Review: IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA di Monteverdi a Innsbruck

Review: IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA di Monteverdi a Innsbruck, all’Innsbrucker Festwochen der Alten Musik, nell’ambito delle celebrazioni del Musicista.

By Lukas Franceschini


Innsbruck, 14 agosto 2017.

All’Innsbrucker Festwochen der Alten Musik, nell’ambito delle celebrazioni di Claudio Monteverdi, non poteva mancare una sua opera, così è stata messa in scena Il ritorno di Ulisse in Patria al Tiroler Landestheater.

Il soggetto è tratto dall’Odissea di Omero su libretto di Giacomo Bordaro, e l’opera denominata “tragedia di lieto fine in un prologo e cinque atti SV 325” fu eseguita per la prima volta al Teatro di San Cassiano o Teatro Santi Giovanni e Paolo a Venezia nel 1641. La vicenda segue fedelmente il testo di Omero (libri XIII-XXIII).

Nella più malinconica e meditativa delle tre opere monteverdiane, Ulisse, il protagonista, è una sorta di eroe fragile, non pago del sapere acquisito ma più ancora desideroso di riscoprire gli affetti perduti in quattro lustri. Monteverdi raggiunge vertici assoluti nell’invenzione musicale e d’introspezione psicologica dei personaggi. Straordinaria la scena dell’agnizione di Ulisse e Telemaco più ancora di quella tra il protagonista e Penelope. Molto originale la perizia con cui il compositore ha contraddistinto vocalmente i ruoli. Ogni personaggio è connotato da un modo espressivo adatto al suo rango e alla sua tempra: la dimensione sovraumana delle divinità è resa dallo stile alto, melismatico, mentre ruoli come quelli di Melanto ed Eurimaco intervengono sempre con facili canzonette. L’austera Penelope declama un recitativo severo nello stile tragico di Ulisse, il quale però si sdoppia e nella condizione di finto mendicante imita lo stile umile. Antinoo si esprime con un declamato impervio di sbalzi, segno di statura sociale elevata, ma anche di pravità. E ad esempio nel confronto con Eumete i suoi sgraziati scarti di registro cozzano con la serena compostezza del pastore, che rispecchia uno stile medio e la sua condizione inferiore. L’attenzione ai diversi tipi di esposizione crea una retorica vocale impiegata a fini teatrali: è importante il modo in cui i personaggi si esprimono, e il registro stilistico scelto di volta in volta è funzionale al racconto, come ad esempio quando un personaggio esce dal suo registro abituale per assumerne un altro.

Il recitativo è ricco d’impennate liriche, incisi ripetuti e spunti ritmici, che dopo uno sbalzo ricadono nella declamazione libera, come nell’abbandono gioioso. Il compositore nei momenti in cui il recitativo lievita ad arioso, per esigenze teatrali e interpretative, ritma le sue dimensioni forzando il tempo rappresentato e seguendo la logica degli affetti e della musica.

L’unica copia manoscritta che esiste del Ritorno di Ulisse in patria è conservata a Vienna ed è redatta da un copista. La ricostruzione della genesi dell’opera è stata fatta nel 2007 sulla base dei dodici libretti originali. Ma in quest’occasione delle rappresentazioni a Innsbruck un eccelso musicologo come Alessandro De Marchi ha approntato una differente versione, suddivisa in due parti, rafforzando il recitativo rendendolo più musicale e “teatrale” e con l’inclusione di altre composizioni dello stesso Monteverdi (madrigale “Lamento della Ninfa” e madrigale “Zefiro torna”) e di Francesco Cavalli (Sinfonia a 12). Scelta che molti segnaleranno come non filologica, ma io penso che ai fini della rappresentazione sia stata molto efficace, sia dal punto di vista drammaturgico sia musicale, poicé nulla toglie anzi, offre maggior spessore.

Proprio De Marchi è l’artefice principale della bellissima esecuzione cui abbiamo assistito. Esperto conoscitore del repertorio barocco, ha guidato con mano ferma e competente l’eccellente Orchestra Academia Montis Regalis (su strumenti originali). Il direttore è stato molto vario sulle indicazioni fornite ai cantanti rispetto al testo, pertanto i recitativi sono stati molto ben eseguiti e non si è caduti nella classica banalità talvolta tradotta in noia, al contrario abbiamo ascoltato un lavoro emozionante. Negli ariosi e nei ritornelli era predominante un’eleganza arcaica di grande effetto e brillantemente eseguita.

Il cast nel suo complesso era molto valido ed era preponderante una grande classe esecutiva scorrevole e dinamica. Kresimir Spicer, Ulisse, è stato un cantante molto morbido e stilizzato trovando colori e accenti felici. Molto rilevante la Penelope di Christine Rice, dotata di voce melodiosa e dolente, ma senza abusarne poiché nei momenti più concitati trova un bel vigore e un fraseggio vibrante cui va sommata una bella vocalizzazione e un’ottima pronuncia.

Bravo il controtenore David Hansen, Telemaco, dal timbro molto chiaro che determina la giovinezza e una buona tecnica che gli permette di superare brillantemente i passi fioriti. Valido il Melanto di Vigdis Unsgard, aggraziato e preciso, altrettanto possiamo affermare della spiritosa ed elegante Ingebjorg Kosmo, Ericlaea.

Notevole la classe di Jeffrey Francis, Eumete, soprattutto nella dizione, di Carlo Allemanno, un Iro molto considerevole, e Petter Moen, Eurimaco, di precisa musicalità. Dei tre tentatori di Penelope si apprezzano l’Antinoo di Marcell Bakonyi e l’Anfinomo di Francesco Castoro per lo stile, meno il Pisandro di Hagen Matzeit piuttosto gracile e graziato vocalmente.

Professionali ma anche molto variegati nel canto Nina Bernsteiner (Giunone e Amore), Halvor F. Meilen (Giove), Andrew Harris (Nettuno e il tempo), e la frizzante Ann-Beth Solvang (Minerva e La fortuna).

Lo spettacolo, una coproduzione tra Innsbrucker Festwochen e Norske Opera di Oslo era curata nella regia da Ole Anders Tandberg, scene di Erlend Birkeland, costumi di Maria Geber. Non abbiamo trovato una chiave di lettura molto pertinente per l’opera, anche se attualizzata ai giorni nostri. Tutto si svolge nell’ambiente elegante di una ricca casa nobile, dove l’attesa di Ulisse da parte di Penelope (spesso in abito da sposa) è sviluppata in una sorta di pantomima più sviluppata sul lato comico che drammatico. I personaggi entrano ed escono creando dei siparietti autonomi, oppure sono tutti in scena, anche se non cantano e si fingono comparse come in un dramma di Ibsen. Tutto poco credibile e per molti aspetti poco comprensibile. Doveroso però rilevare la bravura dei cantanti, i quali in questa concezione astrusa sono stati oltre che ottimi esecutori anche bravissimi attori. L’elegante scena era a volte sviluppata in altri ambienti più intimi come la cucina o la sala da biliardo per il gioco. Costumi nella norma con l’abbigliamento odierno che non si faceva ammirare ma neppure deprecare.

Le quasi quattro ore dell’esecuzione sono scivolate in un ascolto mirabile e molto avvincente, le incomprensioni dello spettacolo erano superate della musica e dall’esecuzione, che al termine ha meritato il lungo applauso da parte di un Tiroler Theatre tutto esaurito.

© Lukas Franceschini

PHOTOS Innsbrucker Festwochen e Norske Opera Oslo