By Natalia Di Bartolo —
Following English translation–
Incontro il basso Carlo Colombara in un tiepido pomeriggio di dicembre, all’ingresso degli artisti del teatro Massimo Bellini di Catania. Si prova l’ultima opera della Stagione 2014, Attila di Giuseppe Verdi, a due giorni dalla prima del 4 dicembre 2014.
A vederlo così monumentale d’aspetto, ma come sempre così bonario e semplice nei modi, stento quasi ad immaginarlo nei panni del crudele re degli Unni…Ma mi risuona ancora nelle orecchie la sua voce in prova…La trovo indiscutibilmente perfetta per quel ruolo, così come Carlo stesso, truccato e vestito da barbaro come l’ho già visto, pare trasformarsi, quasi subire una metamorfosi ed “essere” Attila…
Saliamo in camerino. La sedia che sceglie sembra diventare piccolissima sotto di lui…io su quella imbottita…la poltrona resta vuota. “Non è una poltrona per Attila” sottolinea. Ne sorridiamo entrambi.
Via con l’intervista! Domande di prammatica, per cominciare: quali opere e quando hai cantato a Catania?
Ho cantato Norma nell’89-90; la stessa è stata ripresa l’anno successivo; poi un Simon Boccanegra nel 2001 con Bruson sotto la direzione di Bartoletti e questo Attila di adesso.
Giorno 1 dicembre hai ricevuto, sempre qui a Catania, il premio Danzuso…
Sì, mi ha fatto molto piacere, un premio prestigioso, davvero una bella serata…Ho avuto occasione di cantare proprio un brano dell’Attila, lo avevo già pronto…
Siete in prova sul palcoscenico del teatro Bellini, nella mia città…Enrico Caruso ne definiva perfetta l’acustica: ce lo confermi? Un tuo pensiero in proposito…
Sì, certo, lo confermo…dicono che l’acustica non sia più perfetta come prima, dopo alcuni lavori di restauro avvenuti anni fa, ma la ritengo ancora ottima: ce ne fossero!
Dove hai riscontrato caratteristiche simili…o, al contrario, acusticamente meno fortunate?
Quanto ad altri teatri, c’è il Met che ha un’ottima acustica, ma è talmente grande…La Scala per esempio, non ha un’acustica “perfetta” e neanche il Regio di Torino; il comunale di Firenze, poi, è il peggiore di tutti…ma dipende anche dal punto in cui si mette il cantante. Alcune sale da concerto anni ’70 come la Royal Festival Hall hanno un’acustica terribile…Ma in conclusione trovo che i teatri che hanno troppo velluto non funzionano…Qui a Catania di velluto ne avete tanto, però chi ha costruito questo teatro aveva “la zucca”… (sorride).
Ringrazio per conto dell’architetto Carlo Sada…
Tra poco la prima dell’Attila. Un tuo pensiero su questo personaggio “cattivo”…
In genere i personaggi “cattivi” vengono molto addolciti dal compositore… E’ il caso anche di Attila. Addirittura quando muore fa quasi pietà, cantando all’interno di un quartetto, dove Odabella, Foresto ed Ezio che congiurano contro di lui fanno sì che appaia molto umano, cosa che è assai probabile che non fosse nella realtà storica. Quando si canta un’opera, bisogna solo rapportarsi al libretto dell’opera, sia pure interessandosi sempre, così come io sono solito fare, alla figura storica del personaggio, se dalla storia è tratto. E’ inutile “fare il barbaro” in scena, quando il libretto ti mette in bocca parole decisamente più nobili.
Trovo questo molto importante: i librettisti sono sempre sottovalutati…
I libretti hanno i loro limiti, ma sono funzionali. Ci sono libretti bellissimi, come quelli del Da Ponte e del Romani, così come invece quello di Attila del Solera, di cui stiamo parlando, è molto brutto…però funziona! Questo mio Attila di Catania, quindi, come in qualsiasi altra produzione, è quello che ha voluto il librettista.
In questa produzione in particolare, poi, il personaggio di Attila viene fuori come lo volevo io e come lo voleva il regista Pirrotta: è accaduto che ci trovassimo d’accordo su tutto. Il personaggio è rude, a volte, eroico, è un condottiero e un dio agli occhi del popolo, ma, ripeto, è anche molto umano.
Stiamo parlando di “personaggi”: recitazione…arte scenica…quanto contano per la perfezione della resa di un personaggio? Qual è, secondo te, il ruolo della recitazione nel Melodramma e cosa pensi di teatro di Prosa e teatro d’Opera?
Nel corso degli anni ho sentito diventare sempre più importante la recitazione di un ruolo. Una volta ci si accontentava del puro aspetto vocale di un cantante, ma oggi non è più così: l’avvento dei media e soprattutto della regia teatrale costringono oggi il cantante ad essere simile ad un attore. Dico “simile”, perché l’attore può rubare i fiati dove vuole, può interpretare il personaggio una volta in un modo, un’altra in un altro modo: è diverso dal cantante. Ne parlavo una volta con l’amico Glauco Mauri, che mi dirigeva a Napoli nel Macbeth, e che nel matinée prima e poi nella serale recitava ne “La tempesta” di Shakespeare. Gli ho chiesto: “Ma come fai? Non sei stanco?”. ”Ma caro, – mi ha risposto – io alle 14,30 interpreto il mio personaggio in un modo; poi, dopo la regia, quando sono stanco, lo interpreto in un altro modo: sarò molto più dolente…” . Questo fa capire come cantare sia molto più difficile che recitare.
Noi cantanti, dobbiamo guardare il direttore d’orchestra, andare a tempo, curare l’intonazione, siamo “costretti”, a volte, da tessiture impossibili…abbiamo tante cose da tenere sotto controllo. Però se si riesce a distaccarsi da queste problematiche, perché ormai somatizzate, ci si butta a recitare. Io in parte ci sono riuscito: è molto più bello! Il canto mi ha riempito la vita, ma poter cantare soprattutto personaggi di un certo tipo e poter recitare!…Mosè, Zaccaria non sono personaggi da recitare…anzi…meno ci si muove, più ti si vede: convincono con la loro ieraticità, non devono muovere le mani o quant’altro. Invece Attila è molto più bello da interpretare, in questo senso.
I problemi sorgono quando i registi richiedono al cantante un’interpretazione da attore di prosa. Ripeto: l’attore di prosa e il cantante sono due mestieri diversi.
Li trovi in conflitto?
Il conflitto avviene quando i registi pretendono dal cantante cose che vanno contro la musica, cioé quando stravolgono per loro esigenze il testo. Quando il regista ha capito “i limiti” imposti al cantante dal suo ruolo, non stravolge nulla…quando invece arrivano questi registi “personaggi” che stravolgono il tutto, offendono il cantante, il pubblico, il compositore stesso. E ce ne sono tanti…la questione va di moda soprattutto in Germania in questo momento… La Lirica non appartiene al regista di prosa, così come io non apparengo al teatro di prosa…Quando entro in un campo che non mi appartiene ci entro con educazione e rispetto. Non sempre succede: i registi molto spesso arrivano con il passo di Frankenstein e questo mi sembra un senso d’inciviltà artistica. L’intelligenza del regista deve includere la conoscenza della musica e quella dei limiti di un cantante: ci sono cantanti più o meno portati alla recitazione, ma tutti devono cantare. E’ inutile avere una Turandot che sa recitare: Turandot, vocalmente, deve essere in grado di finire l’opera.
Abbiamo parlato di registi, parliamo di direttori d’orchestra: hai cantato sotto la direzione dei più celebri al mondo…
Si, davvero di quasi tutti…E’ più facile dire chi manca…Manca Abbado…Gli altri li ho avuti tutti, quelli degli ultimi tren’anni. Si lavora bene con i grandi direttori: sembra incredibile, ma con loro non ho mai avuto un problema. E’ con i piccoli che sorgono i problemi…Alcuni sono diventati grandi grazie alle multinazionali del disco che li hanno fatti diventare più grandi…Ma con chi è veramente grande è straordinario lavorare. Parlo di Muti, di Metha, di Maazel che non c’è più, di Pappano, con il quale ho lavorato molto bene e spero di lavorare ancora, perché è “un ragazzo in gamba”…
Il loro ruolo è fondamentale nella messa in scena di un’opera…
Certo, i grandi successi storici (parliamo per esempio delle produzioni di Abbado negli anni settanta) vedevano sul podio grandi direttori, ma anche grandi cantanti sul palcoscenico ed una regia quanto meno funzionale. Una produzione di riferimento è, per esempio, il Simon Boccanegra di Abbado. Per ottenere questi risultati c’è bisogno di tutti tali ingredienti: i teatri ne dovrebbero tenere sempre conto.
Ma dei direttori che si arrogano il diritto di alterare i tempi, per esempio, cosa pensi?
Le persone che si arrogano diritti non sono persone “di teatro” ma persone “prestate al teatro”. Tempi, dinamiche non solo vanno rispettare, ma anche adattate ai cantanti. Lo facevano i compositori per i cantanti, cambiando le cadenze, le note…adoravano i cantanti. Almeno la metà dell’amore che mettevano i compositori la vorrei dai direttori d’orchestra: se la trovo sono felice.
A proposito di cantanti: tu tieni in giro per il mondo rinomate masterclasses, di cui la prossima sarà a Sofia, subito dopo l’impegno a Catania. Come definiresti i diversi tipi di voce della Lirica?
Esistono voci scure e chiare, piccole e grandi, che sono le definizioni più consuete, ma ne esistono molte altre: ci sono anche voci corte, lunghe, voci con estensione pazzesca, voci enormi…Alcuni esempi di voci grandi: Callas, Dimitrova, Nilsson…la Guleghina, oggi.
Cosa pensi dei tuoi allievi?
I ragazzi che arrivano da me risentono del fatto che oggi la grande tradizione italiana si è un po’ persa, non essendoci più interesse da parte della gente, delle scuole, dello stato…Una volta venivano a studiare in Italia con i grandi Campogalliani, Enrico Pola. C’erano tanti maestri in Italia. Il mio, Paride Venturi, richiamava allievi anche dal Giappone. Oggi solo pochi insegnano la tecnica vocale giusta: il più delle volte devo cercare di rimettere in ordine i disastri fatti dagli altri professori…
Trovo cantanti che cantano senza l’appoggio, quindi la voce tende a sbiancarsi… Non ci sono più le voci drammatiche…Da una parte è vero che sia colpa del diapason che è alto, quasi mezzo tono in più dai tempi di Verdi…era 4,32, invece oggi è 4,42 quasi, ufficialmente 4,40: pensa la devastazione delle voci drammatiche! E poi questi ragazzi devono studiare! Le mie tre ore buone con il mio maestro non me le levava nessuno e dopo mi portavo il lavoro anche a casa. Oggi li trovo distratti: dai cellulari che squillano, da mille motivi futili. Io la prima cosa che dico a lezione è: “Avete spento il cellulare?” perché quell’ora si deve totalmente dedicare. Noi facciamo un mestiere del 1700, 1800…Oggi c’è una frenesia, uno stress, è tutto così veloce che se vogliamo studiare come una volta dobbiamo andare contro questi ritmi ed io principalmente cerco di spiegarlo ai ragazzi.
Quanto impiega una voce ad acquistare doti che la facciano emergere? E il “poi” di questa voce?
Dipende dal cantante. Ci sono cantanti che in un anno capiscono tutto ed altri che in dieci anni non capiscono niente. Appena la voce è pronta e si sostiene l’opera, allora si va.
Quanto al “poi”, ven’anni fa avrei detto: appena pronto vai a fare delle audizioni e avrei consigliato i teatri dove andare; dieci anni fa avrei detto: vai a fare delle audizioni con un buon agente…Oggi dico: Vai con un buon agente…ma sei sicuro di voler cantare?
Agli emergenti si schiude la carriera, la tua è eccezionale. Quanto hanno contato finora le doti e lo studio e quanto la fortuna?
La fortuna esiste, ma trovo che incida più la sfortuna…Però, in una condizione in cui si tralascino fortuna e sfortuna, io direi che quello che conta è l’autocritica. Io ancora oggi, quando mi riascolto, sento solo i difetti. Così deve essere, altrimenti non vai avanti, vai indietro. Io sento subito i miei difetti e voglio metterli a posto. Questo è ciò che fa andare avanti. Dunque occorre studio, studio, studio; senso di autocritica, ascoltare tutti e poi andare avanti con la propria testa, se la si ha…Il cantante è un insieme di tante piccole cose…Conta molto l’eleasticita, per andare a tempo, per seguire il direttore, non dico per accettare compromessi ma quanto meno per discutere con i registi. Ci vuole una gran forza di volontà perché è un mestiere molto difficile, tanto spirito di sacrificio. Sono tren’anni che io faccio questo mestiere: meno male che ho ancora la passione di quando ne avevo quindici, perché sennò…E’ talmente faticoso lavorare in teatro oggi che anche se decidessi di non cantare più avrei le mie ragioni. Ma voglio continuare perché mi piace!
Un momento fondamentale per la tua carriera hai detto essere stato il cosiddetto, celebre “Macbeth del cubo” con Muti, alla Scala nel ’97. Come sei arrivato a questo momento?
Fu Bruson a definire così questa edizione del Macbeth, per via della scenografia.
Per la mia carriera, la cosa fondamentale fu quella di cominciare a lavorare con Riccardo Muti. Solti mi fece ascoltare a Muti, Muti mi prese e mi confermò per dodici stagioni alla Scala. Io a Muti devo moltissimo, ma me la sono guadagnata: non mi ha regalato niente…
E il seguito? Grandi successi, grandi colleghi, grandi produzioni…
Non sempre grandi successi, non sempre grandi colleghi, ma c’è stata una tale continuità nella carriera, che in trent’anni, grazie a Dio, non mi sono mai fermato.
Un momento fondamentale è stato quando si è fatta Turandot in Cina, nella Città proibita. Fu una tournée molto sofferta perché c’era un caldo terribile, ma dal punto di vista mediatico, riguardo alle grandi produzioni, fu una tappa di assoluto rilievo. Poi tante altre piccole cose…a parte la mondovisione della Scala, in cui però io non cantavo parti da protagonista come Attila o Boris…
Io non ho fatto il botto: la mia fortuna è stata proprio quella di non essere dentro ad un grande evento, perché se ci fossi stato, tutto il resto sarebbe stato più piccolo…Invece io ho fatto tante cose importanti senza che venissero bombardate dalla pubblicità. Lo trovo importante per la tenuta di una carriera. Tanti cantanti sono stati sparati in alto e poi sono caduti per terra in pochi anni…
Ultimamente la tua carriera prosegue anche con prime mondiali, come l’opera di Kolonovitz “El Juez” (Il Giudice), che hai interpretato al fianco di Josè Carreras nel 2014. Che esperienza è stata questa per te?
Innanzituitto ho trovato un amico, perché José è una gran persona. Abbiamo messo in scena quest’opera a Bilbao in un clima bellissimo. E’ un’opera contemporanea, ma che si presta a tutte le orecchie, perché ci sono i momenti di quasi musical, insieme a quelli di musica contemporanea. Quest’ultima è più difficile, anche per me, anche solo da ascoltare…parlo di quella proprio modernissima, con le dissonanze ed altro. Io non amo questo genere, anzi ne ho proprio repulsione totale: per me fa tanto “vacanze intelligenti”: non m’interessa…Allora, a maggior ragione, quando studiavo El Juez pensavo: ma chi me lo fa fare, studiare un’opera moderna in spagnolo, per metterla in scena una volta sola a Bilbao…Invece l’abbiamo portata in Austria, la porteremo nel gennaio 2015 a S. Pietroburgo e poi di nuovo in Austria, a Vienna, per tornare dopo in Spagna. Quindi ho avuto davvero il piacere di averla fatta.
La cosa bella era anche quella di avere il compositore davanti: ho rivissuto un po’ forse quello che si viveva nell’800, quando gli dicevo: “Ma invece di fare questo SI naturale che non riesco a prendere bene, non possiamo farlo SI bemolle?”…Lui mi guardava e diceva: “Sì sì!”… e lo cambiava. Questa è stata una cosa che mi ha davvero emozionato.
Quindi, nonostante tutto, questo ruolo moderno che hai affrontato ti è piaciuto…ma, a proposito di ruoli, tu, voce verdiana per eccellenza, hai dichiarato di amare su tutti come personaggio Filppo II del Don Carlo. Condividendo con te questa passione, ti chiedo se, come per me, tutto il Don Carlo è la tua opera preferita…O prediligi solo il personaggio?
Il Don Carlo è secondo me l’opera più bella che sia mai stata scritta. Quello che c’è dentro…! Con sole dieci battute Wagner avrebbe scritto quattro opere. Per me è il massimo che Verdi abbia fatto, in assoluto: una pasta, dall’inizio alla fine. Filippo II fa parte di quei personaggi così forti, ma insieme così delicati, così pieni di pensieri, come forse non era nella realtà…
Mi trovi perfettamente d’accordo!
Ma da questi ruoli così drammatici ti si è visto passare al Don Pasquale, unico ruolo buffo che hai interpretato. Sei entrato in sintonia con questo personaggio in pieno o solo vocalmente? Ti divertirebbe interpetare un altro ruolo buffo o preferisci il drammone fosco? E perché?
Basta guardarlo su Youtube, questo Don Pasquale (c’è tutto), per vedere ancora oggi come io sia entrato in sintonia con questo personaggio e quanto mi sia divertito ad interpretarlo.
Quanto ad altri ruoli buffi non lo so…sono portato per i ruoli drammatici, li preferisco. Però poi, quando mi ci trovo in mezzo…è come quando vado alle feste: io odio andare alle feste, amo il silenzio, non mi piace la confusione…però poi quando ci sono dentro mi diverto come un pazzo. Credo di essere nato in un’epoca sbagliata: non amo correre, affannarmi…Forse sarei dovuto nascere non meno di vent’anni prima.
E, a proposito di età…la voce del basso è una voce longeva: come mai?
E’ longeva perché la corda di un contrabbasso è meno delicata di quella di un violino. Beh…longeva fino ad un certo punto: ci sono bassi che si sono sfiatati già dopo vent’anni di carriera, anche dopo cinque.
Ma qual è il segreto per mantenere longeva la voce? Sfatiamo le leggende metropolitane delle acciughe…delle sciarpe e dei foulards…Del tacere in assoluto per giorni interi…Qual’è la giusta cura che bisogna avere per la voce?
Con le acciughe ci si rovinano le vene: sono così salate! Per salvaguardare le corde e mantenere un livello artistico importante bisogna cercare di avere, al di fuori del teatro, una vita il più possibile serena, perché tutto influisce sulle corde: non è facile, perché le seccature sono sempre a portata di mano…Dunque un cantante per vivere bene dovrebbe vivere nella bambagia…ma vivere nella bambagia non ti aiuterebbe a recitare: se non hai avuto delle esperienze negative, dei dolori, non puoi trametterli sul palcoscenico…Ma l’importante è la moderazione: nel mangiare puoi mangiare quello che vuoi, ma moderatamente…per quanto riguarda altro, per esempio ci sono dei colleghi che hanno un’attività sessuale irrefrernabile…moderazione in tutto, anche in questo! Bisogna comportarsi come degli atleti: per ottenere a cinquant’anni le stesse prestazioni vocali di quando ne avevi 25 devi lavorare il doppio, perchè il fisico è invecchiato. Dunque bisogna sapere quali sono le rinunce ed avere sempre del buon senso. Per quanto riguarda il silenzio, soprattutto in previsione di una recita il giorno dopo, io non taccio, ma parlo piano, come sto facendo adesso.
Non mi pare che tu stia parlando così piano…
Beh…parlo piano, invece…
Questo lascia immaginare le capacità dei tuoi risuonatori…
E delle sciarpe e dei foulards?
No, coprirsi troppo è sbagliato: io l’ho fatto per tanto tempo, ma appena uno si toglie la sciarpa, subito resta preda dell’infreddatura. Buon senso anche in questo: il cervello deve vincere sulle paturnie.
Sempre a proposito di voce: voce dal vivo e voce registrata…La voce ci perde o ci guadagna?
Quelle che ci guadagnano moltissimo sono le voci brutte…Ci perdono invece le belle voci e quelle “grandi” soprattutto”…Se ascoltiamo le registrazioni di Del Monaco o della Dimitrova, troviamo una resa decisamente inferiore a quella in teatro.
Quando io registro un disco, per me l’importante è dimenticare che sto facendo un disco e cantare come se fossi in teatro. Perché soprattutto oggi si fanno tanti dischi che sono tutti uguali, tutti con poca espressione: bisogna invece far venire fuori questa espressione anche nella registrazione.
E, a proposito di registrazione, il tuo nuovo CD, che uscirà nel 2015?
Lo faremo uscire durante l’Expo a Milano. E’ un CD a cui ho tenuto molto…Uscirà con un’importante casa discografica. Mi piace soprattutto perché non sarà noioso. Canto Semiramide, Don Carlos in francese (l’ho già inciso in italiano), il Don Chisciotte e l’addio di Wotan dalla Valkiria: quindi ce n’è per tutti.
Qui parliamo di canto in lingue diverse dall’italiano: cosa pensi dell’emissione nel canto in lingua straniera? In francese, soprattutto…
Il canto in lingua straniera può distruggere una voce. La lingua italiana è perfetta per il canto. Quando io canto in russo, in tedesco, canto all’italiana…Poi se mi criticano per la pronuncia me-ne-frego!, perché la corda vocale non deve subire traumi. Cantando alla tedesca, sulle consonanti, o alla francese con tutte quelle loro vocali tremende da cantare, bellissime da ascoltare, si rischia moltissimo…ti sei mai chiesta perché non esiste una voce francese drammatica da cento anni? Tengono troppo alla pronuncia, secondo me. Quindi, se vuoi ascoltare il canto francese da voci decisamente drammatiche devi adattarti a ciò che facevano Corelli, la Freni o Ghiaurov, modificando la pronuncia. Non puoi cantare tutte quelle vocali: o parli o canti. Il canto è un compromesso. La vocale deve essere rotonda e l’italiano è la lingua sovrana. Ne sono assolutamente convinto.
Prossimi impegni?
Adesso, dopo la masterclass a Sofia, ho due concerti, di cui uno natalizio di beneficenza in provincia di Bologna con il mezzosoprano Luciana D’Intino per un Istituto di ricerca oncologica e l’altro “Voci dorate” a Neuchatel con il soprano Daria Masiero… Poi Aida alla Scala, Nabucco a Tel Aviv, Maria Stuarda a Parigi, Mefistofele a Città del Messico…
So che sei assente dal Metropolitan di New York dal 2011…
A New York ho cantato Caterina Cornaro alla Carnegie Hall, ho fatto Aida, poi sono tornato nel 2011 con Nabucco.
Voglia di tornare negli States? Al Met in particolare?
Qualsiasi cantante a cui tu facessi questa domanda (così come se gli chiedessi della Scala) ti risponderebbe: sì!
Al Met ho trovato un pubblico molto tranquillo, molto generoso…e poi i costumisti, i truccatori: hanno dei truccatori formidabili, che in due minuti fanno dei lavori incredibili. Il trucco di Aida era complicato…Ho pensato “adesso chissà quanto ci mettono!”…invece, cinque minuti ed ero pronto. Sono dei grandi professionisti.
Ho dei bei ricordi pure a Chicago, dove ho fatto una Norma: mi ricordo che c’era un freddo incredibile: -10 di giorno e -20 di notte, ma che era molto bello andare in teatro; c’era un’atmosfera familiare.
Cosa pensi del futuro dell’Opera lirica?
Vorrei essere sicuro che l’Opera lirica avesse un futuro…In questo momento mi pare di nutrire dei dubbi e mi vengono i brividi. Vorrei avere una certezza: che da domani le scuole ricomincino a portare i bambini a teatro. Le scuole dovrebbero farsi carico di portare i bambini a teatro almeno quattro, cinque volte l’anno, alla prosa e alla lirica: trovo che sia un dovere morale. Non lo si può pretendere dai genitori, perché magari non hanno l’educazione o magari amano un altro genere di musica, ma per i professori è imprescindibile. Bisognerebbe portarli a teatro a sei anni, quando sono ancora “puri” perché a sei anni si ha una purezza che ormai a dodici, con questi mezzi tecnologici, non si può più possedere. A dodici anni hanno accumulato già un’immensa quantità d’informazioni…a sei anni, invece, non hanno ancora dimestichezza con queste diavolerie moderne e sono assolutamente ricettivi.
Mi auguro che il teatro abbia un nuovo pubblico e che come è sopravvissuto a tutto per cinquecento anni possa continuare a vivere per i prossimi cinquecento. E’ così bello avere una passione per una cosa così bella…Per esempio trovo la passione per il calcio una cosa effimera…La passione per la musica, per il teatro, invece, è una cosa che ti riempie e che, come la lettura, rende la società migliore. Io leggo abbastanza…quando ho tempo leggo volentieri. Ho appena finito di leggere un saggio sulla prima di Attila a Venezia della Minarini e adesso sto leggendo un romanzo. Mi piace leggere. Lettura, musica, teatro…saremmo molto poveri in un futuro senza queste cose.
Il ruolo che hai sempre sognato: lo interpreti, lo interpreterai o rimane un sogno?
Il ruolo che ho sempre sognato è quello di Carlo V nell’Ernani, perché io sognavo di essere baritono. Dal momento che sono diventato basso, il ruolo che ho sempre sognato e che alla fine ho realizzato è quello di Filippo II, come dicevamo prima, ma ne ho un altro nel cassetto, che è quello di Boris…e lo canterò in Bulgaria, che è la terra dei grandi bassi: sarà molto emozionante.
Gli occhi ti brillano quasi di tenerezza nei confronti dei tuoi personaggi…Grazie Carlo, per la tua amabile disponibilità…Un’ora d’intervista da “sopportare” non è roba da poco…Potrei farne due, con tanto materiale…
Esattamente 59 minuti: ho controllato il tuo timer… (sorride) No…E’ bello così: fanne una sola…Perché “sopportare”? E’ stato un piacere. Condividiamo la passione per il Don Carlo, poi: siamo “verdiani” entrambi…Buongustai…
(Questa volta sorrido io…)
© Natalia Di Bartolo
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English translation
“Singing has filled my life”; Interview to Carlo Colombara in Catania
I meet up with operatic bass Carlo Colombara on a warm December afternoon at the artists’ entrance of Teatro Massimo Bellini, Catania. They are rehearsing the last opera of the 2014 season, Attila by Giuseppe Verdi, and it is only two days to the opening on 4th December 2014.
As I see him, so impressive in his looks, yet so kindly and simple in his manners, I almost struggle to imagine him playing the cruel ruler of the Huns… However, I can still hear his voice during the rehearsal… I find it undoubtedly fitting for the role, just as perfect as Carlo himself when made up and dressed as a barbarian. I’ve seen him already, and it almost feels as though he was undergoing a metamorphosis to “be” Attila.
We go upstairs to his dressing room. The chair seems to become infinitely tiny beneath him. I’m on the padded one and the armchair remains empty. “It’s not an armchair fit for Attila”, he
remarks. We both smile.
On we go with the interview! Let’s start with the customary questions: which operas have you sung in Catania and when?
I sang Norma in ’89-’90, which was repeated the following year. Then Simon Boccanegra with Bruson in 2001, under Bartoletti’s conduction, and now Attila.
On 1st December you were awarded the Danzuso Prize here in Catania…
Yes, and I was very pleased. It’s an extremely prestigious award and it was a lovely soirée. I got the chance to sing an aria from Attila – I had it ready.
You’re rehearsing at Teatro Bellini, in my hometown. Enrico Caruso used to say it boasts the perfect acoustics: do you confirm that? Could you tell me something about it?
Yes, I absolutely confirm it. After the completion of restoration works years ago, people say the acoustics aren’t as perfect as they used to, but I still think they’re excellent! If only they were like this [everywhere]…
Speaking of acoustics, where have you found similarly ideal conditions and where, on the contrary, have you come across less-than-ideal acoustics?
As for other theatres… The Met in NYC has excellent acoustics, but it’s just so huge! Instead, La Scala and the [Teatro] Regio in Turin don’t have the perfect acoustics. As for the [Teatro] Comunale in Florence… it’s just the worst of the lot. However, it also depends on which spot the singer is placed. Such concert halls from the 1970s as the Royal Festival Hall have dreadful acoustics. In conclusion, I think theatres with too much velvet don’t really work. You do have plenty of velvet here in Catania, but who built the theatre did have the brains… [Carlo smiles].
Thank you, on behalf of architect Carlo Sada… The opening of Attila is around the corner. What is your take on this “villain”?
Usually “villains” are extremely appeased by the composer, and the same applies to Attila. Actually, when he dies he almost inspires pity as he sings in the quartet where Odabella, Foresto and Ezio plot against him and make him seem very humane – which is quite unlikely a thing in terms of historic reality. When one sings opera, they should relate to the libretto only, while still keeping an eye on the historical figure (like I do) if it is taken from history indeed. There’s no point in “playing the barbarian” on stage, when the libretto puts much gentler words on your lips.
I find this exceedingly important: librettists are often underestimated…
Librettos have their limits, but they’re functional. Some librettos are beautiful, such as those by Da Ponte and Romani, whereas others (like Solera’s Attila we’re speaking of) are quite ugly, and yet they do work! So my Attila for Catania, just like in any other production, is what the librettist intended for.
With regard to this production, Attila’s character is displayed just the way director Pirrotta and I wanted. We happened to agree on everything. He’s abrupt, heroic at times… He’s a leader and a god in the eyes of the people, but – I’ll say it again – he’s also very humane.
We are talking about “characters”: to what extent acting and stage art count in order to perfect the portrayal of a character? What do you think is the role of acting in Melodrama and what is your opinion about Theatre/Drama and Opera?
Over the years I’ve perceived that acting a role has become growingly important. Once they would be satisfied with the purely vocal ability of a singer, but it’s not like that any longer. Nowadays, media and – above all – stage direction force the singer to resemble an actor. I said “resemble” because the actor can take a breathe wherever he wants, he can play the role in different ways according to situations – and that’s different for singers. I once discussed this with my friend Glauco Mauri, who conducted me in Naples for Macbeth. First in the matinée and then at the evening recital he was acting in The Tempest by Shakespeare. I asked him: “How do you do that? Aren’t you tired?”. “My dear – he replied – at 14h30 I play my character in a certain way; then, after I get tired from directing, I play it differently: it’ll be much more sore…”. In turn, this led me to understand that singing is a great deal more difficult than acting.
Us singers have to follow the conductor, sing a tempo, mind the intonation – and sometimes we’re bound by impossible tessiture. We have a number of things to keep under control. However, if you manage to detach yourself from these problems – for you have internalised them – then you can just throw yourself into acting. I’ve partially succeeded at this and it feels so good! Moses and Zachary aren’t characters who need to be acted – actually, the less you move, the more visible you get. They are convincing because they are hieratic, and they needn’t gesture or anything. On the other hand, Attila feels much better to be acted in this sense.
Problems arouse when directors ask singers to deliver a prosaic, actor-like interpretation. Then again: acting and singing are two different jobs.
Do you deem them to be in mutual conflict?
Conflict springs out when directors ask of singers things that go against the music, i.e. when they completely overturn the text for the sake of their own needs. Once the director has grasped the “limits” a given role poses on a singer, he won’t overturn a thing. Instead, when you come across directors who distort everything, then they’ll offend the singer, the audience and the composer himself. Mind you, there are so many of them. This is particularly fashionable in Germany right now. Opera doesn’t belong to the theatre director, just as I don’t belong to theatre. When I venture into something that is not within my field of expertise, I’ll always be respectful and mindful. This doesn’t always happen. Oftentimes directors stomp into the room like Frankensteins and I find it extremely uncivilised from an artistic perspective. The intelligence of the director must encompass the knowledge of the music and of the limits of a singer. Some singers are more apt to acting than others, but they all have to sing. There’s no point in having a Turandot who can act. Vocally speaking, Turandot must be able to complete the opera.
We have talked about directors. Let’s talk about conductors now… You have worked with the greatest in the world…
Yes, I’ve been conducted by almost all of them. It’d be easier to say who doesn’t make the list, such as Abbado. As for the others, I’ve worked with them all over the past thirty years. You work well with great conductors: it might sound incredible, but I never experienced any problems with them. Problems come with the smaller ones. Some of them have gained prestige thanks to the corporate record companies that have made them big… But it’s extraordinary to work with who is really great. I’m talking about Muti, Metha, late Maazel, Pappano – with whom I’ve worked very well and I genuinely hope that I’ll be working with him again, because “he’s just a good guy”…
Their role is vital in terms of staging the opera…
Of course. The great successes in history (see Abbado’s productions in the 1970s) featured great directors, as well as important singers on stage and a functional direction to say the least. For example, an exemplary production is that of Simon Boccanegra by Abbado. In order to achieve such results you really need all these ingredients: opera houses should always take this into account.
What do you think about conductors who claim to alter the tempo?
People who claim any right are not “theatre people”, but “people lent to the theatre”. Tempo and certain dynamics not only are to be respected, but also adapted to the singers. That’s what big composers used to do for the singers, changing the accents, the notes… They loved singers. I wish I could find in conductors at least half of the love composers used to invest in: I’m happy when it happens.
Speaking of singers… You travel the world doing renowned masterclasses. The next one will be held in Sofia, right after your recitals in Catania. How would you define the different types of voices of the Opera?
There are dark and clear voices, small and big ones – those are the most common definitions. However, there are many others: there are also short and long voices, voices with a massive extension, immense voices… A few examples of great voices: Callas, Dimitrova, Nilsson… And present-day Guleghina.
What do you think about your students?
The students who come to me are often affected by the fact that the big Italian tradition has lost its way partially, because people, schools and the establishment have lost interest. Once, they would come to Italy to study with the big Campogalliani, Enrico Pola, and so on. There used to be a number of great maestros in Italy. Mine, Paride Venturi, attracted students even from Japan. Nowadays there is but a handful of maestros who teach the right vocal technique: most of the times I have to repair the disasters perpetrated by other professors…
I find singers who sing without appoggio, hence their voice tends to bleach out… There aren’t dramatic voices any longer. On one hand, it’s because the diapason is too high – almost half a tone higher than during Verdi’s times. It was 4.32 back then, whereas now it’s 4.42 – 4.40, officially. So just go and figure the devastation for dramatic voices! Moreover, these guys need to do their studying! I would never go without a solid three hours of studying, and I would bring my homework at home, too. Instead, students are distracted today: from their mobiles ringing, to a myriad of trivial reasons. The first thing I tell them when I start my lessons is: “Have you turned your mobiles off?”, because that hour is to be fully dedicated to singing. Our job tracks back to 1700, 1800. Nowadays there are hectic schedules and stress, and everything just runs so fast. If we want to study like we used to, we ought to go against these paces – and that’s what I try to explain to my students, mostly.
How long does it take for a voice to acquire the qualities that will make it stand out? And what “comes next” for that voice?
It depends on the singer. Some singers “get it all” in one year, whereas others won’t understand a thing for ten years. As soon as the voice is ready and it can carry on a whole opera, then it’s ready!
As for what “comes next”, twenty years ago I’d have said: as soon as you’re ready, go on and audition, and I’d have suggested which opera houses to go to. Ten years ago I’d have said: go on and audition with a good agent. Today I say: find yourself a good agent, and… Are you sure you want to sing?
Emerging talents see their careers open up. Yours is incredible. How important a role have your personal qualities, hard studying and luck played in building up your career?
Luck does exist, but I think bad luck plays a greater role. However, putting luck and bad luck aside, I’d say that self-criticism is what really counts. Even today, whenever I listen back to myself all I hear is the defects. That’s the way to be, or else you won’t go forward – you’ll go backwards, instead. I detect my flaws at once, and I want to adjust them immediately. This is what makes you carry on. So it takes studying, studying, studying; self-criticism, listening to everybody and then carrying on with your own brains, if you’ve got any. The singer is a complex of many small things. Flexibility counts a lot, in order to go a tempo, follow the conductor, and (I won’t say to accept compromises, but at least to) be able to put up with a discussion with directors. It takes an extremely strong-will mind, because it’s a really tough job – and it entails lots of sacrifice, too. I’ve been doing this job for over thirty years. Thankfully, I have the same passion I had when I was fifteen, or else…
Today, working in the theatre is so extenuating that even if I resorted to not singing anymore I would have my reasons – but I do want to continue doing it, because I love it!
You said that one of the major moments of your career was the ever-so-famous, so-called “Macbeth to the cube” with Muti at La Scala in 1997. How did you get to this moment?
It was Bruson to come up with this definition for that Macbeth, because of the set design.
As for my career, the fundamental thing was starting to work with Riccardo Muti. Solti had Muti listen to me, Muti chose me and then he confirmed me for twelve running seasons at La Scala. I owe a great deal to Muti, but I did earn it all: he didn’t give me anything away as a gift.
And what happened next? Huge successes, great colleagues, big productions…
Successes weren’t always big, and neither were my colleagues – but there’s been such a continuity in my career that I’ve never stopped in thirty years (thank God)!
A fundamental moment was the Turandot in the Forbidden City in Beijing, China. It was a much suffered tour because the heat was unbearable – but it was a huge media event. And then there are many other small things, except for the worldwide telecast from La Scala – although I wasn’t singing major parts like Attila or Boris.
I never really “boomed”. My fortune is that I’ve never been within a big event. Had it been like that, all the rest would have seemed much, much smaller. Instead, I’ve been doing many important things that were not bombarded by media coverage. I find this important, in terms of keeping a firm career. A number of singers have been skyrocketed so high and then they fell down miserably in a handful of years…
As of lately, your career goes on with world premieres, such as El Juez (The Judge) by Kolonovitz, that you have played alongside Josè Carreras in 2014. What kind of experience was it for you?
Firstly, I’ve found a friend, because Josè is a great person. We staged this opera in Bilbao in a beautiful environment. It’s a contemporary opera, but it’s suitable for all ears because it features almost musical-like moments together with more contemporary arrangements. This kind of opera is more difficult, even just to listen to, even for me… I’m referring to uber-modernist opera, with its dissonances and all the rest. I’m not particularly fond of this genre – actually I feel completely repulsed by it. It sounds very much like “smart holidays” to me, and it doesn’t interest me. Even more so, as I was studying El Juez I thought: why on earth am I doing this? To study an opera in Spanish and stage it once only in Bilbao. Instead, we took it to Austria and we’ll be taking it to Saint Petersburg in January 2015, then back to Vienna and Spain. So it turned out to be a real pleasure doing it.
What I really enjoyed was having the composer right by my side. I suppose I experienced a bit of what [singers] would go through in 1800 whenever I told him: “Instead of singing this H that I can’t hit quite well, couldn’t we do a B flat?” He’d look at me and say: “Yes, yes!”, and he’d change it. This is something that really excited me.
So, despite everything, you did enjoy this modern role you took on. Speaking of roles, you (with your Verdi voice pour excellence) have stated to love Don Carlo’s Philip II above all roles. I share this passion with you and I will ask you: is Don Carlo your favourite opera, as it is mine, too? Or is it the character you prefer?
I think Don Carlo is the most beautiful opera ever written. To think what’s inside it…! In a mere ten bars Wagner would have written four operas. For me, Don Carlo is Verdi’s absolute apex: a smooth [masterpiece] from beginning to end. Philip II is one of those characters who are simultaneously so strong and delicate, so rich of thoughts – and perhaps he wasn’t like that in the actual reality.
I agree completely! You have switched from such dramatic roles to Don Pasquale, the only role for an opera buffa you ever played. Did you fully tune in with the character or only on a vocal point of view? Would you enjoy playing another similar role or do you prefer sullen melodramas? And why?
All it takes is to watch it on YouTube… You can find the full version of this Don Pasquale and you’ll see how fully I did tune in with the character and how much I enjoyed myself playing him. I wouldn’t know about other roles for opera buffa, though. I’m more cut out for dramatic roles, which I prefer. Then again, when I find myself caught up in them, it feels like going to parties: I detest parties, I love silence and I don’t enjoy chaos. Still, once I’m in, I do enjoy myself madly. I suppose I was born in the wrong era: I don’t like to hurry or rush. I probably should have been born no less than twenty years before.
And speaking of age… The operatic bass is a long-lived voice. How come?
It’s long-lived because the chord of a double bass is less delicate than that of a violin… Well, it is long-lived, but only to a certain extent. Some basses have lost their voice after just twenty years, and others after a mere five years.
What is the secret to maintain a long-lived voice? Let’s break the urban legends about anchovies, scarves and foulards, and being on vocal rest for days. What is the right care for the voice?
You’ll spoil your veins with anchovies: they’re so salty! In order to maintain your vocal chords healthy and keep up your artistic level you should try and lead the most serene life possible outside of the theatre, because everything effects the chords. It’s not easy, because nuisances are always around the corner. Therefore a singer should be mollycoddled in order to live well, yet living mollycoddled wouldn’t help you with the acting. If you haven’t put up with negative experiences or sorrows you won’t be able to convey them on stage. Moderation and self-restraint are of paramount importance: you may eat whatever you want, but moderately. As for the rest, some colleagues have a relentless sexual activity… You need self-restraint with everything, sex included! You should behave like an athlete. If you’re fifty and you wish to produce the same vocal performances of when you were twenty-five, you must work twice as hard, because your physique has aged. So you need to know what to give up and use common sense at all times. As for vocal rest… Especially when I have a recital the next day, I won’t shut up completely, but just speak quietly as I’m doing now.
It doesn’t really sound like you’re speaking that quietly…
Well, I am…
This just leaves room to imagine your performance abilities… And what about scarves and foulards?
No. It’s wrong to cover yourself up too much. I did it for a long time, but as soon as you take your scarf off you’re more prone to getting a cold. You need common sense for this, too. Having brains must prevail on being in the dumps.
Speaking of voice, what about live voices and recorded voices? Does the voice gain from being recorded or not?
It’s a great gain for ugly voices for sure… It’s the beautiful voices – especially the “big” ones – that have everything to lose from being recorded. If we listen to the recordings of Del Monaco or Dimitrova, we’ll notice a definitely diminished performance than the live ones on stage.
When I’m recording in the studio, what matters to me is forgetting that I’m making a record, and pretend to be singing in the theatre. Nowadays they make a number of records that are all the same, and they’re all equally very little expressive. Instead, you need to convey this expressiveness in the recordings, too.
Speaking of records, your new CD is coming out in 2015. Correct?
It’ll be out during the Expo in Milan. I’ve really nurtured this CD. It’ll come out with a major record label. I like it a lot especially because it’s not boring. I’m singing Semiramide, Don Carlos in French (I’ve already recorded it in Italian!), Don Chisciotte and Wotan farewell from Valkiria: there’ll be something for everyone. Now we are speaking about singing in languages that are not Italian. What do you think about those? And French, especially… Singing in a foreign language can destroy one’s voice. Italian is the perfect language for bel canto. When I’m singing in Russian or German, I keep singing Italian style. If they complain about my pronunciation, I just won’t bother – because my vocal chords aren’t to be damaged. When singing in German on the consonants or in French, with all those vowels of their that are terrible to sing, you risk a lot. Have you ever wondered why there hasn’t been a single French dramatic voice in a hundred years? I think they care too much about pronunciation. Therefore, if you want to listen to French singing of definitely dramatic voices you must adapt to what Corelli, Freni or Ghiurov did by modifying the pronunciation. Vowels must be rounded, and Italian is the sovereign language. I’m absolutely sure of it.
Next commitments?
After my masterclass in Sofia, I have two concerts. A charity gig in the province of Bologna with mezzosoprano Luciana D’Intinto for the Istituto di Ricerca Oncologica, plus the “Golden Voices” in Neufchatel with soprano Daria Maseiro. Then Aida at La Scala, Nabucco in Tel Aviv, Maria Stuarda in Paris and Mephistopheles in Mexico City.
I know you have been absent from NYC Metropolitan since 2011…
I sang in NYC with Caterina Cornaro at the Carneige Hall. I did Aida and then I returned in 2011 with Nabucco.
Any desire to return to the States – and to the Met in particular?
Any singer who’d be asked this question (just as if you asked them about La Scala) would answer: yes! I found a very laid-back and generous audience at the Met, not to mention custom designers and make-up artists. They have sensational make-up artists who manage to do wonders in a couple of minutes! The make-up for Aida was quite complex. I thought to myself: “God knows how long it’ll take them”, and instead I was ready in five minutes. They are extremely professional. I have good memories about Chicago, too, where I played Norma once. I remember it was absolutely freezing (-10C during the day and -20C at night), but it was extremely beautiful going to the opera house. The atmosphere felt very familiar and cosy.
What do you think about the future of Opera?
I’d like to be certain that Opera did have a future… As of now, I’m quite dubious and I shiver. I’d like to have a certainty, i.e. that schools started to take children to the theatre again. Schools should commit to taking pupils to the theatre at least four, five times a year – to see both drama and opera. I deem it a moral duty. You can’t expect that from parents, for they might not have that sort of upbringing or they might be interested in different genres of music. Still, it’s essential for teachers. Children should be taken to the theatre when they’re six years of age, that’s when they’re still more “pure”. That’s because when you’re six you have a kind of pureness that disappears by the time you are twelve, considering all the technological devices out there. As they are twelve, they’ve already gained an immense quantity of information. On the contrary, when they are six they are not familiar with these modern, mischievous devices and they are highly receptive.
I wish for theatre to gain a new audience and that it will survive another five hundred years just as it’s survived for the past half millennium. It’s just beautiful to have a passion for such a pure thing. For instance, I deem football frenzy a very ephemeral passion. Instead, the passion for theatre is something that completes you and, just like reading, it betters society. I read quite a lot. I read with great pleasure when I have the time. I’ve just finished an essay by Minarini about Attila in Venice and I’ve now started a novel. I love reading, music, theatre… We’ll be extremely poor in the future without these things.
Your dream-role: are you playing it, are you going to play it or will it remain a dream?
The role I’ve always dreamt of is Carlo V inErnani, because I dreamt to be a baritone. Since I became a bass, the role I’d always dreamt of and that I eventually managed to play is Filippo II, as I was saying earlier. However, I have another one, Boris, and I’m playing it in Bulgaria – which is the motherland of the biggest basses. It’s going to be very exciting.
Your eyes almost shimmer out of tenderness toward your characters… Thank you, Carlo, for you amiable availability. “Bearing” a one-hour interview is not insignificant… I could do two, with all this material.
59 minutes to be exact. I checked on your timer [he smiles]. No, seriously… It’s beautiful this way: do one only. And why did you say “bear”? It was a pleasure. We share a passion for Don Carlo, after all. We are both Verdi men… Two gourmands.
[This time, I find myself smiling…]
© Natalia Di Bartolo
PHOTO NATALIA DI BARTOLO, GIACOMO ORLANDO AA:VV.