Review: LE SIEGE DE CORINTHE al ROF di Pesaro

Review: LE SIEGE DE CORINTHE al ROF di Pesaro. titolo inaugurale del Festival 2017 nello spettacolo creato da La Fura dels Baus.

By William Fratti


Pesaro, 16 agosto 2017

Negli anni in cui si stavano ultimando le edizioni critiche dell’intera opera rossiniana, ci si ponevano numerose domande in merito al futuro del ROF e della Fondazione, ma oggi si può sinceramente affermare che il loro lavoro è ancora assolutamente indispensabile.

Lo dimostra anche il titolo inaugurale dell’attuale edizione del Festival, che dopo solo diciassette anni si presenta con una nuova forma drammaturgica, più improntata al senso teatrale della tragedia che non alla spettacolarità del canto e con molta musica in più. Non c’è alcun dubbio che continuando a cercare, scavare e studiare sia possibile scoprire ancora tanta novità nell’opera del compositore pesarese.

Roberto Abbado, coadiuvato da Andrea Severi, è indubbiamente uno dei punti di forza di questa produzione, sia per la sua competenza in ambito rossiniano, sia per il lavoro svolto in passato sulla partitura di Maometto II. È un vero e proprio collante tra buca, palcoscenico e pure la platea: ogni passaggio si risolve omogeneamente, perfettamente legato a quello successivo, in un dialogo continuo con gli interpreti vocali e l’orchestra e per questo direttamente connesso con le emozioni e i sentimenti del pubblico. Il debutto a Pesaro dell’OSN è un vero successo, poiché oltre a esprimere una purezza di suono oltre ogni misura, si dimostra anche assolutamente in grado di dare vita a colori e sfumature di una certa intensità drammatica in totale sincronismo col canto.

Tanta magnificenza purtroppo non la si può riscontrare nello spettacolo creato da La Fura dels Baus – l’altro grande novizio del ROF – e per vari motivi. Innanzitutto il filo conduttore che risiede nella guerra per l’acqua, se non fosse stato tanto promosso attraverso la campagna mediatica sarebbe stato ben difficile da cogliere. Un allestimento fatto di boccioni per erogatori che non vengono quasi mai toccati, non può certo risvegliare le attenzioni del pubblico. E una grande occasione persa per poter davvero raccontare questa storia è la musica delle danze, momento in cui una pantomima fatta come si deve avrebbe potuto esprimere un vero significato. E invece prima ci si è persi in un video con versi di Lord Byron – interessante durante l’ouverture, ma la seconda volta diventa ridondante e soprattutto distoglie l’attenzione dalla musica – e poi è stata eseguita una scena mimica davvero brutta e giustamente contestata dalla platea. Più azzeccato è il lavoro svolto da Carlus Padrissa sulla trama e sui sentimenti dei personaggi: centratissimo in tutto primo e terzo atto, è invece un po’ debole in secondo, dove i tormenti interiori e le tragiche decisioni prese da Mahomet e Pamyra non sono ben rese e l’azione risulta troppo lenta. Utili allo scopo i costumi di Lita Cabellut, atemporali, forse futuristici, quasi alieni. Ottime le luci di Fabio Rossi.

Molto ben riuscita anche la prova del Coro del Teatro Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina.

Debuttante a Pesaro e nella parte di Mahomet, ma già interprete di Maometto e di numerosi altri ruoli rossiniani nei teatri più importanti del mondo, è Luca Pisaroni, eccellenza italiana che nel nostro Paese è ancora tutta da scoprire. La sua vocalità da bass barytone, cresciuta e perfezionata tra barocco, classicismo e belcanto, è perfetta per questo personaggio autoritario, innamorato, conflittuale, forse cedevole, sapendosi muovere con duttilità all’interno della tessitura, arricchendola di fraseggi e accenti che la rendono viva, reale e umana. Il suo timbro si impone su tutti ed è assolutamente auspicabile un suo futuro ritorno al Festival.

Il 15 agosto Luca Pisaroni si è anche cimentato in un delizioso recital, accompagnato al pianoforte dall’eccellente Giulio Zappa, interpretando diversi pezzi di Schubert col giusto timore reverenziale, emotivamente intenso, profondo e toccante; carattere intimo che poi riporta anche nell’esecuzione raffinata di alcune tra le più belle pagine di Liszt. Fraseggio eloquente, eleganza nei portamenti e gusto nell’interpretazione contraddistinguono poi il suo cantare Rossini, con alcuni pezzi provenienti da Soirée musicales e da Péchés de vieillesse.

Nino Machaidze dimostra una miglior padronanza tecnica rispetto a precedenti occasioni, sia nelle colorature che qui sono meglio sgranate, sia nell’appoggio a beneficio dell’intonazione. Ma nonostante il bel timbro di sempre, la sua Pamyra risulta povera d’accenti e d’espressività – se non nel patetico – insipida nelle intenzioni drammatiche ben poco chiare, talvolta in difetto anche nel legato.

Anche Sergey Romanovsky debutta al ROF ed è una piacevolissima sorpresa. Vocalità luminosa e ben timbrata, ottima salita all’acuto con voce piena, notevole interpretazione rossiniana sotto ogni punto di vista. Oltre a vestire i panni di Néoclès, il17 agosto si cimenta in un concerto, accanto al collega John Irvin e all’eccellente Michael Spyres, dove conferma le sue doti soprattutto in termini di emissione, sicurezza e coerenza nella linea di canto, oltre a una salda discesa verso le note più basse tipiche del baritenore.

Pure John Irvin è per la prima volta a Pesaro e tanto col ruolo di Cléomène quanto con l’esecuzione del concerto del 17 agosto, mostra una grande padronanza tecnica, ma un poco povero di fraseggio e di intensità drammatica, oltre a un timbro davvero molto leggero.

Va comunque segnalato che il terzetto “Céleste providence” che vede coinvolti Nino Machaidze, Sergey Romanovsky e John Irvin è sinceramente toccante; momento in cui i tre interpreti riescono tutti a comunicare la commozione che li pervade.

Ennesima novità al ROF 2017 è Carlo Cigni, che porta in scena un Hiéros autorevole, davvero anticipatore di uno Zaccaria. L’unica pecca della sua performance è che forse risulta troppo verdiano piuttosto che rossiniano. Ma la scena della profezia è forse la pagina teatralmente meglio riuscita della serata.

Ottimi i morbidissimi acuti di Cecilia Molinari nella parte di Ismene. Buona la prova di Xabier Anduaga e Iurii Samoilov nei ruoli di Adraste e Omar.

© William Fratti

 

PHOTOS Studio Amati Bacciardi, Pesaro