L’appuntamento con le tragedie greche a Siracusa è per molti appassionati un punto di riferimento culturale che si rinnova, atteso e sperato, ancora oggi ogni anno.
L’Istituto nazionale del dramma antico (anche conosciuto con l’acronimo INDA) è una Fondazione culturale dal 1998, ma le sue attività prendono vita già nel 1914. L’ente è celebre per l’organizzazione del ciclo di Rappresentazioni classiche nel teatro greco di Siracusa, contenuto nello splendido complesso archeologico della Neapolis.
L’Istituto nacque per volontà dell’aristocratico siracusano Mario Tommaso Gargallo, che nel 1913 costituì un comitato promotore con l’ambizione di ridare vita al dramma antico nel teatro greco di Siracusa, giudicato a piena ragione suo “spazio naturale”.
Da allora è gioia e gloria per il grande Teatro…fino ad oggi.
Ma per la serie del “come eravamo”, mi piace ricordare che fino a una trentina di anni fa l’appuntamento con gli spettacoli classici era previsto ogni due anni e gli appassionati, fra cui chi scrive, “conteggiavano” il tempo estivo un po’ come se attendessero qualcosa che non arrivasse mai per un anno intero, quando si trattava dell’anno di stasi; ed un po’ come se nell’anno destinato alla messa in scena degli Spettacoli Classici, all’inizio dell’estate si prevedesse una festa tutta da pregustare per quattro-cinque mesi, fino alla gioia della fruizione nel suo materiale realizzarsi.
Ecco cosa le Rappresentazioni Classiche hanno potuto e possono nell’animo dello spettatore attento ed appassionato al genere. Oggi molto è cambiato, ma allora era come un rito recarsi al Parco Archeologico della Neapolis a Siracusa, ogni anno, verso la metà di maggio, sotto il sole spesso cocente della precoce estate siciliana, con il biglietto già in mano, in netto anticipo rispetto all’orario d’inizio ed assembrarsi in attesa con gli altri spettatori dietro il gran cancello di ferro che quasi ha il potere di delimitare un mondo da un altro, la realtà dalla fantasia.
All’apertura del cancello, la corsa per i posti non numerati veniva riservata ai più pimpanti delle comitive, mentre il solitario, riflessivo studioso percorreva quel tratto di ghiaia bianca, in salita, tra gli alberi del parco, già sfogliando il libretto di sala o, meglio ancora, la traduzione della tragedia così come sarebbe andata in scena; libriccino che veniva regolarmente venduto a poche lire, al pari dei gelati e dell’affitto dei cuscini, con la stessa naturalezza.
Ma, ancora oggi, non è un caso: per una sera, a Siracusa si può vivere nell’Antica Grecia e dovunque, se lo si voglia, e lo spettatore, già entrando nel parco che racchiude il magnifico Teatro greco, può accantonare per qualche ora la propria vita ed immergersi in un’atmosfera senza tempo.
Ma nel “come eravamo” c’era un privilegio, di cui oggi lo spettatore non può più godere.
Allora un lampo di furbizia illuminava lo sguardo del più esperiente appassionato nell’individuare il luogo migliore della platea e sperare che restasse libero per potersi eventualmente spostare: sulla parte destra della càvea, dove l’ombra dei pomeriggi afosi scende prima dal monte e ristora ancora oggi chi attende da ore l’inizio dello spettacolo; prima che ne godesse l’incauto che aveva preferito la parte sinistra della platea e che, approfittando di un posto libero, ricercava la frescura…e poi giù, per le scale, a trovare il proprio posto.
Rammarico se la numerazione dei posti non consentiva di scendere in basso, verso il palcoscenico; il “posto ideale”, ancora oggi non si trova in alto, come la magnifica acustica del teatro consentirebbe, ma nelle prime file, giù, con i piedi penzoloni, possibilmente, tra il gradino della prima fila della platea e la parte semicircolare del palcoscenico realizzato nell’antica orchestra: si è lì per far parte della serata, in un’immersione totale nell’astrazione della magnifica produzione tragica greca, in cui primeggiano gli immensi Eschilo, Sofocle ed Euripide, e che induce alla catarsi, oggi come allora. Goderne è privilegio e goderne da vicino è ancora più emozionante e coinvolgente: significa “esserci”.
Ed ecco lì la scena che attendeva silenziosa, senza sipario, senza alcun velario, che la rappresentazione teatrale le desse senso e vita; che gli attori ed il coro, trafigurati dal genio umano e poetico dei versi declamati, la popolassero e le dessero la prerogativa del luogo e del tempo; del “qui” e del “dovunque”; del “sempre” e del “mai”, nell’universalità del Teatro immortale dei Tragici greci.
Un vento leggero soffiava sul viso e faceva muovere le fronde dei magnifici alberi del parco, alle spalle del palcoscenico, che non ha più scena, ma che ha mantenuto ancora oggi il dono miracoloso di traformarsi in Trachis, in Tebe, in Atene, di ospitare il Palazzo del re o l’ara del Dio, l’erta del monte o la pianura della battaglia…
All’imbrunire lo Spettacolo cominciava…Il pubblico, composto da migliaia di persone, taceva all’improvviso, come un sol uomo. Che importava essere seduti sulla pietra, senza schienale, su un sedile munito solo di un sottile cuscino, spesso scomodo e assai vissuto? Chi se ne accorgeva?
Due ore di fila trattenendo il fiato ed ascoltando e guardando l’eterno travaglio della vita, lo snodarsi di vicende di uomini e dei, di eroi e di traditori, di vita e di morte. Tutto ciò, che ancora oggi, sia pure con modalità e tempi diversi si rinnova, non ha prezzo ed è per sempre; vive nella Poesia del Teatro e non per niente lo chiamano “Eternità”.
Natalia Di Bartolo