Review: ADRIANA LECOUVREUR alla Royal Opera House di Londra

Review: ADRIANA LECOUVREUR alla Royal Opera House di Londra. 

By Fabio Albanese © dibartolocritic – 


Londra, 2 marzo 2017 – 

Per celebrare i 25 anni di fortunato matrimonio con una grande artista come Angela Gheorghiu, la Royal Opera House ha pensato di rinvigorire i fasti di uno storico – e acclamato in mezza Europa – allestimento di Adriana Lecouvreur che risale al 2010 e con il quale era stato scontato un lungo oblio cui la ROH aveva costretto l’opera di Francesco Cilea, qui a Londra osannata appena due anni dopo il debutto con la messinscena del 1904, e poi con quella del 1906, ma subito dopo abbandonata al suo destino.

Ed ecco dunque tornare, nel febbraio-marzo di quest’anno, per la stagione lirica 2016-17 del prestigioso teatro diretto da Sir Antonio Pappano, quel gioiello di perfezione registica che era stato l’allestimento di sette anni prima firmato da David McVicar, una importante co-produzione internazionale con il Liceu di Barcelona, l’Opera di Vienna, quella di San Francisco e quella di Parigi. La star del ruolo principale era quindi la stessa: quella Angela Gheorghiu che qui, sul palcoscenico più famoso, ha mietuto successi uno dietro l’altro per un totale di 150 recite. Doveva essere dunque la “Adriana” della sua celebrazione ma la critica londinese non è stata del tutto d’accordo, offrendo della sua prestazione anche critiche in chiaroscuro.

Difficile dire se le cose stiano davvero così per un’artista così grande e che ha già lasciato un segno indelebile nella storia dell’opera. È certo però che queste critiche, probabilmente ingenerose e alle quali non deve essere estraneo il carattere non troppo facile della primadonna della lirica mondiale, hanno fatto emergere, e brillare, per lo stesso ruolo principale dell’opera, Hrachuì Bassénz, soprano armeno di Yerevan che, con le sue due recite in secondo cast, ha scatenato gli spettatori della sfavillante sala del Covent Garden. È stata lei la stella più brillante di una notte che ha reso lo spettacolo, già di per sé di ottimo livello per cast e allestimento, davvero straordinario, con la sua voce limpida ed emozionante nei passaggi più impervi; se un appunto le si dovrà proprio fare, lo si deve a qualche leggera imperfezione nella pronuncia della lingua italiana ma è davvero una sottigliezza.

Il “suo” Maurizio, il tenore americano Brian Jagde che le recite di “Adriana” le ha fatte tutte, con lei e con la Gheorghiu, ha saputo dare al personaggio il giusto risalto, con una eccellente prestazione dalla prima all’ultima nota.

In questa Adriana Lecouvreur da celebration è stato richiamato anche il baritono Alessandro Corbelli, unico italiano nella compagnia di canto, che con il suo Michonnet fu grande protagonista nel 2010 e al quale sono state affidate le due recite di secondo cast. È stato lui, nell’ultima replica del 2 marzo, a prendersi gli applausi più calorosi e prolungati del pubblico. Bene, molto bene, pure il mezzosoprano Ksenia Dudnikova nel ruolo della principessa di Bouillon, voce potente e presenza scenica di gran pregio, al suo debutto alla Royal Opera House come pure nel ruolo. Con lei, il basso ungherese Bàlint Szabò nel ruolo del Principe.

Un cast internazionale davvero di ottimo livello, insomma, di cui facevano parte anche il tenore polacco Krystian Adam (l’Abate) e una pattuglia di bravi giovani cantanti del Programma Jette Parker: Thomas Atkins (Poisson), Vlada Borovko (Madamoiselle Jouvenot), Simon Shimbambu (Quinault), Angela Simkin (Madamoiselle Dangeville). Della compagnia facevano parte anche Abramo Ciullo (un maggiordomo), Keiko Hewitt-Tale (una cameriera), Barbara Rhodes (Madamoiselle Duclos), Kenneth Bryers (Pantalone).

Dal punto di vista musicale, orchestra e corodella ROH hanno davvero dato il meglio sotto la bacchetta di un grande direttore come Daniel Oren, e con la guida del maestro del coro del teatro William Spaulding. Perfetti i tempi, suono ben calibrato, ottima intesa tra buca e palco: il direttore israeliano ha dato una lettura fedele e appassionata della partitura che il pubblico ha mostrato di gradire molto.

La regia di McVicar, qui ripresa da Justin Way, ha assicurato allo spettacolo una coerenza e una agilità che il mondo dell’opera da anni fatica a trovare, a cominciare dall’Italia. La soluzione da metateatro, con una grande macchina scenica al centro che nei quattro atti ruota e si trasforma – da replica di un teatro del 18° secolo da Comédie Française a villa di Madamoiselle Duclos, da palazzo del principe di Bouillon a casa di Adriana -, opera dello scenografo Charles Edward e impreziosita dai pertinenti e bei costumi di Brigitte Reiffenstuel e dalle luci di Adam Silverman, rendono le oltre tre ore di spettacolo godibile sotto ogni punto di vista; compresa la parte coreografica nel terzo atto, disegnata da Andrew George e ripresa da Adam Pudney.

I lunghi, entusiasti applausi finali testimoniano un successo pieno che qualche spettatore, con l’ansia da battimani, ha addirittura voluto anticipare “coprendo” inopinatamente le ultime, emozionanti note dell’opera.

Se poi bisogna per forza cercare un difetto, ecco: se, magari, i tecnici della Royal Opera House trovassero un sistema per non portare in sala gli odori dell’attiguo, e annesso, ristorante, davvero l’unico aggettivo da utilizzare sarebbe: perfetto. Insomma, dopo aver visto per troppo tempo in giro per teatri tanta approssimazione e scadente qualità, roba da riconciliarsi con l’opera lirica.

Fabio Albanese  © dibartolocritic

 

PHOTOS © ROYAL OPERA HOUSE | Catherine Ashmore