By Natalia Di Bartolo –
Catania, 4 dicembre 2014 —
Grande opera verdiana al Teatro Bellini di Catania: Attila di Giuseppe Verdi è andata in scena il 4 dicembre 2014 nel massimo teatro catanese, quale produzione di chiusura della stagione 2014.
Molto attesa dagli spettatori, l’Opera mancava dal cartellone dal 1979 ed ha quindi richiamato un pubblico d’intenditori e appassionati, mescolato allo storico pubblico “delle prime” che ancora oggi, nonostante la grave crisi, non manca mai di frequentare l’amatissimo tempio del Sada.
Sul podio il Maestro spagnolo Sergio Alapont, alla guida dell’esperiente orchestra del teatro catanese. Il giovane direttore ha mostrato polso nell’assetto complessivo della direzione, belle dinamiche, un ottimo dominio della partitura e degno supporto agli interpreti, ma ha mancato di offrire alle frasi musicali del genio di Busseto quella brillantezza data dalla corretta gestione dei tempi in ogni parte dello spettacolo. Ciò ha reso particolarmente dolenti le note verdiane, ma dato del rallentato filo da torcere agli interpreti.
All’altezza delle aspettative e soprattutto della difficoltà della partitura, il cast della serata, che ha brillato innanzitutto con l’Attila potente e ben caratterizzato di Carlo Colombara.
Indispensabile un grande inteprete per quest’opera, che necessita di un basso nel ruolo del titolo, forte, imponente sia nell’aspetto che nella vocalità: il celebre basso bolognese, come appositamente strutturato per la parte sia dal punto di vista vocale che da quello fisico, ha dato ottima prova delle proprie capacità non solo di cantante, ma anche di attore, imponendosi quale Attila assolutamente credibile e perfettamente calato nel ruolo.
Vocalmente e musicalmente impeccabile, ha reso un re degli Unni dotato delle debite sfaccettature caratteriali e della gestualità pertinente ad un personaggio reso da Verdi più umano e, forse, un po’ lontano dalla realtà che la storia ci ha tramandato…Un po’ più nobile, dotato di sentimenti, di forza, ma anche di fragilità emotiva. E tutto ciò si è visto, tutto si è letto nell’ottima interpretazione di una delle più celebrate voci verdiane dei nostri giorni.
La scenicamente elegante Dimitra Theodossiou nei panni di Odabella sembrava aver ritrovato quella potenza vocale che non le si rilevava da qualche tempo, pur lottando contro l’impervia partitura, che impone alla protagonista femminile agilità e filati di tutto rispetto, nonché acuti improbi, non sempre eseguiti. La nota interprete di origine greca è sembrata particolarmente messa alla prova nella zona acuta e non è stata aiutata dalla direzione assai meditata del maestro Alapont.
L’opera richiede quattro grandi voci, non una sola o due: la parte di Ezio, generale romano, non è da meno di quella di Attila e nei duetti si crea a volte una sorta di giusta competizione tra le due voci, entrambe brunite, del basso protagonista e del baritono che lo affianca.
Nel ruolo di Ezio, Carmelo Corrado Caruso ha saputo tenere testa alle difficoltà della parte impostegli da Verdi, ma avremmo voluto ascoltare maggiore attinenza filologica alla partitura, soprattutto negli staccati che abbondano nel suo ruolo, ma dei quali, purtroppo, non si è sentita traccia, in un initerrotto legato, comunque sostenuto e robusto, ma probabilmente anch’esso in parte indotto dalla direzione poco scattante dell’Alapont.
Ottimo il Foresto di Sung Kyu Park, dalla dizione italiana impeccabile e dal bel colore di giovane voce tenorile, anch’egli ben immedesimato nella parte e recitativamente ben inquadrato. Il che, dotando, con questa sua, l’opera delle necessarie quattro voci di tutto rispetto di cui sopra, ha dato modo ai meravigliosi concertati verdiani di venir fuori in maniera efficace e soddisfacente, con relativa risposta di gradimento del pubblico.
Guidato da Gaetano Costa, non altrettanto bene ha reso il Coro del teatro, dal quale avremmo voluto più coloriti e maggiore partecipazione emotiva.
Una nota da dedicare alla messinscena di Vincenzo Pirrotta, che, sia pur inserendo meditate ma discutibili idee registiche anche danzate (in particolare seguendo la moderna ma alquanto antifilologica scia della “sinfonia animata” e allestendo una sala parto sul proscenio nella scena seconda del prologo), ha retto l’intero spettacolo con un filo conduttore di attenzione alla lettura del libretto e di coerente lettura interpretativa, fino al finale suggestivo e inconsueto che ha visto Attila morire avvinghiato dalle liane dell’amena selva nella quale si era svolto parte del percorso di vita ed insieme interiore dei protagonisti. Una selva di liane come piovute dal cielo, irte di foglie verdi, ma che hanno mantenuto, poi, alla fine, il proprio indovinato ruolo d’intricato sentire umano, nel quale, trafitto da Odabella, s’impiglia e muore Attila, riportato così dalla condizione di dio in terra a quella di uomo.
Assai soddisfatto il pubblico catanese, che ha salutato questa produzione come l’opera più riuscita dell’intera stagione, consacrandone il successo con sentiti e prolungati applausi, anche a scena aperta, a tutti i protagonisti.
Natalia Di Bartolo
Foto Giacomo Orlando e AA.VV.