Written by Natalia Di Bartolo —
– Là dove rivivono i giganti –
Milano, 30 settembre 2015 –
I Grandi sono grandi ed è per questo che quando parlano e scrivono, sono “semplici”.
Leggere Giuseppe Verdi che scrive in prima persona a Ricordi è sempre un’emozione: «Io pure vorrei dimostrare quanto affetto e venerazione ho portato e porto a quel grande che non è più e che Milano ha tanto degnamente onorato. Vorrei mettere in musica una Messa da morto da eseguirsi l’anno venturo per l’anniversario della sua morte. La Messa avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande orchestra ed un grande coro, ci vorrebbero anche (ora non potrei precisarli) quattro o cinque cantanti principali». Nello scritto, datato 3 giugno 1873, il soggetto è il grande musicista, ma il complemento d’argomento, “quel grande” è Alessandro Manzoni, che era morto nell’appena trascorso 22 maggio 1873.
La morte di Manzoni aveva ridestato in molti i sentimenti di amor di patria e di libertà di cui il Risorgimento era stato intriso. Verdi e Manzoni lo avevano vissuto contemporaneamente, s’erano conosciuti tramite la contessa Maffei e il genio musicista riconosceva il genio del grande poeta con affetto e sentita reverenza,
addirittura con “venerazione”.
La “Messa da morto” in onore di Alessandro Manzoni, il cui manoscritto autografo è conservato nel Museo Teatrale alla Scala di Milano, venne alla luce nel 1874, per orchestra, coro e quattro solisti, composta dopo il grande successo di Aida ed il lungo periodo che aveva visto il compositore lontano dall’Opera: fu “Messa di Requiem”, per la precisione.
Ma era dal 1868, quando aveva avuto l’idea di creare una Messa di Requiem “collettiva” per Gioachino Rossini, che il genio milanese pensava ad una composizione del genere. Il progetto, da eseguirsi a Bologna nel 1869, non era andato in porto, ma proprio da quella Messa utilizzò il suo “Libera me Domine” per la nuova Messa. Solo nel Nel 1875 Verdi avrebbe operato una revisione al Liber scriptus, sostituendo il fugato del coro con un’aria per mezzosoprano.
Occorse l’autorizzazione dell’allora sindaco Giulio Bellinzaghi per mettere in atto l’esecuzione della Messa di Requiem in onore di Alessandro Manzoni, che ebbe luogo, il 22 maggio 1874, in Milano nella Chiesa di San Marco, proprio in occasione del primo anniversario della morte dello scrittore.
Lo stesso Verdi, sul podio, la diresse, con l’apporto di quattro solisti: Teresa Stolz (soprano), Maria Waldmann (mezzosoprano), Giuseppe Capponi (tenore) e Ormondo Maini (basso), con immenso successo che presto varcò i confini nazionali. Fu un trionfo immediato e venne così riproposta alla Scala, a Parigi, Londra, a Roma dove fu presente la regina Margherita; ne furono create una versione per pianoforte e una per banda. I soliti buontemponi misero in circolazione caricature e vignette con Verdi vestito da sacerdote.
Da allora quest’opera di possente, poderosa e a volte personalissima, inintellegibile trascendenza è un vero pilastro nella Storia della Musica e il riproporla degnamente è sempre segnale di alti intendimenti e di grandi capacità.
Dunque, il vederla e soprattutto l’ascoltarla riproposta il 29 e 30 settembre 2015 nella stessa chiesa di S. Marco a Milano, con l’orchestra e il Coro poderosi e impeccabili del Teatro alla Scala si è rivelato un evento storico ed un’emozione per tutti, non solo per gli spettatori, ma anche per gli interpreti.
Sul podio il grande Maestro Zubin Metha, polso adeguato a cotanta produzione verdiana, giunto ormai anch’egli ad una maturità e ad un “potere”, inteso in senso direttoriale positivo, sugli esecutori che sono tutti da sottolineare. Lo ha sempre posseduto e oggi, alla veneranda età di 79 anni è d’obbligo riconoscerglielo. Emozione nell’inevitabile trasposizione nei panni di Verdi. Galvanizzata l’orchestra meravigliosa della Scala…altrettanto il Coro, diretto da Bruno Casoni. Suggestione per tutti, solisti per primi.
Nel ruolo che fu della grande Teresa Stoltz, il soprano italiano Maria Agresta, reduce dal recente successo de La Bohème giusto alla Scala, voce soave ma che nello stesso tempo conosce bene il fatto suo riguardo all’esecuzione di un ruolo come quello riservato al soprano nel Requiem verdiano. Più di uno spettatore si è sinceramente emozionato al suo “Libera me domine”, di struggente, sentita bellezza.
Altrettanto efficace il mezzo soprano Anita Rachvelishvili, nata a Tibilisi in Georgia, ma “prodotto musicale” di alta classe tutto milanese e reduce dallo stesso Requiem e dall’Aida a Salisburgo, che non ha mancato di evocare le glorie della Waldmann.
Interessante e garbato il tenore Giorgio Berrugi, pisano, classe 1977, che aveva affrontato nel maggio scorso il ruolo nel Requiem al Théâtre des Champs-Elysées a Parigi, ha ripercorso il solco di Giuseppe Capponi.
Eloquente nella propria imponenza vocale d’altissima valenza il basso Carlo Colombara, anch’egli reduce dal successo ne La Bohème alla Scala al fianco della Agresta e che dell’Ormondo Maini di allora certamente ha tenuta viva l’eco con personalissima, emozionata partecipazione, in un ruolo che gli è consueto, ma non per questo meno sentito.
Nessun problema particolare nella temuta acustica del luogo sacro, nè dispersione nelle navate della chiesa, ma fusione d’insieme decisamente fuori dal comune, per l’autorevolezza della direzione, la qualità della resa orchestrale, la perizia del Coro e l’imporsi delle voci, sia nelle parti solistiche che in quelle di insieme, in una resa di altissima coesione e di elevata astrazione spirituale.
Pubblico straripante, anche nell’entusiasmo. Un evento che ha riscosso un successo trionfale e che decisamente rimarrà impresso nella memoria dei milanesi e non solo e costituirà d’ora in poi un inevitabile quanto positivo termine di paragone.
© Natalia Di Bartolo
PHOTO PAGINA FACEBOOK M° CARLO COLOMBARA, AA.VV.