti, Caravaggio è assente, e lo è soprattutto nell’imprinting generale della composizione, prima che nei particolari.
Il lucido splendore della naturalità dell’insieme della Giuditta originale cede il posto ad una serie di figure che appaiono come “ritagliate” e poi “appiccicate” una accanto all’altra, senza alcuna naturalità, a sfavore, come prima accennato, anche della profondità e dell’armonia compositiva del dipinto, che, sia pure teatralmente un po’ troppo tragico, dovrebbe contenere “lo spirito” caravaggesco, fatto di luci, ombre e lampi di genio. Qui una specie di durezza, invece, pervade l’insieme.
Molto pregevole, comunque, l’opera…Ma non all’altezza del “dopo” l’altra Giuditta, così come lo hanno datato. Alta scuola, dunque, ma scuola.
Secondo la storica dell’Arte Mathilde Tastavy, nel sud della Francia sono stati numerosi i pittori che si sono ispirati al maestro italiano e la sua analisi su presunti seguaci in terra di Francia, a cui attribuire il dipinto ritrovato, appare pertinente.
Si attendono, ovviamente, gli autorevoli risultati degli studi degli esperti del Louvre.
Natalia Di Bartolo – ©dibartolocritic
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