By Natalia Di Bartolo
Ho incontrato il Maestro Giuseppe Sabbatini a Roma, al ritorno dall’ultima sua fatica di direttore d’orchestra al teatro Pérez Galdòs di Las Palmas, Gran Canaria, dal 21 al 25 aprile 2015. In scena Faust di Gounod, capolavoro dell’arte operistica francese.
N.D.B. – Maestro Sabbatini, dirigere il Faust nella patria di Alfredo Kraus, grande protagonista di quest’opera sulle scene mondiali del passato, ha avuto un ruolo nel concepimento e nella realizzazione di questo ambizioso progetto a Las Palmas?
G.S. – Dirigere il Faust nella patria di Kraus mi ha dato soltanto un pizzico di responsabilità in più. Si è trattato di un discorso di emozione.
Nei primissimi giorni di aprile, quando sono arrivato a Las Palmas, sono andato a vedere la casa dove è nato… Alla vigilia della prima mi sono recato al cimitero dove è sepolto con la moglie. Per mè è stato un artista straordinario, nonché una persona adorabile, che nei miei confronti si è sempre comportato in modo meraviglioso.
Quindi, appena mi sono trovato davanti all’orchestra, ho pensato di dedicare a lui l’opera lì a Las Palmas.
N.D.B. – Ama dirigere l’Opéra Francais? Ha delle preferenze o ama tutto ciò che dirige allo stesso modo?
G.S. – Si, molto anche perché l’ho studiata tanto e metà del mio repertorio di cantante era di musica francese. Quanto alle mie preferenze, vanno ai grandi, a Gounod, Bizet, Massenet…Più di tutti forse a Gounod e soprattutto a Massenet.
N.D.B. – Qual è il ruolo del direttore d’orchestra in un’opera di questa rilevanza? E dunque cosa ha provato nel trovarsi sul podio a rivestire tale ruolo?
G.S. – Ritengo che rivestire il ruolo di direttore in quest’opera sia lo stesso che per tutte le altre opere. La rilevanza di un direttore sta nel fare sempre il proprio dovere al massimo delle proprie possibilità.
Ciò che ho provato è stata un’emozione esaltante: ho sempre desiderato dirigere e quindi adesso ogni volta che salgo sul podio penso sempre che sia il coronamento di un percorso che è durato tanti anni ed il coronamento, soprattutto, di un sogno. Perciò non posso che essere felicissimo di quello che mi sta accadendo nella vita.
N.D.B. – E’ la prima volta che ha diretto il Faust? L’ha cantato più volte da protagonista in grandi teatri. E’ un personaggio a lei congeniale vocalmente e scenicamente? Se sì o no, perché?
G.S. – Sì, è la prima volta.
L’ho cantato in molti teatri prestigiosi: a Parigi all’Opéra Bastille, al Teatro alla Scala, al Regio di Torino, al San Carlo di Napoli, all’Opera di Roma, che ha visto il mio debutto.
Era un personaggio assolutamente congeniale a me, anche se la mia faccia è molto più mefistofelica che non da Faust…
Anni fa s’era ideato un importante progetto con Samuel Ramey, che ritengo essere il più grande Mephisto con cui ho lavorato, che mi avrebbe dato la possibilità di interpretare almeno una volta Mefistofele, nel Dottor Faustus di Busoni. Avevo poi l’idea di fare il trittico: quindi Faust, la Damnation de Faust e Mefistofele… Ma purtroppo il progetto non si è realizzato.
N.D.B. – Come trova la partitura di Gounod dal punto di vista del direttore?
G.S. – Molto impegnativa e difficile.
Per dirigere il Faust il direttore deve conoscere lo stile, il modo in cui sia stato composto. Questo capolavoro non è stato composto in breve tempo: è stato rivisto, rimaneggiato…
Molta musica francese ha avuto questo tipo di percorso: basti guardare I racconti di Hoffmann di Offenbach per rendersi conto di quanto travaglio abbiano avuto i compositori e di quanto si siano messi sempre in discussione: il che è una cosa straordinaria.
N.D.B. – Cosa pensa dei direttori che l’hanno preceduta e di quelli che l’hanno diretta come interprete? Si è ispirato a qualcuno di loro o è andato in piena autonomia interpretativa?
G.S. – Io nutro un’immensa stima per tutti i direttori. Personalmente ho lavorato, per quanto riguarda l’Opéra francais, con quello che per me è il più grande, il Maestro Michel Plasson; ho eseguito la Damnation de Faust con Osawa; non ho avuto purtroppo il piacere di lavorare con il Maestro Pretre. Ho suonato con lui quando ero in orchestra al contrabbasso, due volte, ma purtroppo non sono mai riuscito a trovare l’occasione per cantare diretto da lui…
Riguardo alle scelte interpretative sono molto indipendente, perché cerco di essere quanto più fedele possibile al testo e questo ho fatto anche per il Faust.
N.D.B. – Adesso dirigere quest’opera è per lei è come averla avuta in pugno o ha lasciato libertà agli interpreti? A lei personalmente è stata lasciata “libertà” dai maestri che l’hanno diretta?
G.S. – Per quanto riguarda “avere in pugno” l’opera, avendola anche cantata, l’ho studiata molto approfonditamente e quindi ho cercato di “scavarla” quanto più possibile. Per quanto riguarda, invece, la libertà agli interpreti, la mia libertà, quando cantavo, era all’interno della partitura e dunque oggi chiedo questo ai cantanti.
In questo Faust specifico, è chiaro che il tenore protagonista, Aquiles Machado, avesse una voce diversa dalla mia e quindi non ho potuto chiedere a lui delle cose (che comunque riesce a fare), delle nouances, delle dolcezze che nel suo strumento devono essere eseguite con una vocalità sicuramente più potente e più pastosa e rotonda della mia…e quindi sarebbe stato sciocco da parte mia andare a ricercare le caratteristiche della mia vocalità nella voce di un mio collega di oggi. Non lo faccio mai, quindi non è accaduto neanche questa volta.
N.D.B. – Qual è stato il rapporto della sua direzione con la regia?
G.S. – In una produzione, tutti devono collaborare a che l’arco interpretativo sia portato e teso verso la stessa direzione: a Las Palmas questo si è pienamente verificato.
Ho provato ad esaltare gli accenti che la regia di Alfonso Romero mi ha suggerito e qui il regista ha ideato e messo in atto un progetto molto interessante: rispettando assolutamente la partitura, questo Faust è stato ambientato in un’atmosfera senza tempo.
Il Faust è un’opera di stereotipi: tutti i temi e i personaggi sono veramente molto stereotipati. In particolare, per quel che riguarda l’innocenza di Margherita, portata alla distruzione totale, c’è stato in palcoscenico uno sviluppo incredibile e devastante di tale personaggio: un grande lavoro per spingersi all’interno del cuore e della psiche, esasperando ancora il carattere dei personaggi, al di là degli stereotipi. Quindi, con i suoni, anch’io ho cercato di renderli meno stereotipati, se non più “umani; quanto meno ho tenuto a fare da colonna sonora a ciò che accadeva in palcoscenico, a colorare con i suoni lo spettacolo visivo in modo particolare. Sono veramente lieto di aver lavorato con Romero.
N.D.B. – Cosa pensa dell’orchestra che ha diretto e quali eventuali difficoltà ha incontrato nel mettere a punto la corretta valenza stilistica?
G.S. – Purtroppo in questo periodo l’orchestra del teatro di Las Palmas ha avuto dei problemi a livello politico e quindi c’è stato molto nervosismo, al di là di quello che possa avere inculcato io, data la mia richiesta continua e costante di precisione per quanto riguarda il suono, lo stile, la qualità, i ritmi giusti.
Ovviamente questa orchestra conosce bene il repertorio che suona da anni con il proprio direttore musicale. E’ un ensemble formato da musicisti provenienti da molti paesi europei (bulgari, rumeni, irlandesi, tedeschi e di altre nazionalità), dunque ha una cultura “variegata” e non gli è richiesta la specializzazione in uno stile specifico: curare questo punto dipende dal direttore d’orchestra di turno e dalle sue richieste. Quindi è palese che a Las Palmas non cia sia mai stato, a monte, un grandissimo percorso di musica francese e, ovviamente, ciò ha comportato più fatica per me, che ho dovuto lavorare molto intensamente sull’impostazione stilistica. Per esempio, nella musica francese ci sono tantissimi “sottotempi” o “tempi secondari” che non sono scritti e quindi la cosa più interessante è andarli a cercare e nel momento in cui li si trova dare loro il vero senso, anche se il testo fa sempre da principale punto di riferimento. Il fatto che i sottotempi di cui sopra non siano scritti nella partitura per gli orchestrali di Las Palmas è stato un problema, che io ho dovuto cercare di risolvere. Lo dico sempre ai miei allievi di canto: noi interpreti d’opera siamo molto più fortunati degli strumentisti che devono eseguire musica pura; noi abbiamo la “parola”…il testo…che pur limitando la fantasia ci aiuta assai nella definizione del significato, delle emozioni, dei sentimenti di ciò che stiamo cantando!
N.D.B. – Sempre a proposito di stile, trova che ci sia tra le dinamiche una differenza legata alla “nazionalità” delle opere?
G.S. – Per me non c’è una differenza di dinamiche legata alla nazionalità delle opere. La dinamica è formata, purtroppo, da una scala estremamente limitata: dalle cinque “p” (piano) (Verdi arriva a sei, sette), alle quattro, cinque “f” (forte).
Certe volte io mi sono spazientito con gli orchestrali di Las Palmas, perché venivano prodotti dei suoni molto sgraziati nei forte. Mi è stato risposto vivacemente che fosse scritto “forte”. Ed io ho replicato che si trattava, in quel caso specifico, per esempio, di un “forte d’amore” e che possono esistere, poi, il “forte violento”, il “forte aggressivo”, il “forte geloso”, il “forte vincitore”… Così come anche un forte nel momento in cui, per esempio, Margherita si sveglia dal torpore nella prigione, non può essere un forte come quello dell’aria del quarto atto. Dunque ritengo indispensabile che il golfo mistico sappia cosa succede in palcoscenico: ho spiegato molto all’orchestra ciò che accadeva sul palco. E’ inutile continuare a pensare che le orchestre debbano solo produrre dei suoni! Invece devono capire lo svolgimento dell’azione e le differenze di cui sopra. Finché le orchestre non capiranno questo, finché culturalmente ed intellettualmente non saranno capaci di discernere ciò che suonano, il lavoro dei direttori sarà penalizzato.
A Las Palmas gli strumentisti hanno iniziato a capire, ma le orchestre dovrebbero sapere prepararsi da sole: noi direttori, con le pochissime prove a nostra disposizione non possiamo spiegare passo passo le sfumature di opere che, come il Faust, durano tre ore, tre ore e mezza.
N.D.B. – E il coro di questa produzione? Cosa ne pensa?
G.S. – Tornando al discorso, preso come esempio, della differenza tra “forte” e “forte”, come cerco di spiegarlo alle orchestre, cerco di spiegarlo anche ai cori, avendolo oltretutto messo in atto durante la mia carriera di cantante.
Nel Faust il coro ha un’importanza fon-da-men-ta-le ed ha forse la parte più difficile ed è “il personaggio” più complicato di tutta l’opera. Ci sono infiniti personaggi nel coro: i soldati, gli studenti borghesotti e i viveurs, le “jeune femmes” e le matrone…Poi i diavoli, gli angeli, i contadini e le contadine; poi c’è il coro dell’”orgia” delle “meraviglie diaboliche” e quello dei dannati; e poi alla fine il Paradiso…
A Las Palmas il coro è formato da soli 44 elementi, che hanno fatto miracoli, perché si tratta di un coro amatoriale, non professionale, come invece è l’orchestra: i coristi svolgono la propria giornata lavorativa personale fino alle otto di sera e alle otto e trenta iniziano le prove. A volte i tenori sono stati costretti a raddoppiare i baritoni perché sono troppo pochi. Nella scena della chiesa, i baritoni hanno dovuto cantare sia la parte dei demoni che quella del coro dei religiosi…Immaginiamo, quindi, che lavoro titanico, pazzesco abbiano fatto con me questi coristi! E’ stato tutto molto difficile per loro, ma lo hanno affrontato con una simpatia, un amore ed una dedizione assolutamente straordinarie. Ne sono comunque contentissimo. Se anche l’orchestra, purtroppo limitata dalle condizioni di cui ho parlato, avesse avuto lo stesso trasporto, sarebbe stata una produzione stratosferica.
N.D.B. – E il Cast?
G.S. – L’ho trovato all’altezza del progetto: Faust, Aquiles Machado, si è dimostrato intenso e molto solido vocalmente e Mephisto Rubén Amoretti ha mostrato capacità di ottimo attore, dotato di una voce molto bella e usata con grande maestria; Marguerite, Norah Amsellem, al suo debutto nel ruolo, mi è apparsa perfetta nello sviluppo psicologico del personaggio e ricca di colori, quindi dotata di variegata tavolozza cromatica e di dinamica interessantissima. Valentin, Manuel Lanza, ha sfoggiato una vocalitá corposa e al totale servizio del personaggio molto intenso voluto dal regista. Ma delle sue grandi capacitá artistiche ero a conoscenza da molto tempo, avendo cantato con lui tante volte durante la mia carriera di tenore e giusto il Faust alla Scala nel ’97, insieme a Samuel Ramey…quindi, oltretutto, mi ha fatto molto piacere averlo incontrato di nuovo e, questa volta, anche diretto.
Cosa pensa del pubblico spagnolo? Ha una grande esperienza anche come tenore nei confronti del pubblico. Come pensa che questo Faust sia stato accolto?
G.S. – Io non ho lavorato molto in Spagna come tenore. Ho avuto più contatti con il pubblico di Barcellona che con quello di Madrid, per esempio.
Ricordo che a Madrid fui contestato perchè ero stato chiamato al posto di un cantante che non era gradito al regista…Io non ne sapevo nulla, perché altrimenti non sarei andato, anche perché non amavo sostituire, soprattutto colleghi che stimavo…dunque ci fu tutta una querelle e purtroppo, quel Rigoletto, per mille motivi non andò bene…
Quindi per questo Faust in territorio spagnolo spero che sia stato apprezzato il lavoro fatto, ma non solo il mio, quello di tutti. Abbiamo lavorato con estrema armonia, con estremo amore e sono veramente entusiasta del lavoro che è stato svolto con la partecipazione di tutti. Il pubblico ha risposto con molto calore.
N.D.B. – Prossimi impegni e progetti e un sogno attualmente nel cassetto a proposito di direzione d’orchestra.
G.S. – Requiem di Verdi a San Pietroburgo, probabilmente La Bohème in Giappone, un concerto con la Filarmonica di Sibiu in Romania. Poi ci sono progetti di opere con un’Organizzazione alla quale tengo in modo particolare.
Sogno nel cassetto: quello di dirigere quattro produzioni l’anno, che sono più che sufficienti per poterle “fare come voglio io”.
© Natalia Di Bartolo, 2015
PHOTO NATALIA DI BARTOLO, TEATRO PEREZ GALDOS, AA.VV.