Written by Neco Verbis —
Vienna, 3 ottobre 2015 –
Sarà “Museum in Progress”, ma certo che ogni anno è una sorpresa la cortina di ferro dello Staatsoper di Vienna. Quest’anno ti accoglie un donnone sperso tra i colori, accoccolato per terra, con uno sguardo poco convinto già di per sé. Ancora meno convinto, tranne qualche caso di accesa contemporaneità, anche lo spettatore, nonostante l’apparenza figurativa dell’opera dell’artista Dominique Gonzales-Foerster, che si è aggiudicata il sipario del prestigioso teatro dell’Opera della capitale austriaca per la Stagione 2015-2016.
Più convinto, per fortuna, lo spettatore del Il barbiere di Siviglia del 3 ottobre 2015, che, con la consueta bonomia tutta viennese, si è recato ad assistere al capolavoro rossiniano. E c’è da dire che questo Barbiere è trascorso, quasi corso via, spumeggiante come un bel boccale di birra, anche troppo…
Il maestro spagnolo Guillermo Garcìa Calvo soprattutto all’inizio, ha stretto i tempi tanto da rischiare l’auto-strangolamento perfino di Javier Camarena nel ruolo del Conte d’Almaviva. Va bene che Rossini va eseguito in maniera brillante, ma qui al primo atto si è corso ad ostacoli. Per fortuna, poi, i tempi si sono rasserenati (forse anche il Maestro) e, di rimando, anche i cantanti.
Inoltre, il Direttore era in vena di finezze. Addirittura al “granchio al piede” di Rosina ha inserito il tema di Musetta dal secondo atto de “la Bohème”. Contaminazione insolita a dire il vero e per intenditori, per giunta, ma, in fondo, coerente con l’evento scenico del “Qual dolore, qual bruciore […] al piè”. La finezza si è dimostrata però un po’ eccessiva, perché avrebbe dovuto essere sostenuta da ben altre finezze, soprattutto nella resa complessiva delle dinamiche e dei coloriti orchestrali. Per fortuna la Wiener Staatsoper Orchestra è un panzer e nessun direttore, neanche il più originale, riesce a intaccarne l’aplombe tutto germanico.
Nonostante l’agilità vocale e lo squillo, Camarena, inseguito a velocità, si è perso più di una volta nel ginepraio rossiniano, con diverse imprecisioni e soprattutto con un’aggressività nell’affrontare la parte di Almaviva degna del miglior condottiero messicano alla Pancho Villa…Tutto a denti stretti questo conte, con al fianco la bella Angela Brower nel ruolo di Rosina, dotata di una voce che rossiniana non era, né in un senso né nell’altro, per quella parte accidentata. Ma ce l’ha fatta, nella curiosa via di mezzo che l’ha vista protagonista; piuttosto incolore, ma comunque corretta.
E mentre il Maestro Garcìa Calvo correva insieme a tutta la Wiener Staatsoper Orchestra, Don Bartolo, Wofgang Bankl, all’inizio soprattutto, s’imbrogliava con le parole e la pronunzia italiana. Certo un precettore spagnolo di origine viennese e con problemi di dizione italiana non è il massimo, ma la voce era gradevole; la caratterizzazione decisamente un po’ meno.
Altrettanto dicasi del don Basilio di Ryan Speedo Green, altissimo basso statunitense di colore, insolito a vedersi ma anche ad ascoltarsi, perché lo si immaginava negli abiti del padre Guardiano della Forza del destino, più che in quelli del rossiniano Maestro di musica. Tutto Verdi e tutto in progress ci si augura, dunque, per questo interprete giovane e dotato di una gran bella voce e di un temperamento decisamente drammatico.
Figaro, Christopher Maltman, è rimasto qui fanalino di coda, perfino dopo la Berta di Simina Ivan, perché praticamente si è solo sentito sul palcoscenico, quasi non si è visto. Purtroppo il baritono di scuola britannica, decisamente più versato in Mozart che in Rossini, ha mancato di presenza scenica, di quello spirito mordace e scanzonato che deve comunque caratterizzare il personaggio. Ed anche vocalmente si è dimostrato il più “spento”, a cominciare dalla cavatina, approssimativa e assai poco incisiva.
Allora ci si chiede come mai questo Barbiere sia stato comunque uno spettacolo gradevole. E’ semplice: perché la coesione dell’insieme era ammirevole, perchè nella produzione ideata da Günter Rennert con Alfred Sierke, che firmava anche gli accettabili costumi, le scene erano strutturalmente scomode e contorte per gli interpreti, con una scala a chiocciola da fa tremare le ginocchia, ma adeguate e funzionali allo svolgimento: si è vista pure la scena finale del balcone sul balcone e senza scala…Cosa che si vede di rado, a dire il vero.
Il tutto, con un solo intervallo, è corso via d’un fiato, come va giù quel boccale di birra di cui si parlava all’inizio, sotto la guida registica di Richard Bletschacher, molto “nordica”, deboluccia per lo spirito rossiniano, che non ha saputo catturare la partecipazione degli interpreti.
Insomma, più gradevole da ascoltare che da guardare, questo Barbiere si è dimostrato molto ispano-viennese, e assai poco italiano.
Poi, sempre con lo stesso spirito, a condire il boccalone di birra trangugiato d’un fiato, all’uscita dal teatro, tutti a gustare una bella wiener schnitzel…Con un po’ di rimpianto, però, per un bel piatto di “pasticcini alla Figaro”, che il grande Rossini avrebbe di certo prima preparato e poi gustato da vero intenditore.
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PHOTO WIENER STAATSOPER / Michael Poehn