Review: IL VIAGGIO A REIMS al Filarmonico di Verona

Review: IL VIAGGIO A REIMS al Filarmonico di Verona, ultimo titolo della stagione Lirica della Fondazione Arena.

By Lukas Franceschini


Verona, 25 maggio 2017.

L’ultimo titolo della stagione Lirica al Teatro Filarmonico della Fondazione Arena è stato Il viaggio a Reims di Gioachino Rossini, in prima esecuzione a Verona.

Non percorreremo qui la genesi di quest’opera particolare, la quale per precisione era una cantata scenica, fu composta e rappresentata a Parigi appositamente per i festeggiamenti dell’incoronazione di Carlo X. Rossini, il più celebrato compositore del momento, compose la cantata su un tessuto drammaturgico piuttosto debole ma affidò arie, duetti, e scene di rilevante invenzione musicale a tutti i protagonisti, i quali erano l’élite canora del tempo presente a Parigi: Giuditta Pasta, Laura Cinti-Domoreau, Carlo Zucchelli, Ester Mombelli, Domenico Donzelli, Adelaide Schiassetti e Nicholas-Prosper Levasseur.

Dopo le recite previste, e una ripresa sotto altro titolo, il manoscritto non avrebbe avuto occasione e significato di rappresentazione, pertanto, il compositore decise di utilizzare molte parti per un’opéra-comique Le Comte Ory, che differenzia notevolmente dall’originale. La partitura del Viaggio si credeva perduta, ma una casualità negli anni ’70 portò alla luce il manoscritto, non integrale, attraverso ricerche e studi effettuati in quattro città differenti. Si venne a capo della complicata edizione critica solo ai primi anni ’80 del secolo scorso, che produssero la prima esecuzione in forma scenica che fu al Rossini Opera Festival nel 1984 con un cast memorabile e sotto la direzione di Claudio Abbado, cui seguirà la prima incisione discografica. Abbado sarà il nome più legato alla riscoperta del titolo, il quale sarà nuovamente diretto dal direttore milanese, alla Scala, Vienna, Ferrara, Giappone, Berlino e ancora al Rof nel 1992. In seguito, Il Viaggio a Reims ha avuto vita propria ed è stato rappresentato a livello internazionale, anche se è opportuno rilevare le difficoltà di programmazione poiché per allestire l’opera, è indispensabile avere a disposizione ben dieci cantanti protagonisti, con parti molto impegnative, e sette altri artisti.

Lo spettacolo proposto a Verona proviene da Kiel allestito in prima nel gennaio scorso. Il cast veronese è stato invece all’insegna di proporre nuove promesse del teatro lirico, scelta obbligatoria per un verso (costi esosi) opinabile per altri considerate le ardue difficoltà.

Il regista Pier Francesco Mestrini ripropone la formula del cartone animato-video che nel passato Barbiere di Siviglia fu molto apprezzato, ma in quest’occasione i risultati non sono stati all’altezza. E’ cancellata ogni sostanza di eleganza, scivolando spesso nel banale, retorico e talvolta superflua pruderie. Se all’inizio vediamo la carrozza, che dovrebbe portare i nobili all’incoronazione, distruggersi in un viaggio spericolato, in seguito ci troviamo catapultati in un mondo surreale (e questo ci sta) che tuttavia non rende giustizia alla vicenda. Troppi i riferimenti sessuali, che proprio non ci stanno, soprattutto quando nel duetto Melibea-Libenskof si assiste a un amplesso tra la nobile dama e i camerieri. Ridicolo far apparire in scena Corinna in una toilette mobile, sempre occupata, cosi da costringere Trombonok a fare pipì all’aperto. Il lord inglese è un alcolizzato cronico, ben lontano dalla classe nobile che dovrebbe rappresentare (e la sua grande aria lo definisce bene). Poca attendibilità nella drammaturgia dei personaggi, i quali sono nobili e dovrebbero recarsi a un’incoronazione, privilegio riservato a pochi. Non contribuiscono i costumi, che parafrasavano le comiche anni ’20, a rendere efficace la scena vuota ma colmata da una visual-animazione curata da Joshua Held. Scene e costumi portano la firma di Alfredo Troisi. Non risolto e poco funzionale il celebre concertato a quattordici voci che dovrebbe essere un vertice sia musicale sia teatrale dell’opera, divertente invece la scena degli inni con la cartina geografica e il tentativo di recuperare il Regno Unito a seguito della Bretix. E’ indiscusso che ogni opera possa essere vista o concepita in modo diverso, tuttavia, in questo caso credo che le idee fossero scarse tanto da scivolare su troppe banalità talvolta anche fastidiose. La proiezione e il disegno animato erano di prim’ordine, però questo tipo di spettacolo è anche autore di distrazione musicale da parte dello spettatore. Non ci si diverte perché essenzialmente mancano fantasia e magia.

Francesco Ommassini, direttore e concertatore, era attentissimo alle raffinatezze della partitura, eseguita con grande disinvoltura di colore, buon equilibrio con il palcoscenico, e una controllata esecuzione in tutte le sezioni dell’organico. L’orchestra dell’Arena di Verona era in stato di grazia per precisione e solidità, tuttavia in generale a questa lettura mancava il ritmo e il brio, spesso preferito a tempi non serrati ma molto musicali.

Il Coro, diretto da Vito Lombadi, era preciso e puntuale nei brevi interventi.

Il cast, interamente composto di giovani, ha invece fatto rilevare le difficoltà nel recuperare voci opportune per i ruoli, anche brevi, ma di arduo impegno.

Tra i migliori si sono distinti: la Corinna di Lucrezia Drei, deliziosa cantante dotata di bella voce lirica, timbrata d irreprensibile tecnicamente, il Conte di Libenskof di Pietro Adaini che conferma le sue particolari doti vocali oltre ad un uso mirabile delle agilità e del registro acuto, Giovanni Romeo, spassosissimo Barone di Trombonok tanto azzeccato scenicamente quanto preciso nel canto, sempre controllato e rifinito é Xabier Anduaga, Cavalier Belfiore, buon cantante, omogeneo nei registri e rilevante nel fraseggio.

Meno efficace il resto della compagnia. Francesca Sassu è una Madama Cortese limitata soprattutto nella zona centrale e grave, Marina Monzò, Contessa di Folleville, è abbastanza disinvolta scenicamente ma non sempre precisa nella coloratura. La Marchesa Melibea di Raffaella Lupinacci risente di uno spessore vocale ridotto (specie in basso) e di un accento poco scolpito, Marko Mimica, Lord Sidney, avrebbe una voce ideale per il ruolo ma la coloratura non è pertinente, inoltre il personaggio è dozzinale per colpa della regia, quando invece il cantante avrebbe caratteristiche ben maggiori per emergere in nobiltà e teatralità. Fuori ruolo Alessandro Abis, Don Profondo, per carenze sia tecniche sia vocali per eseguire un’aria così complessa come quella delle medaglie. Molto bravo e rifinito il Don Alvaro di Alessio Verna e istrionico e puntuale il Don Prudenzio di Omar Kamata. Completavano la locandina la professionale Maddalena di Alice Marini, il preciso Don Luigino/Zeffirino di Stefano Pisani, e i puntuali Francesca Micarelli e Stefano Marchisio rispettivamente Delia e Antonio.

Buon successo al termine.

© Lukas Franceschini

PHOTOS © Ennevi- Fondazione Arena di Verona