Lo storico articolo del grande De Roberto cronaca della traslazione delle spoglie di Vincenzo Bellini, che provenivano da Parigi, alla tomba monumentale del Tassara nel Duomo di Catania, dove ancora oggi riposano. L’articolo fu scritto il 26 settembre 1876 per l’Illustrazione Italiana e pubblicato il 15 ottobre 1876.
Il musicista, nato a Catania nel 1801, era morto a Puteaux (Parigi) nel 1835 e, con trionfale accoglienza, dopo 41 anni, tornava nella città natale.
Nel ricordo del genio Bellini e del De Roberto, oggi 15 ottobre 2015, dopo 139 anni dalla pubblicazione dell’articolo, con immensa devozione.
Catania, 26 settembre.
Da un mese Catania è in uno stato anormale, ognuno si sente in dovere di adoperarsi per ricevere degnamente il grande concittadino, e tutti si sono adoperati tanto che per la ristrettezza del tempo si sono fatti, miracoli. Il 21 tutto era pronto. I trèni e i piroscafi provenienti da tutte le direzioni versavano a migliaia i forestieri, e la folla curiosa circolava per le vie della città adorna di un infinito numero di bandiere nazionali e di quelle di tutte le nazioni del mondo. Il 22 l’accorrenza dei forestieri aumentò ancora. Tutti i balconi erano parati a festa, sui muri, delle vie si vedevano le immagini di Vincenzo Bellini circondate da ghirlande e festoni di fiori, e su tutte le bocche risuonava il suo nome; era un vero entusiasmo.
L’arrivo delle ceneri era fissato per le sei; le vetture versavano i curiosi al suolo, alla Piazza dei Martiri e alla Stazione.
Tutti i bastimenti erano pavesati a festa. Gli occhi erano rivolti a quell’angolo di terra ove doveva apparire la squadra; imperocché il ministro di agricoltura industria e commercio aveva promesso al Municipio che insieme al Guiscardo che doveva portare le ossa di Bellini, sarebbe venuta la squadra che era a Taranto.
Alle 4 pom. Lasta di prua d’una nave spuntava dalla terra, tutti i cuori palpitarono; era il Guiscardo. L’annunzio corse in un baleno.per la città. I due colpi di cannone che si tirarono da terra, ebbero un’ eco sulla spiaggia opposta e in tutti cuori. Ma la delusa aspettativa della squadra produsse una cattiva impressione.
Ancora mancava molto tempo all’ ora stabilita, ed il Guiscardo si avanzava lentissimamente. Elle 5 ore meno pochi minuti la corvetta era all’altezza della lanterna.
Allora incominciarono le salve. Era il grido di gioia che Catania emetteva ricevendo il figlio suo; era il saluto che gli inviava. – La corvetta rispose alle salve, avvolgendosi nel denso fumo dei suoi cannoni. A regolari intervalli brillava un fuoco, e dopo un 12 secondi si sentiva il lontano tonar del bronzo. Era ancora distante più di 4 chilometri. La rotta era al sud, poi fu portata a sud-ovest. Si seguitò così fino a che arrivò nella direzione del molo vecchio. Allora si avanzò nella direzione del porto ; il quale cominciava a coprirsi di barchette che andavano all’incontro della corvetta e poi le tenevano dietro.
Intanto seguitava il cannoneggiamento da terra. Allorquando la nave imboccò il porto si udì un batter di mani fragoroso, i cappelli si abbassarono ed i fazzoletti sventolarono. I membri della Commissione erano raccolti sul casseretto insieme cogli uffiziali di bordo e salutarono la folla stipata alla lanterna, al molo, sui palchi, alle finestre e dentro le barche.
Alle 5 1/2 il Guiscardo gettò l’ancora. Finirono le salve, ma il batter delle palme continuò più fragoroso. Appena il Guiscardo si fermò, la banda intuonò l’inno reale e le altre bande seguitarono i loro concerti.
Intanto annottava. Si cominciò ad accendere i lumi. In 5 minuti il mare fu coperto di punti rossi vagolanti. Alle 6 ore e 10 si accesero i fuochi di bengala alla lanterna. Grandi fuochi di legna brillarono sulla costa e dall’ alto del Salvatore, i razzi multicolori solcavano l’aere, le granate scoppiarono e i mortaletti aggiunsero il loro fragore all’incantevole scena. Il Messaggiere, avviso della R. Marina, fu illuminato a fuochi di bengala, e lo stesso Guiscardo. Poi a poco a poco i fuochi si spensero, le barche rimisero a terra i curiosi e la folla sgombrò il porto per gettarsi nelle vie.
L’illuminazione di queste era magnifica, tutte la case splendevano I giardini Pacini e Bellini ridondavano di luce, le bandiere vi sventolavano e le bande vi intrattenevano la gente con la musica di Bellini. In Piazza degli Studi era eretto un palco, sul quale fu scoperto un trasparente del prof. Papisardi, rappresentante l’apoteosi di Bellini: gruppo di angeli che portano Bellini in cielo, e la melodia piangente che fugge. Su quel palco si tennero concerti vocali e strumentali, l’ultimo dei quali fu l’apoteosi di Bellini, scena drammatica posta in musica dal maestro Pacini.
Per finir la serata si illuminò a fuochi di bengala la via Vittorio Emanuele, alle cui estremità si videro apparire una grande lira ed un arco di trionfo.
Ma se la festa era finita, la gente voleva assistere allo sbarco delle ceneri, e muta si portò al porto. La barca funeraria fu staccata da terra e il feretro fu posto nella carrozza dell’ex S. P. Q. C, che si mosse seguita dalla folla che gridava : Evviva Bellini ! — Alla Porta Uzeda si intesero le grida di: Abbasso i cavalli! a noi Bellini! Dalla Porta Uzeda alla Porta Aci le grida raddoppiarono: Staccate! Via i cavalli! Ai catanesi Bellini! Evviva Bellini! La carrozza non potè andare più innanzi ; si staccarono i cavalli, s’intese un immenso grido, la gente si precipitò al timone. Fino alla piazza del Borgo non s’intesero altre grida che: Evviva Bellini! e fra esse: Viva la Francia! Viva Parigi e Catania! Mani frenetiche agitavano i cappelli ed i fazzoletti, la gente veniva ai balconi, le finestre si illuminavano. Fu una vera marcia trionfale. Alle 2 la carrozza arrivava al Borgo, ed il feretro fu esposto nella cappella ardente.
Il domani, alle ore 10 e 1/2, le reliquie di Bellini furono solennemente consegnate al Sindaco e alla Giunta municipale.
– Tutte le deputazioni delle associazioni cittadine, nazionali ed estere; le rappresentanze dei corpi scientifici ed artistici ; il rappresentante della R. Casa, generale de Sonnaz, ecc., ecc., si adunarono alle 11 e 1/2 al Palazzo di Città. Il professore Ardizzoni lesse un discorso che fu applauditissìmo.
Alle 3 tutte le deputazioni e rappresentanze, la milizia, l’ufficialità dell’esercito, lo stato maggiore delle navi il « Guiscardo » ed il Messaggiere arrivarono alla piazza del Borgo, a cui fu dato il nome di Piazza Bellini. Alle 3 e 3/4 un sarcofago di ebano con lavori in argento fu posto sopra un carro a tre ordini. Il primo era una specie di grande biga, sostenuta da quattro
ruote eguali. Sul basamento davanti era posta la statua della Melodia, di dietro un trofeo di bandiere delle nazioni e città ove Bellini colse gli allori. Dal primo basamento si elevava il secondo ordine coperto da una coltre di velluto nero con il nome di Bellini ricamato in argento. La coltre era sostenuta da festoni appesi ai colli di quattro cigni, posti agli angoli superiori del secondo, basamento. Il terzo ordine era composto di dieci cariatidi rappresentanti gli spartiti di Bellini e sostenenti una barella su cui era il sarcofago. Dopo alcuni tentennamenti di quest’ultimo si dovette rafforzare la barella; un’ altra fermata si fece sotto l’arco di trionfo, eretto sulla piazza per tirarne la fotografia.
Infine il corteo sì pose in moto. Lo aprivano un pelottone di carabinieri a cavallo, seguivano i chierici e le rappresentanze dell’Istituto nautico, dell’Università, della Società dei figli dell’Etna, figli del lavoro, del Circolo dei cittadini, del Circolo degli operai, dell’Accademia gioenia, della Società artistico-musicale, ecc.; in fine un battaglione di linea con musica e bandiera. Ai lati del carro tirato da tre quadriglie di cavalli, guidate a mano da valletti in costume del secolo XIV, due gonfalonieri portavano i gonfaloni della città. Dietro il carro veniva la famiglia di Bellini, cioè il fratello, la sorella ed un nipote; il sindaco, il prefetto, il rappresentante della R. Casa, l’uffizialità dell’esercito, il corpo universitario, giudiziario e consolare, i rappresentanti del Senato e del Parlamento, i senatori e i deputati, i comandanti delle navi, gli uffiziali della R. Marina, i decorati degli ordini di Savoia, SS. Maurizio e Lazzaro, Corona d’Italia, i sindaci invitati ecc., ecc.
Veniva dopo un secondo battaglione con musica, un’altra banda ed una compagnia di fanteria di marina.
Durante il trasporto le bande suonavano marcie funebri. Dai balconi piovevano i fiorì, i mazzi, le corone, i sonetti. Alle 6 il carro giunse alla Cattedrale, sul cui frontone in una coltre nera era scritto;
Questa basilica — ove dormono dimenticate — le ossa di tanti re — diventerà questo giorno famosa — per la tomba — di — Vincenzo Bellini. (di M. R.) [Mario Rapisardi, n.d.r.]
Il feretro fu portato nella chiesa che era tappezzata, di velluto nero, dalle arcate pendevano cortine di velo nero, l’abside era occupato da un palco ove 200 ragazzi cantarono uno stupendo coro del maestro Coppola. Il feretro fu posto sopra un catafalco a due ordini. Il primo poggiava sopra una scala di tre gradini, era tappezzato di mortella e cipresso che disegnavano delle arcate gotiche occupate da genii in argento. Il secondo ordine era tappezzato di velluto nero con trofei musicali, in argento. Su di esso fu posto il feretro coperto da una coltre di raso bianco con ricami in oro. Nei tripodi di bronzo ardeva l’incenso, mentre tutta la chiesa era illuminata.
Quella sera, al giardino Bellini, ove era accorsa una folla immensa, si suonarono pezzi di Bellini accolti da fragorosi e ripetuti applausi.
La domenica, 24, la chiesa era trasformata in cappella ardente. Con assistenza dell’arcivescovo e del rappresentante la R. Casa si cantò la gran messa da Requiem del maestro Coppola, diretta da lui medesimo. La messa è veramente grande. I canti funebri e celestiali vi abbondano, i cori sono stupendi; e tuttoció, unito ai motivi grandiosi dell’ Agnus Dei e del Miserere, fa un insieme degno di chi la scrisse e di quello a cui è diretta.
Fu poi discoperto il monumento sepolcrale, opera dello scultore Tassara, composto d’un basamento in cui sarà incastrato un bassorilievo rappresentante una scena della Norma. Sul basamento è un’urna, su cui il Genio della Melodia depone una corona. Il tutto è sormontato da un’arcata che finisce con una croce a braccia uguali, e sul cui fondo un bassorilievo rappresenta l’Apoteosi di Bellini. L’Apoteosi ed il Genio sono in gesso, non essendo arrivati quelli in marmo. Ai piedi del monumento è la tomba su cui sta scritto: BELLINI.
La sera la banda di Messina intuonò l’aria del Pirata : Nel furor delle tempeste , che fu fatta ripetere ben otto volte.
Infine si illuminò a fuochi di bengala tutta la via Stesicore Etnea, e dissipato il fumo si lesse sull’arco di trionfo il nome di Bellini, che ormai riposa nella terra che lo vide nascere.”
[Anno III. – N. 51, 15 ottobre 1876]
FEDERICO DE ROBERTO nacque a Napoli nel 1861, da Federico senior, ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie e dalla nobildonna di origini catanesi, ma nata a Trapani, Marianna Asmundo.
Trasferitosi con la famiglia a Catania nel 1870 dopo che il giovanissimo Federico subì la dolorosa perdita del padre, travolto da un treno sui binari della stazione di Piacenza. Da allora, salvo una lunga parentesi milanese e una più breve a Roma, Federico visse all’ombra gelosa e possessiva di donna Marianna Asmundo.
A Catania si iscrisse all’Istituto tecnico “Carlo Gemmellaro”, in seguito frequentò il corso di scienze fisiche, scienze matematiche, naturali all’Università, ed ebbe pertanto una prima formazione scientifica, alla quale affiancò presto l’interesse per gli studi classici e letterari, allargando la sua cultura al latino.
Il suo esordio letterario avvenne con il saggio Giosuè Carducci e Mario Rapisardi. Polemica, pubblicato a Catania dall’editore Giannotta nel 1881.
Fu presto conosciuto negli ambienti intellettuali per la sua attività di consulente editoriale, critico e giornalista sulle pagine di due settimanali che uscivano a Catania e a Roma: il Don Chisciotte e il Fanfulla della domenica.
Del primo fu anche direttore dal 1881 al 1882; sul secondo scrisse dal 1882 al 1883 sotto lo pseudonimo di Hamlet.
Per l’Editore Giannotta fondò la collana di narrativa dei “Semprevivi” ed ebbe modo di conoscere Capuana e Verga con i quali strinse una salda amicizia.
Nel 1883 raccolse in un volume dal titolo Arabeschi, tutti i suoi scritti di arte e letteratura e nel 1884 avviò la collaborazione, utilizzando il suo vero nome, con ilFanfulla della domenica, e tale collaborazione durò fino al 1900.
Un momento importante per la formazione dello scrittore fu l’incontro, durante un soggiorno in Sicilia, con Paul Bourget (1852-1935), in quei tempi molto noto per i suoi studi psicologici e per i romanzi, nei quali analizzava minuziosamente le coscienze tentando di giungere ad una “anatomia morale”.
Decisivo fu per De Roberto il trasferimento a Milano nel 1888 dove fu introdotto da Verga nella cerchia degli Scapigliati, e conobbe Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa e Giovanni Camerana, consolidando sempre più la sua amicizia con lo stesso Verga e Capuana.
Nel periodo del suo soggiorno milanese collaborò al Corriere della Sera e pubblicò diverse raccolte di novelle e romanzi, fra i quali quello che è considerato il suo capolavoro, I Viceré, nel 1894.
Nel 1897 ritornò a Catania, dove rimase fino alla morte, salvo brevi viaggi nel continente. A Catania ebbe un incarico come bibliotecario e visse sostanzialmente appartato e deluso per l’insuccesso della sua opera narrativa.
Mentre questa tacque egli indirizzò il suo lavoro intellettuale alla pubblicistica e alla critica, tra i quali si ricordano gli studî su Giacomo Leopardi e soprattutto sul Verga che giudicò sempre un suo maestro. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale fu interventista.
Alla morte del Verga nel 1922 il De Roberto riordinò in modo accurato le opere del grande scrittore suo conterraneo ed iniziò uno studio biografico e critico che però rimase interrotto per la sua prematura morte avvenuta a Catania per un attacco di flebite il 26 luglio 1927. Perfino in punto di morte De Roberto non ebbe adeguata considerazione, poiché la sua scomparsa fu oscurata da quella immediatamente successiva (27 luglio) di Matilde Serao.
Le tecniche narrative di De Roberto sono funzionali alla narrazione impersonale ma diverse da quelle di Verga. Innanzi tutto non è presente la regressione della voce narrante nella realtà rappresentata; è presente invece, come nel Mastro-don Gesualdo, il discorso indiretto libero ma in larga misura la narrazione si fonda sul dialogo e sulla presenza di didascalie descrittive. La narrazione tende a far propria la tecnica teatrale; nella Prefazione ai Processi verbali De Roberto afferma: “L’impersonalità assoluta non può conseguirsi che nel puro dialogo, e l’ideale della rappresentazione obiettiva consiste nella scena come si scrive per il teatro”.
SOURCE AND PHOTOS “L’ILLUSTRAZIONE ITALIANA”, http://francescopaolofrontini.blogspot.it, AA.VV