Buio. Muoversi felpato, tra lampi ed abbagli. E le forme divine dell’Hermes, illuminate da torce votive, oscillano tra l’ombra e l’oscuro, nel bianco accecante del marmo che fluttua allo sguardo: quel giovane appare sinuoso come vivo. Polvere bianca al lume delle fiaccole: il Maestro scolpisce, pensando all’ara del dio e ai sacrifici di fanciulle d’Atene, dalle candide bende fra i capelli. E buio di nuovo.
Dentro una casa di Pompei, un artista dipinge al lume d’olio un dio Bacco dalle folte chiome ornate di viticci e grappoli, mentre i Lari osservano silenti e nell’impluvium cadono gocce di pioggia e poi lapilli. Accoccolati in terra, i discepoli pestano le terre e il lapislazzulo, perché il Maestro dipinga e in prospettiva: divino dono che sarà dimenticato nelle pale d’oro degli altari, alle candele dell’oscurità dell’anima, che contrasta con l’oro degli sfondi. Quella Madonna di messer da Buoninsegna, dal suo lucente, piatto Paradiso, guarda lontano e non vede il misero che la prega al buio, prima che il sole inondi di colore le gran vetrate della Cattedrale.
Ed ecco luce e luce ancora; e torna il cielo, lì dove prima sfavillava l’oro. Giotto ne fa da sfondo: rinasce in prospettiva. Segue lo sfarzo di Corte di un Rinascimento breve, come breve è la luce della notte nei mille candelieri del Magnifico, là dove un giovane di nome Michelangiolo dà i suoi primi colpi di scalpello e poi si sdraia supino sul nudo legno di un’impalcatura, solo con Dio, al fioco lume di romane candele papaline, a dipingere un soffitto di Sibille e Profeti.
E intanto, le carte sfrigolano al fuoco del lume del Maestro da Vinci, che, mai sazio, brucia di notte i pensieri e il genio che non è abbastanza, mentre Lisa sorride a cavalletto, su uno sfondo misterioso di paesaggio. Un lampo: Tiziano ed è di nuovo buio. Un tuffo, allora, nel profondo del pensiero e del soffrire, luce radente delle fiamme che ardono fin da Caravaggio e illuminano le vene dei polsi di madonne popolane in controluce. La fiamma entra nel quadro ed arrossa un interno, di traverso, per perdersi nel buio di angoli ignoti del dipinto, dove nessuno mai saprà cosa palpiti o giaccia silente.
E mentre mille e più innocenti streghe danno lustro, bruciando, a Santa Inquisizione, il dispendioso Rembrandt ritrae la Ronda di notte; ma ne avrà presto pochi talleri in tasca e poca luce.
Poi, dalle sale da ballo di Venezia, con lo sfarzo di misteriose maschere, si consuma la notturna baldoria del Carnevale e la Vittoria svetta effimera sul mare. Fate lume! Il Tiepolo dipinge, gloria abbagliante della Serenissima. Prima che affondi con le proprie navi, la si blandisce di risate e fiaccole. E quindi arde la Francia alla rivolta e, con lo stesso fuoco fatto Impero, dopo illumina il campo di battaglia dove giacciono in migliaia nel sangue degli eroi, mentre Canova accarezza in penombra le forme procaci di Paolina nell’incarnato candido del marmo.
Il fuoco della guerra ancora brucia ed affoga nel sangue l’Arte sopita, pur rilucente nei ritratti dell’Hayez, che parlano la lingua dei Salotti e dei ricordi. E poco dopo, a Parigi, la vie de la Bohéme consuma nel romanzo vite oscure d’artisti, in mansarde dove Indigenza si congiunge all’Arte, al lume flebile di petrolio scuro.
Però si guarda al sole ed all’aperto, in tanti: se ne dipinge la lucida Impressione. Ma il Lungosenna di notte poi si tinge di lanterne e risate d’ubriachi: eccolo l’italiano, ecco Amedeo che insegue Jeanne dal lungo collo e la ritrae, prima che cada dall’alto sulla strada, perché il suo bel Modì è morto al freddo, lì dove l’ultima candela s’è consunta nell’oscurità della miseria.
Ma quella ed altre strade ormai brillano di luce anche di notte: c’è Picasso che impera ed è ricco e la luce gli brilla negli occhi e nelle tele con i suoi bei pagliacci blu e rosa…e poi tutto si muove, tutto avanza veloce nel Futuro e nella guerra duplice di nuovo, nell’Urlo e l’Espressione che lampeggia e oscura, mentre è ormai tanto lontana l’eco solitaria di un colpo di pistola in mezzo al grano, sotto un cielo che turbina e riluce.
E poi? Poi ancora in tanti, di sera al lume di costose lampadine, grandi e piccoli, la gran truppa di ieri degli Artisti. Ed oggi? Noi, che quelle luci le chiediamo spente per un giorno solo e torniamo al buio, come se fosse ieri o indietro ancora. Ci illuminiamo meno, ma ci serviamo d’altro, perché il Mistero dell’Arte non necessita mai di troppa luce.