Written by Neco Verbis —
Vienna, 17 ottobre 2015 –
Macbeth ambizioso a Vienna, in questa Stagione 2015/16.
E’ preferibile iniziare a riferire del versante musicale, dove George Petean come Macbeth ha sofferto nelle parti acute del primo atto, appianando poi il canto secondo il proprio stile morbido, forse troppo per un Macbeth a cui è mancato quel tanto di bieco e ripugnante che dovrebbe caratterizzarlo. Non sembra possedere il Petean la potenza caratteriale dell’interprete verdiano.
E’ quasi bonario quale Macbeth, non abbastanza viscido. Posa nel Don Carlo forse è la parte verdiana che più gli si addice dal punto di vista interpretativo, ma non da quello vocale. Il suo pezzo forte è il Conte di Luna nel “Il Trovatore”, e lo ha dimostrato la scorsa estate alle Chorégie d’Orange, dove ha spiccato al fianco di Roberto Alagna e di Hui He…Ma non si può fare a meno di rilevare come anche lì non si sia dimostrato scenicamente un “cattivo” convincente.
Lady Macbeth, Tatiana Serjan, con un vibrato largo, ha spesso perso di vista l’orchestra, nonostante gli sforzi del maestro Altinoglu nell’assecondarla e sostenerla. Troppo ardua la parte per un’interprete che non possiede la dovuta versatilità, nonostante il bel colore drammatico della voce.
Ha spesso stentato nelle agilità che non sono adatte alla sua vocalità, spiccando però nella scena del sonnambulismo e dimostrandosi comunque interprete di temperamento abbastanza sicuro per la parte e di presenza scenica che andrebbe anch’essa, come quella del Petean, affinata e maggiormente accentuata nelle asperità dei caratteri.
C’era qualcosa che non collimava, infatti, nella coppia dei perfidi coniugi, qualcosa che li teneva slegati, nonostante gli sforzi ammirevoli…E probabilmente il problema è legato soprattutto all’indole personale degli interpreti.
Banquo, Ferruccio Furlanetto, ha fatto tornare alla mente gli antichi splendori di un Procida anni ’90 alla Scala, senza che si riesca a dimenticare il suo Don Pasquale, sempre nel teatro milanese e sempre nello stesso periodo d’oro della sua carriera.
A Vienna si è mostrato ancora padrone di uno strumento che è sempre stato fuori dal comune e che oggi, alla bella età di 66 anni, ancora riesce a modulare con adeguata padronanza, nonostante qualche cedimento.
Macduff, Jorge de Leòn, corretto e vocalmente abbastanza solido, Malcom, Jinxu Xiahou, opaco anche scenicamente, ma in duetto anch’egli all’altezza della situazione. Lo stesso i comprimari.
Ma quello che ha brillato è stato il Coro, diretto da Thomas Lang con cura ammirevole della dizione e dalla coordinazione con gli interpreti nelle scene d’insieme; il che che ha reso la compagine viennese davvero protagonista della serata, insieme alla splendida Staatsoper Orchestra.
Il Maestro Alain Altinoglu ha diretto con una certa trepida attenzione nei momenti in cui si è lasciato dominare dall’idea di “oscurità” che ha voluto sottolineare nella partitura verdiana, perdendo spesso di vista le dinamiche corrette, a favore del colore orchestrale reso fin troppo “scuro”. Ciò che lo esalta in quest’opera, però, evidentemente, sono le parti corali, quelle più impegnative e che probabilmente di più lo preoccupano; e che dunque maggiormente ha curato.
E se le streghe, registicamente, non hanno avuto il dovuto rilievo, dal punto di vista vocale hanno anch’esse saputo distinguersi, nonostante alcuni momenti di accentuata lentezza. L’incostanza dei tempi, a volte troppo allargati, infatti, ha nuociuto non solo a loro, ma all’intera coerenza dell’insieme della direzione, lì dove, invece, nelle parti solo orchestrali il Direttore si è beato della propria libertà (spesso ha preferito rallentare certamente anche per accompagnare al meglio la protagonista che soffriva nelle agilità) e ha fatto cantare l’orchestra a meraviglia. Ma si stia certi che il Maestro, ancora giovanissimo, possieda tutti i numeri per dirigere un Macbeth davvero notevole.
Applausi scroscianti alla fine, pubblico più che soddisfatto, che ha chiamato ad oltranza gli interpreti alla ribalta.
Insomma, alta qualità complessiva, se non fosse stato per i costumi che ambientavano la vicenda in un ipotetico periodo bellico o postbellico e vestivano di attillati tailleurini, anche scozzesi, la protagonista ed il coro femminile.
Lodevole lo sforzo della regia di Christian Räe, che, insieme alla messa in scena di Gary McCann, richiamava inevitabilmente un cinematografico Riccardo III regia di Jan Loncraine, 1996, di altissima qualità, ma forse il regista aveva letto più attentamente la tragedia shakespeariana che il libretto del Piave, poiché ha colto momenti abbastanza suggestivi nella resa delle personalità abbinate, opposte e nello stesso tempo coincidenti, come allo specchio, dei due protagonisti, ma ha anche commesso svarioni inconsulti.
Infatti, se è pur vero che ha risolto la scena delle apparizioni con una certa efficacia drammatica, grazie alla presenza di alcuni ragazzini in slip e canottiera recanti in testa corone di stagnola dorata, efficacia evocata anche dal sangue copioso che inzuppava teli e coperte in una camera da letto dei coniugi Macbeth fatta teatro inconsueto ma coerente della scena, ha dato vita a tratti a genialate assurde.
Come si può fare invocare all’ultimo atto “ Qui l’usbergo, la spada , il pugnale!”, a Macbeth facendogli tenere una pistola in mano e pure facendogliela puntare alla tempia? Oppure, come ha potuto tenere la Lady di spalle quando il medico esclamava “Oh come gli occhi spalanca!”…E diverse altre chicche del genere.
Su certe ingenuità fumettistiche, poi, come quella del pugnale nella busta di plastica trasparente presentato agli astanti come arma del regale delitto, purtroppo, non si può sorvolare.
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PHOTOS WIENER STAATSOPER / Michael Poehn